Matteo 7:7-22
di Arend Remmers
Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 12-2012
In questo passo il Signore Gesù parla nuovamente della preghiera. Nel cap. 6 aveva già istruito i suoi discepoli a questo riguardo e, in quell’occasione, aveva insegnato il “Padre nostro” (v. 5-13). Là li aveva messi in guardia contro l’apparenza esteriore, qui mette in evidenza la fiducia che dovevano avere e indica quale sia la sorgente della potenza, come pure i mezzi di cui il credente dispone seguendolo nella via dell’obbedienza.
La fervida preghiera
“Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto” (v. 7). Benché il Signore non impieghi qui la parola preghiera, ma chiedere, cercare, bussare, è evidente dal contesto che lo scopo è di incoraggiare i discepoli a pregare con perseveranza. Luca, che riferisce sempre le cose in un ordine più morale che cronologico, mette quest’insegnamento del Signore in relazione con la domanda dei discepoli: “Signore, insegnaci a pregare”.
Nei tre verbi ”chiedere, cercare, bussare” si nota una progressione:
– “Chiedere” appare in vari passi della Parola come una forma speciale di preghiera (ad esempio Giovanni 11:22; 14:13; Colossesi 1:9; Giacomo 1:5).
– “Cercare” sottintende un impegno serio da parte di chi vuole trovare qualche cosa (Salmo 34:4; Isaia 55:6).
– “Bussare” implica che un altro debba aprire e suggerisce anche l’idea che può essere necessario superare certi ostacoli, come la propria timidezza.
Chiedere è semplicemente l’espressione del desiderio di chi prega. Cercare e bussare fanno capire che le nostre richieste non sempre sono esaudite immediatamente; per questo, spesso, ci stanchiamo di chiedere.
A tutto ciò il Signore unisce una promessa positiva: “vi sarà dato… troverete…vi sarà aperto”. Ecco la risposta divina alla “fervida preghiera” (Atti 12:5; Giacomo 5:16). Queste promesse non erano solo per i discepoli di quel tempo, ma sono valide per tutti quelli che si attengono con attenzione alle indicazioni del Signore e amano seguirlo. È quanto ci dice il v. 8: “Perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova e sarà aperto a chi bussa”. Non è una semplice ripetizione del versetto precedente, ma estende la sua applicazione a tutti i credenti. Ricordiamoci che è a loro che il Signore si rivolge nel sermone sul monte.
Un paragone
“Qual è l’uomo tra di voi, il quale, se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra? Oppure se gli chiede un pesce, gli dia un serpente? “ (v. 9-10). Qui il Signore fa un esempio che ognuno può comprendere. Ricorda la relazione normale tra un figlio e un padre, caratterizzata dall’amore e dalla fiducia. Se il figlio è nel bisogno, chiede al padre un pane o un pesce, ossia cose necessarie alla vita quotidiana. Non esige, a differenza del figlio prodigo di Luca 15 che ha preteso dal padre la parte dei beni che gli spettava. Non chiede niente di “cattivo”, niente che serva a soddisfare le sue concupiscenze carnali (secondo Giacomo 4:3). Sa di avere dei bisogni e prega suo padre con piena fiducia. Le domande poste dal Signore contengono già le risposte. Il padre potrà deludere la fiducia del figlio dandogli una pietra? Lo metterà in pericolo dandogli un serpente?
Il Signore conclude: “Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a quelli che gliele domandano!” (v. 11).
Dalla caduta di Adamo e di Eva, l’uomo è malvagio nella sua natura. Già al tempo di Noè, Dio aveva constatato che “il cuore dell’uomo concepisce disegni malvagi fin dall’adolescenza” (Genesi 8:21). Davide conosceva bene questo giudizio di Dio sull’uomo, e dice nel Salmo 51: “Ecco, io sono stato generato nell’iniquità, mia madre mi ha concepito nel peccato” (v. 5). Ma tutta la corruzione della natura umana è stata pienamente dimostrata alla croce, quando l’unico Uomo senza peccato è stato condannato come un malfattore. Poiché la natura dell’uomo, la carne, è incorreggibile, Dio dà a tutti coloro che credono nel Signore e nel Suo sacrificio una nuova natura, e una vita eterna. I discepoli hanno avuto difficoltà a comprendere queste cose finché il loro Maestro non ha compiuto la Sua opera redentrice e inviato lo Spirito Santo.
Gesù evoca la malvagità dell’uomo (“voi che siete malvagi”) per far risaltare la differenza tra l’amore del padre più benevolo e l’amore perfetto di Dio. Se uomini imperfetti, malvagi per natura, rispondono con amore alle richieste dei loro figli, quanto più lo farà Dio, il grande Donatore! Tutte le cose buone che ci sono date e ogni dono perfetto discendono da Lui, che dà a tutti generosamente senza rinfacciare (Giacomo 1:5, 17). Questo Dio così grande, il Signore Gesù lo presenta ai Suoi discepoli come il loro ”Padre che è nei cieli”. L’aveva già fatto a parecchie riprese nel sermone sul monte (5:16–48 ecc.), anche se tutta la ricchezza di questa rivelazione non poteva manifestarsi pienamente se non dopo l’opera della croce (Giovanni 20:17; Romani 8:14-17). I discepoli, comunque, potevano già rallegrarsene.
Una regola d’oro
“Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti” (v. 12). Questo versetto, chiamato la “regola d’oro” dell’amore per il prossimo, conclude non solo la prima parte del capitolo 7, ma anche l’insieme dei pensieri sviluppati a partire dal v. 17 del cap. 5: “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire, ma per portare a compimento”.
L’espressione “la legge o i profeti” che inquadra questa parte del sermone, indica tutto l’Antico Testamento e i suoi insegnamenti (come in altri passi, ad esempio Luca 16:16; Atti 13:15). Contrariamente a quanto facevano la maggior parte degli scribi e dei farisei, il Signore Gesù presentava questi insegnamenti in tutta la loro pienezza. A molte riprese ha denunciato che la giustizia apparente ed esteriore dei dottori della legge non aveva alcun valore.
Gran parte degli insegnamenti dati dal Signore riguarda i rapporti dei Suoi discepoli con il loro prossimo. Li riassume nel v. 12: “Tutte le cose che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro”. Che contrasto con il ben noto proverbio “Non fare agli altri quello che non vorresti che ti facciano” che i rabbini giudei e i Greci conoscevano bene! Questo proverbio contiene solamente l’avvertimento negativo di non fare del male al prossimo. Ma il Signore Gesù riassume la Sua dottrina con un appello positivo, quello di fare al nostro prossimo tutto ciò che a noi stessi piacerebbe ricevere. Questo è possibile realizzarlo solo nella potenza dell’amore di Dio. “L’amore è l’adempimento della legge” (Romani 13:10).
Possano queste parole incoraggiarci ad esercitare quest’amore divino, per essere realmente dei discepoli del nostro Salvatore! Saremo così nelle giuste condizioni morali perché le nostre preghiere possano essere esaudite (1 Giovanni 5:14).