Un sacrificio più eccellente

F. B. Hole

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 04-2020

Tutto ciò che sappiamo di Abele si limita a qualche versetto di Genesi capitolo 4, e ad un versetto nella Lettera agli Ebrei capitolo 11. Troviamo il suo nome in qualche passo del Nuovo Testamento, che però non ci dice nulla di più di lui. I fatti che lo riguardano sono riportati nella Genesi, anche se il v. 4 di Ebrei 11 ne chiarisce il significato profondo.

Avremmo potuto dire “il fatto”, piuttosto che “i fatti”, perché ci viene detto che “Abele fu pastore di pecore” (Genesi 4:2), e questo ci fa capire che, quando ha portato come offerta “dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso”, si trattava di un sacrificio di agnelli. È scritto anche che “il SIGNORE guardò con favore Abele e la sua offerta” (v. 4): il che significa che lui e la sua offerta sono state accolte con favore da Dio. La cosa importante è che Abele ha trovato la via, il modo per avvicinarsi a Dio in modo da essere gradito: la via era un sacrificio che implicava la morte di una vittima. Abele è il primo uomo che è morto, tuttavia – poiché la sua azione ha messo in evidenza il vero fondamento per avvicinarsi a Dio – il suo nome non è dimenticato e la sua voce parla ancora.

L’offerta di Caino e il suo astio verso il fratello, che lo porta all’omicidio, formano l’oscuro sfondo del quadro sul quale brilla ancora di più l’offerta di Abele. Caino ha portato la sua offerta basandosi sulla ragione umana. Suo padre Adamo era stato cacciato da Eden, perché lavorasse la terra da cui era stato tratto (Genesi 3:19) e, dei due fratelli, Caino è quello che ha continuato questo lavoro, perché era “lavoratore della terra” (Genesi 4:1). In questo non era da biasimare; tuttavia, pensando che Dio si sarebbe accontentato dei frutti del suo lavoro, aveva chiaramente dimenticato che il suolo era stato maledetto, che egli stesso era condannato a morire e che nessun frutto del lavoro delle sue mani, neppure il migliore, avrebbe potuto metterlo in regola con Dio. Quando Dio non guardò con favore la sua offerta, si sentì respinto.

L’eccellenza del sacrificio di Abele consisteva soprattutto nel fatto che egli, davanti a Dio, si riconosceva come un peccatore meritevole di morte. Non ha presentato i primogeniti del suo gregge vivi, come comprendiamo dalle parole “e del loro grasso”. I suoi erano sacrifici “cruenti”. Se leggiamo queste parole alla luce di Numeri 18:17, il loro significato è evidente: offrendo quei sacrifici, Abele riconosceva il suo stato di peccatore e prendeva il posto che meritava davanti a Dio, così come il pubblicano della parabola di Luca 18:9-14; e in entrambi i casi sono giunti al medesimo risultato.

Tuttavia, l’eccellenza del sacrificio offerto da Abele sta nel fatto che era la prima chiara immagine della morte di Cristo. C’era già stata un’allusione alla Sua morte nelle parole con cui Dio aveva annunciato che il calcagno della progenie della donna sarebbe stato “ferito”, e anche nelle pelli con cui Egli stesso aveva rivestito Adamo ed Eva. Ma quello che in questi due annunci era sottinteso, qui è chiaramente visibile. L’offerta a Dio di animali uccisi e del loro grasso evoca in modo evidente il grande sacrificio di Cristo. Come la luce della luna piena è il riflesso del sole che è nascosto alla nostra vista, così l’eccellenza del sacrificio di Abele, all’alba della storia del mondo, rifletteva la luce del sacrificio di Gesù Cristo, ancora lontano.

Ecco perché Dio ha gradito il sacrificio di Abele e ha mostrato chiaramente di accettare i suoi doni. La Genesi dice che Dio “guardò con favore” il sacrificio di Abele, e la Lettera agli Ebrei che Dio attestò di “gradire le sue offerte”. Non è detto in che modo Dio abbia reso questa testimonianza, ma poco importa; ciò che ha grande importanza è che Egli lo ha testimoniato.

Per Abele quello significava molto, perché così “gli fu resa testimonianza che egli era giusto” (Ebrei 11:4); in altre parole che era in regola con il pensiero e la volontà Dio. Anche per noi questo significa molto, perché nello stesso modo anche noi riceviamo la certezza della nostra giustificazione. Dio non ha reso testimonianza alla persona di Abele o all’eccellenza del suo carattere, ma all’eccellenza del sacrificio che aveva presentato e al fondamento sul quale si era avvicinato a Lui. Dal momento in cui Abele seppe che la sua offerta era stata accettata, fu certo che anch’egli era gradito, perché tutto dipendeva dal sacrificio che aveva offerto. L’accettazione della sua offerta gli dava la sicurezza di essere in regola con Dio.

Per essere solida e duratura, la nostra certezza di essere in regola con Dio deve basarsi sul fatto che siamo stati avvicinati a Lui sul fondamento del sacrificio di Cristo, e che questo sacrificio, compiuto una volta per tutte alla croce, è stato accettato da Dio.

In che modo Dio ha dimostrato la Sua piena accettazione del sacrificio espiatorio di Cristo? Possiamo rispondere a questa domanda senza incertezze, Dio sia lodato! Se non sappiamo esattamente come Dio abbia reso testimonianza al sacrificio di Abele, conosciamo perfettamente in che modo Egli abbia accettato il sacrificio di Cristo! Ebrei 10 ci dice che “egli (Gesù), dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio… Infatti con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati” (v. 12-14). La Sua risurrezione e l’essere seduto alla destra di Dio sono la testimonianza divina del valore supremo del Suo sacrificio.

La dichiarazione di Dio di aver accettato l’offerta è la prova che l’offerente era giusto davanti a Lui; è ciò che troviamo in Ebrei 11:4 riguardo ad Abele. Questo è anche il nostro caso. Quando il credente alza lo sguardo della fede verso Gesù seduto alla destra di Dio, ha la prova più completa della sua piena giustificazione. Non sottolineeremo mai abbastanza questo concetto: se cerchiamo di ottenere la sicurezza della nostra giustificazione in altro modo, per esempio esaminando i nostri sentimenti, le nostre esperienze o anche il livello della nostra fede, cadremo inevitabilmente nell’incertezza. Dio non rende testimonianza a nessuna di queste cose, perché nessuna di esse è perfetta; ogni prova che potremmo dare al riguardo non sarebbe altro che una dichiarazione umana.

La testimonianza di Dio è resa al sacrificio perfetto di Cristo. Noi troviamo una piena certezza in questa testimonianza di Dio, sulla quale possiamo riposarci in piena sicurezza.

Abele ha offerto il suo sacrificio “più eccellente” per fede. Ha offerto il sacrificio adatto; non lo ha fatto per caso o perché ha avuto un’idea felice, ma per fede. Ed è proprio questa che a Caino mancava. Il suo desiderio di avvicinarsi a Dio poteva essere il risultato di un ottimo pensiero, però egli non aveva alcuna comprensione di come andare a Dio; così, il suo intelletto accecato lo ha portato ad inciampare nel cammino.

Se Abele aveva la fede, possiamo chiederci su che cosa questa si appoggiasse: la fede prende Dio in parola, riceve con semplicità e piena fiducia la luce della rivelazione divina. Ma dov’era la parola di Dio o la Sua rivelazione su cui la fede di Abele poteva basarsi? La sola indicazione che abbiamo la troviamo nel modo d’agire di Dio il giorno in cui il peccato è entrato in Eden e Dio ha rivestito Adamo ed Eva di abiti di pelli. Quegli abiti sottintendevano necessariamente la morte degli animali di cui si erano usate le pelli. Così, nello stesso giorno in cui il peccato è entrato nel giardino, vi è entrata anche la morte; ma non la morte dell’uomo e della donna peccatori, ma la morte delle vittime innocenti che avevano fornito la copertura di cui i due peccatori avevano bisogno.

Questo modo d’agire di Dio è molto significativo: è uno di quei casi in cui le azioni sono più eloquenti delle parole. Dio comunicava il Suo pensiero attraverso immagini e figure. Era un modo adatto alla situazione di quel momento, perché l’umanità si trovava allo stato che potremmo definire infantile. Sappiamo tutti che un’immagine parla ai bambini meglio di molte parole. Dio faceva capire così in che modo “copriva” il misero stato dei peccatori colpevoli, perché potessero stare in Sua presenza.

Abele ha avuto la fede per comprendere il progetto divino. È solo per fede che possiamo comprendere che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio, ed è solo attraverso la fede che Abele ha capito, e che noi oggi possiamo capire, qual era la buona strada per avvicinarsi a Dio. Siamo tutti i giorni testimoni del triste spettacolo che ci offrono i saggi e gl’intelligenti del mondo: quando si tratta del modo di avvicinarsi a Dio, essi brancolano in un’oscurità totale, e non hanno alcuna idea delle tenebre nelle quali si trovano. Possono avere un’intelligenza e un’erudizione notevoli, ma non hanno la fede.

Nell’ordine delle nostre riflessioni ci siamo soffermati per ultimo sulla fede, però essa è al primo posto in Ebrei 11:4. Da parte nostra, tutto incomincia di lì. Da parte di Dio, invece, il sacrificio, con il suo valore supremo ed eterno, sta al primo posto. È così nei Suoi pensieri e anche storicamente, perché si è verificato secoli prima della nostra nascita. Tuttavia, da parte nostra, la fede viene al primo posto; è là che noi iniziamo; poi tutti gli elementi si riuniscono.

In questo versetto di Ebrei 11, l’ordine è il seguente: la fede, il sacrificio, la testimonianza, la giustificazione, le parole. È questo l’ordine preciso adatto a noi. Se la nostra fede si attacca al sacrificio del Signore Gesù, troviamo nella Sua risurrezione e nella Sua elevazione la testimonianza che Dio è pienamente soddisfatto. Così, la pace che proclama la nostra giustificazione riempie i nostri cuori. Allora, e solo allora, possiamo aprire le nostre labbra per rendere testimonianza e parlare di ciò che abbiamo scoperto per noi stessi.

Il sangue di Abele parlava e gridava vendetta, ma il sangue di Cristo parla di cose migliori di quello di Abele (Ebrei 12:24)!