di J. Muller
Articolo apparso a puntate nel mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO dell’anno 2018
La vita di Giacobbe, un uomo con le nostre stesse passioni eppure citato come testimone della fede (Ebrei 11:21), è piena d’istruzioni morali. Eletto da Dio, Giacobbe simboleggia il popolo d’Israele, erede delle promesse sulla terra, mentre suo padre Isacco è un tipo di Cristo, erede celeste, unito alla Chiesa.
Giacobbe è vissuto 147 anni (Genesi 47:28). La sua vita si può dividere in quattro periodi: il primo, relativamente lungo, lo ha trascorso nella casa paterna; poi è vissuto come in esilio a Caran, dove si è formato una famiglia. Successivamente è tornato nella terra dei padri, e infine ha raggiunto il figlio Giuseppe in Egitto, dov’è rimasto fino alla morte. Questi quattro periodi, e gli intervalli fra di essi, ci suggeriscono nove temi di riflessione.
Capitolo 1 – La nascita di Giacobbe
Capitolo 2 – Giacobbe nella casa paterna
Capitolo 3 – Bethel
Capitolo 4 – Giacobbe in esilio a Caran
Capitolo 5 – Peniel
Capitolo 6 – Giacobbe che torna nel paese di Canaan
Capitolo 7 – La discesa in Egitto
Capitolo 8 – Giacobbe in Egitto
Capitolo 9 – La fine della vita di Giacobbe
Capitolo 1 – La nascita di Giacobbe
Già prima della sua nascita, Dio rivelò a sua madre Rebecca che quel figlio era destinato a dominare su Esaù suo fratello gemello, anche se al momento del parto, Esaù uscì per primo e dunque il diritto di primogenito sarebbe toccato a lui; ma non sarà così perché Dio aveva detto “Il maggiore servirà il minore” (Genesi 25:23; Romani 9:10-12) e così avvenne. La primogenitura apparteneva a Giacobbe per ordine di Dio.
Alla nascita, Giacobbe (nome che significa “soppiantatore”, “ingannatore”) teneva suo fratello per il tallone, e questo è abbastanza significativo su quello che sarà il suo carattere, portato all’inganno e al sotterfugio. Comunque, malgrado le numerose mancanze, che attireranno su di lui la disciplina divina, Giacobbe sarà un uomo di fede, uno che possiede la vita di Dio, mentre suo fratello Esaù si rivelerà un “profano”, completamente estraneo alle cose divine, e terminerà la sua vita “respinto” da Dio (Ebrei 12:16, 17).
Capitolo 2 – Giacobbe nella casa paterna
(a) La famiglia di Isacco.
I due fratelli crescono insieme nella casa paterna. Giacobbe è pastore, un lavoro che richiede impegno e dedizione, mentre Esaù è cacciatore (i cacciatori tolgono la vita; vedi Nimrod in Genesi 10:8, 9). Il loro padre Isacco, sensibile ai piaceri della tavola (Genesi 25:28), è più attaccato a Esaù, invece Rebecca, la madre, predilige Giacobbe, nel quale vede una somiglianza col proprio carattere. Questo triste quadro di parzialità dovrebbe insegnare ai genitori cristiani a non fare distinzioni fra i figli.
Che contrasto fra questo comportamento di Isacco e Rebecca nei confronti dei loro ragazzi e la scena piena di freschezza del loro primo incontro al pozzo di Lacai-roi (Genesi 24:62-67), che è una bella immagine di Cristo che farà “comparire davanti a sé” la Sua Chiesa (Efesini 5:25-27).
(b) Il diritto di primogenitura.
Esaù ha il diritto di primogenitura ma, disprezzando questo privilegio, è disposto a cederlo a suo fratello in cambio di un “piatto di lenticchie” (Genesi 25:29-34). Giacobbe acconsente, dimostrando di essere anche lui lontano dal pensiero di Dio. Anche se Dio aveva stabilito che la primogenitura di Esaù sarebbe un giorno passata a Giacobbe, la condotta di Giacobbe non è scusabile. Non dobbiamo mai anticipare Dio, né per così dire “aiutarlo” a portare a compimento i piani che ha per noi.
(c) La benedizione di Esaù “derubata” da Giacobbe.
Pensando di essere giunto alla fine della sua vita, il padre Isacco chiede ad Esaù di preparargli un piatto saporito, promettendogli che lo avrebbe benedetto prima di morire. Ma Rebecca incita Giacobbe ad ingannare il padre, per sottrarre la benedizione a suo fratello ed entrare così in possesso dei diritti di primogenito (27:6-10). Un’iniziativa davvero deplorevole, poiché i piani che Dio stesso le aveva rivelato riguardo a Giacobbe, Dio li avrebbe in ogni caso portati a compimento. Così, contrariamente al progetto di Dio che Isacco pur conosceva, questo anziano padre è pronto a benedire Esaù, ma senza rendersene conto benedice Giacobbe. Comunque la Parola dice che benedisse i suoi due figli per fede: “Per fede Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche riguardo a cose future” (Ebrei 11:20).
Esaù, malgrado le sue lacrime, non manifesterà poi un vero pentimento (Ebrei 12:17), lui che da quel momento, aveva sempre covato un odio mortale per suo fratello Giacobbe (Genesi 27:41). Quest’odio si trasmetterà alla sua discendenza, il popolo degli Edomiti. Nella profezia di Abdia, Dio li rimprovererà severamente e, quattordici secoli più tardi, per mezzo del profeta Malachia, dichiarerà che ha odiato Esaù (Malachia 1:2,3). Triste storia e terribile fine quella dei discendenti di Esaù!
Quanto a Giacobbe, sebbene uomo di fede, vedremo in seguito che nel corso della sua vita dovrà raccogliere ciò che ha seminato (Galati 6:7), sotto la giusta disciplina di un Dio che, nonostante tutto, lo ama (Proverbi 3:12).
Capitolo 3 – Bethel
Rebecca spinge Giacobbe a fuggire per salvarsi dall’ira di Esaù, e lo manda a Caran presso la sua famiglia. Da quel momento, Isacco e Rebecca non sono più menzionati, e sembra che Rebecca non abbia più rivisto suo figlio Giacobbe. Isacco approva questa partenza rimettendo suo figlio alle cure di Dio Onnipotente (Genesi 28:1-5). Da solo, sul lungo cammino verso l’esilio, Giacobbe si ferma a Luz per trascorrervi la notte, e là Dio gli appare in sogno. Una scala unisce il cielo alla terra; gli angeli salgono e scendono, e Dio stesso sta in alto, in cima alla scala (v. 10-22). L’Eterno fa delle promesse a Giacobbe, dicendogli che la sua discendenza terrena sarebbe stata numerosa come la polvere della terra, e annuncia una benedizione che si estenderà a tutte le nazioni, cosa che avverrà in futuro durante il regno di Cristo, il millennio.
Al v. 15, Dio assicura a Giacobbe la Sua protezione: non l’avrebbe mai abbandonato e lo avrebbe certamente ricondotto alla sua terra. Il nome di Luz, dove Dio gli appare, diventa allora “Betel”, che significa “la casa di Dio”. Risvegliatosi dal sonno, Giacobbe posa una pietra commemorativa e vi versa dell’olio. Purtroppo, il suo carattere naturale lo porta a porre a Dio tutta una serie di condizioni (“Se Dio è con me, se mi protegge… il Signore sarà il mio Dio”, v. 20-22), dimenticando che le promesse gli erano state fatte senza alcuna condizione, perché erano fondate solo sulla fedeltà del Signore.
Quando Giacobbe giunge a Betel è detto che “il sole era già tramontato” (28:10). In senso morale, possiamo dire che il sole tramontato a Betel sorgerà solo a Peniel, dopo vent’anni di dure prove, in quella indimenticabile notte nella quale un angelo lotterà con lui e lo renderà zoppo per il resto della vita (32:24-31). Al ritorno da Caran, Giacobbe incontrerà ancora degli angeli (Genesi 32:1, 2) come testimonianza delle cure di Dio.
Betel conserverà per lungo tempo la sua importanza per il popolo d’Israele; sarà una delle tappe di Elia nel suo ultimo viaggio, insieme ad Eliseo, prima di essere rapito in cielo. Purtroppo però Betel perderà ogni valore spirituale per questo popolo al tempo dei re infedeli e dei profeti: “Non cercate Betel… Betel sarà ridotto a nulla… a Betel non profetizzare più, perché è il santuario del re e residenza reale” (Amos 5:4-5; 7:12-13).
Capitolo 4 – Giacobbe in esilio a Caraan
A Caran, Giacobbe incontra Rachele che lo porta da suo padre Labano, l’Arameo, fratello di Rebecca e zio di Giacobbe. Giacobbe fa il pastore e serve Labano per sette anni per avere in moglie Rachele, che ama profondamente; ma Labano lo inganna e gli dà in moglie la figlia maggiore Lea. Per avere Rachele, Giacobbe servirà altri sette anni (Osea 12:13), e poi ancora altri sei (Genesi 31:38, 41).
In questo periodo, Giacobbe è dunque alle prese con un individuo più scaltro di lui, ma riesce a diventare ricco (30:43), e la sua famiglia aumenta di numero e diventa forte. Le sue quattro mogli (Lea, Rachele e le loro due serve) gli danno 11 figli. Alla fine di questo periodo nascerà Giuseppe (il cui nome significa che Egli aggiunga), primo figlio di Rachele, mentre il suo secondo figlio, Beniamino, nascerà sulla via del ritorno. Questi due figli di Rachele, che è un’immagine del popolo d’Israele, sono entrambi delle meravigliose figure di Cristo.
La nascita di Giuseppe fa sorgere in Giacobbe il desiderio di tornare nel suo paese (30:25). Alla fine del suo esilio, Dio, il Dio di Betel, glielo ordinerà (31:3, 13). È una figura di quando Dio ricondurrà nella sua terra il Suo popolo terreno disperso (Geremia 16:14, 15). Giacobbe ubbidisce prontamente, ma lascia il suocero con inganno, e Rachele, addirittura, ruba gli idoli domestici di suo padre (Genesi 31:19, 20). Ci piace, tuttavia, vedere che Dio, nella Sua grazia, ordina a Labano di non vendicarsi e di non fare del male a Giacobbe, oggetto delle Sue cure nonostante la sua condotta deludente (31:24, 29). Così, Labano e Giacobbe (con la sua famiglia) si dividono a Mitspa, un altro luogo carico di significati per Israele (Iegar-Saaduta per Labano e Galed per Giacobbe) (31:47-49).
Capitolo 5 – Peniel
Sulla via del ritorno, Giacobbe è terrorizzato al pensiero di incontrare di nuovo Esaù, di cui ignora i sentimenti a suo riguardo. Così organizza una complicata strategia per proteggersi da una sua eventuale vendetta.
Dio ha appianato ogni difficoltà, ma non prima che Giacobbe si sia incontrato faccia a faccia con Lui, in quella scena straordinaria e meravigliosa del guado di Jabbok (32:24-32). Fino a quel momento, la grazia di Dio l’aveva protetto perché nessuno gli facesse del male, ma ora è Dio stesso che lo colpisce: rimasto solo, Giacobbe lotta con l’Angelo tutta la notte, fino all’alba. A questo punto Dio tocca la giuntura dell’anca per farlo cedere; ma Giacobbe vuole una benedizione e Dio gliel’accorda. Il nome di Giacobbe (il soppiantatore, l’ingannatore) è cambiato in Israele (vincitore di Dio).
Anche se Dio non gli rivela il proprio nome Giacobbe può dire: “Ho visto Dio faccia a faccia e la mia vita è stata risparmiata” (v. 30). Il nome Peniel (faccia di Dio) dato a quel luogo fissa il ricordo di quel momento memorabile. Ormai il patriarca è un uomo zoppicante, e la sua vita è cambiata.
Che avvertimento per noi! Impegniamoci a stare sempre alla presenza di Dio, e se abbiamo lasciato che la nostra anima si allontanasse da Lui facciamo subito ritorno.
Il profeta Osea riassume benissimo la vita di Giacobbe fino a quel momento: “Nel grembo materno egli prese il fratello per il calcagno e, nel suo vigore, lottò con Dio; lottò con l’Angelo e restò vincitore; egli pianse e lo supplicò. A Betel lo trovò, là egli parlò con noi” (Osea 12:4-5).
Capitolo 6 – Giacobbe torna nel paese di Canaan
(a) Succot e Sichem; l’altare di El-Eloè-Israel e il disonore di Dina
Di ritorno nel paese di Canaan, Giacobbe giunge a Succot per stabilirvisi insieme ai suoi famigliari e i suoi armenti. Poi, a Sichem, acquista un terreno (Genesi 33:17-20) perdendo di vista il carattere di stranieri dei suoi padri Abraamo e Isacco, che abitavano “nella terra promessa come in terra straniera” (Ebrei 11:9) e possedevano in quella terra nient’altro che una tenda e un sepolcro. Si pensa che sia stato a Sichem che Giacobbe ha scavato il pozzo dove, più tardi, il Signore Gesù incontrerà la donna samaritana (Giovanni 4:12).
A Sichem, Giacobbe innalza anche un altare al Signore (33:20). Non ne aveva mai costruiti in tutto il tempo in cui era stato fuori della terra promessa. Lo chiama El-Eloè-Israel, cioè l’altare di Dio, il Dio d’Israele. Ma lui, abitando in quella città, devia dal suo cammino di dipendenza da Dio e i risultati non tardano ad arrivare. Dina, figlia sua e di Lea, incontra il figlio del principe del paese, di nome Sichem, e si lascia sedurre. La famiglia della fede non avrebbe dovuto avere alcun rapporto con quei pagani. I due fratelli di Dina, Simeone e Levi, anch’essi figli di Lea, vogliono vendicare il disonore fatto alla sorella, e lo fanno con inganno e con inaudita violenza: di notte entrano in Sichem, sterminano tutti i maschi e saccheggiano la città. Giacobbe fino alla fine della sua vita condannerà il loro comportamento: “Le loro spade sono strumenti di violenza. Non entri l’anima mia nel loro consiglio segreto… Maledetta la loro ira perché è stata violenta e il loro furore perché è stato crudele!…Io li disperderò in Israele” (Genesi 49:5-7).
L’insegnamento morale di questa triste storia resta valido ancora oggi per i genitori cristiani. La loro mancanza di separazione dal mondo espone i figli ad allontanarsi dal Signore e dai Suoi insegnamenti.
Dopo questa umiliante parentesi (Genesi 34), Giacobbe è sostenuto dalla grazia divina. Ma lo aspettano altre dure prove, attraverso le quali Dio lo eleverà ad un’altezza morale che non aveva mai raggiunto prima.
(b) Giacobbe purifica la sua casa dall’idolatria
Giacobbe è ora invitato da Dio a salire a Betel, per abitarvi e per innalzare là un nuovo altare (Genesi 35:1). Quest’ordine produce in lui un esercizio salutare: tutta la sua casa dovrà purificarsi dal male e liberarsi dagl’idoli di Caran, compresi quelli che Rachele aveva sottratto al padre. È detto che Giacobbe li nascose sotto il terebinto di Sichem, ma non sembra che li abbia distrutti definitivamente come avrebbe dovuto fare. Alla fine della sua vita, Giosuè ne parlerà come degli “dèi che i vostri padri hanno servito dall’altra parte del fiume (l’Eufrate) e in Egitto” e inviterà Israele a purificarsene (Giosuè 24:14, 15, 23). Il profeta Amos (citato da Stefano nel suo discorso davanti al Sinedrio) rivela inoltre che quei falsi dei erano adorati da Israele anche nel deserto (Amos 5:25, 27; Atti 7:42, 43).
Anche noi siamo esortati a guardarci dagl’idoli (1 Giovanni 5:21); solo rimanendo alla presenza di Dio avremo l’intelligenza spirituale per riconoscerli e la forza per liberarcene. Che il Signore ci faccia la grazia di estirpare dai nostri cuori tutto ciò che potrebbe prendere il posto che spetta a Lui, senza conservare delle radici di avidità che produrrebbero poi dei frutti amari nelle nostre vite o nella vita collettiva dei credenti! La Parola ci ricorda che l’ostinazione, l’orgoglio e la cupidigia (soprattutto l’amore per il denaro: Mammona o il dio delle ricchezze) sono idolatria (1 Samuele 15:22, 23; Abacuc 1:11; Matteo 6:24; Efesini 5:3, 5). La santità risiede sempre nella casa di Dio (Salmo 93:5)!
(c) Secondo passaggio a Betel
Giunto a Luz (Betel), Giacobbe costruisce un altare (35,7). Non lo chiama più El-Eloè-Israel (Dio, il Dio d’Israele) ma El-Betel (Dio, il Dio di Betel). Ora Giacobbe prende la posizione di adoratore nella casa di Dio, e finalmente è più occupato della gloria di Dio che di se stesso e delle cure che Dio ha per lui. E’ una lezione importante anche per noi, riguardo ai soggetti di lode nelle nostre riunioni. E’ giusto ricordare ciò che eravamo e ciò che Dio ha fatto di noi (vedi Deuteronomio 26:5-9), ma ricordiamoci anche dell’apprezzamento che Dio ha avuto per il Suo Figlio quando è venuto per compiere la Sua volontà e “offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio” (Ebrei 9:14).
A questo punto Debora, nutrice di Rebecca, muore (35:8). Aveva accompagnato Rebecca dalla sua partenza dalla Mesopotamia fino al suo incontro con Isacco (24:59) e la sua morte rompe gli ultimi legami naturali di Giacobbe.
Ma Dio, nella Sua grazia, aveva in serbo qualche cosa di più prezioso per il patriarca. A Betel, gli conferma ciò che aveva detto a Peniel (32:28), cioè che il suo nome non è più Giacobbe ma “Israele”.
Il nome “Giacobbe” (che indica la sua tendenza ad ingannare) ricorda fin dove Dio è sceso per cercare noi nella nostra miseria, mentre “Israele” rivela l’altezza alla quale vuole elevarci.
A Peniel, Dio non aveva rivelato a Giacobbe il proprio nome, ma può farlo adesso facendogli gustare la Sua comunione: Dio ora prende il nome di El-Saddat, l’Onnipotente, nome col quale si era già rivelato ad Abramo (17:1). Allo stesso Dio Onnipotente Isacco aveva affidato Giacobbe, quando era partito per Caran (28:3). A ricordo di quel momento solenne, Giacobbe innalza di nuovo una stele, su cui versa dell’olio, ripetendo ciò che aveva fatto alla sua prima sosta a Betel (28:18); ma adesso aggiunge una libazione con del vino, simbolo di gioia.
Quanto è preziosa la grazia di Dio, quella grazia che ci risolleva e si compiace anche di farci felici!
(d) Nascita di Beniamino e morte di Rachele
Vicino a Betlemme, cioè a Efrata (Salmo 132:6), Rachele dà alla luce il suo secondo figlio, il dodicesimo e ultimo figlio di Giacobbe (Genesi 35:16). La moglie, amatissima del patriarca, muore durante questo parto; chiama il figlio Ben-Oni, (figlio del mio dolore), ma il padre lo chiama Beniamino (figlio della mia destra).
Diciassette secoli più tardi, nascerà a Betlemme il Messia d’Israele, di cui Beniamino è una figura. Il nome di Ben-Oni ci ricorda ciò che Simeone ha detto a Maria, la madre del Salvatore: “A te stessa una spada trafiggerà l’anima” (Luca 2:35), mentre il nome Beniamino ricorda la dichiarazione del Salmo 80:17, che allude profeticamente a Gesù, il Figlio eterno del Padre: “Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, sul figlio dell’uomo che hai reso forte per te”.
(e) Migdal-Eder ed Ebron:
La tappa successiva del patriarca, chiamato per la prima volta con il suo nuovo nome, è Migdal-Eder (la torre del gregge) (Genesi 35:21). È un rifugio per lui che è nel dolore. “Il nome del SIGNORE è una forte torre; a lui corre il giusto ed è al sicuro” (Proverbi 18:10). Nello stesso tempo, la “torre del gregge, roccaforte della figlia di Sion” (Michea 4:8), diventerà il simbolo della gloria futura della nazione d’Israele, sotto lo scettro di Cristo.
L’errore di Ruben è citato qui senza alcun commento. Il quadro di questo momento memorabile della vita di Giacobbe è completato dal suo arrivo ad Ebron e dalla morte di suo padre Isacco (v. 27-29). Già suo nonno Abramo aveva soggiornato a Ebron, dove aveva costruito un altare all’Eterno (13:18). Ebron, abitualmente il luogo della morte, era stato anche quello della rinuncia ai beni mondani, della comunione con Dio e della rivelazione dei Suoi pensieri (14:13, 22, 23; 18:1, 19).
(f) Riassumendo
Ecco le tappe di questo memorabile viaggio di Giacobbe: partito da Sichem (dove nasconde gl’idoli sotto il terebinto) sale verso Betel. Durante il viaggio, perde Debora, nutrice di sua madre, che viene sepolta sotto la quercia di Allon-Bacut (la quercia del pianto). A Betel innalza un altare al “Dio di Betel” e, in veste di adoratore nella casa di Dio, gode la comunione con l’Onnipotente, che gli conferma il suo nuovo nome “Israele”. Poi, a Betlemme, alla nascita di Beniamino, perde Rachele, l’amatissima sposa. Allora sale a Migdal-Eder, poi a Ebron, per la morte suo padre Isacco, che sarà sepolto nella grotta di Macpela, accanto ad Abramo, Sara, Rebecca e Lea (49:30,31). Sulla fine di queste due donne non ci è detto più nulla.
(g) La lunga assenza di Giuseppe
“La luce spunta nelle tenebre per gli onesti” (Salmo 112:4). Prima che la luce divina illumini la sera della sua vita, Giacobbe deve ancora attraversare un’ultima dolorosissima prova: la perdita di Giuseppe, il figlio della sua vecchiaia, che per molto tempo crederà morto. Dio, invece, con il Suo disegno e nella Sua grazia, si servirà proprio di Giuseppe per salvare la famiglia di Giacobbe dalla fame (Genesi 45:5,7; Salmo 105:17, 18).
La fine della storia di Giacobbe è intimamente legata a quella di suo figlio Giuseppe. Trentatré anni prima, Giacobbe aveva ingannato suo padre Isacco, per sottrarre la benedizione a Esaù. Ora, i figli di Giacobbe ingannano lui riguardo a Giuseppe, che essi odiano e che vendono come schiavo (Genesi 37:4, 28). Per far credere al padre che questo loro fratello sia stato sbranato da una bestia feroce, inventano un inganno crudele: tingono di sangue la sua veste e gliela fanno pervenire. Ipocritamente, osano anche consolare il padre, che crede alla loro testimonianza, ma rifiuta ogni consolazione: “E suo padre pianse” (v. 35).
Per una ventina d’anni, Giacobbe non ha notizie del figlio amato, che crede perduto per sempre. Al termine di questa lunga attesa, la carestia, che infuria su tutta la terra, costringe Giacobbe ad inviare i suoi figli in Egitto per acquistare del grano (41:57; 24:1, 2). Le circostanze provvidenziali sono nella mano di Dio, per portare alla risoluzione questa commovente vicenda; però, prima di venire a sapere che Giuseppe è vivo, Giacobbe deve sopportare un altro dolore. Giuseppe, intanto, non ancora riconosciuto, fa di tutto per portare i suoi fratelli a confessare il loro peccato e a pentirsene. Mentre Simeone è trattenuto in prigione in Egitto, accusato di spionaggio, Giuseppe esige che gli portino Beniamino, il solo ricordo vivente, per Giacobbe, dell’amatissima Rachele, per dimostrare che sono “persone sincere”.
Il povero patriarca dice: “Tutte queste cose pesano su di me!” (42:36). Ma dovrà fare l’esperienza che “se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”, e che “tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio” (Romani 8:28-31). In questo momento di prova, la sottomissione di Giacobbe alla volontà del Dio Onnipotente è straordinaria: “Se devo essere privato dei miei figli, ch’io lo sia!” (43:14).
Capitolo 7 – La discesa in Egitto
“Verso sera ci sarà luce” è scritto in Zaccaria 14:17. Dopo varie traversie, accuse ingiuste, imprigionamento, Giuseppe è nominato viceré dell’Egitto, il secondo dopo Faraone. È all’apice della sua gloria quando si fa riconoscere dai suoi fratelli. La scena è commovente e li manda a prendere il loro padre. La grazia di Dio aveva guidato ogni circostanza per la Sua propria gloria, e per il bene di Giacobbe e di tutta la sua famiglia (Genesi 45:7, 21-26; Salmo 105:17).
Solo quando vede i carri che Giuseppe ha mandato per trasportarlo, lo spirito di Giacobbe si risolleva. Allora esclama, nello slancio del cuore, “Basta! Mio figlio Giuseppe vive ancora; io andrò e lo vedrò prima di morire”. È la soddisfazione di un cuore che ha toccato con mano la grazia di Dio, confermata quando il suo caro figlio Giuseppe piangerà a lungo sul suo collo (Genesi 46:29, 30).
Nel viaggio verso l’Egitto, Giacobbe fa tappa a Beer-Sceba, offre dei sacrifici a Dio, e prende di nuovo il ruolo di adoratore. Quando Dio gli si rivela in visione di notte (come la prima volta a Betel) e lo rassicura, Giacobbe risponde prontamente e riprende il viaggio.
L’ubbidienza e la sottomissione alla volontà di Dio sono una naturale conseguenza della dipendenza. Se Dio aveva ordinato a Isacco di non scendere in Egitto, suo figlio Giacobbe va in Egitto, ma con l’approvazione di Dio, anzi, dietro un Suo ordine (26:2; 46:3). La fede non è mai imitazione. Ubbidendo, Israele è sicuro di essere benedetto e anche di godere della comunione con Dio durante quel viaggio.
Soddisfazione del cuore, adorazione di Dio, dipendenza da Lui, ubbidienza alla Sua volontà e comunione con Lui: queste virtù morali formano il frutto pacifico della giustizia prodotto dalla disciplina (Ebrei 12:11).
Capitolo 8 – Giacobbe in Egitto
Giacobbe si stabilisce in Egitto con tutta la sua famiglia, un gruppo di 70 persone, nelle regioni di Goscen e di Ramses, “la parte migliore del paese” che Giuseppe assegna loro (Genesi 45:18; 47:11). Le prove sono ormai terminate e Giacobbe gode personalmente diciassette anni di riposo e di sicurezza. Con gli anni, la sua famiglia si moltiplicherà oltremodo (47:27). L’avversione degli Egiziani per i pastori, quali erano Giacobbe e i suoi, ha reso più semplice per lui la separazione dal mondo idolatra in mezzo a cui si era stabilito.
Quando Giuseppe presenta suo padre al Faraone (47:7-10), Giacobbe dice: “Gli anni della mia vita… sono stati pochi e travagliati”. In effetti, la sua vita era stata agitata da molte difficoltà e pene; tuttavia è Giacobbe, l’umile pastore, che ha l’onore di benedire il Faraone, il re più potente della terra, e non il contrario! “Ora, senza contraddizione, è l’inferiore che è benedetto dal superiore” (Ebrei 7:7).
Questa scena sbalorditiva ci ricorda l’episodio di Paolo che, prigioniero delle nazioni, si trova davanti ad Agrippa e a tutta la sua pompa regale. Con la dignità di un uomo che appartiene a Dio, l’apostolo può dire: “Piacesse a Dio che… non solamente tu, ma anche tutti quelli che oggi mi ascoltano, diventaste tali quale sono io, all’infuori di queste catene” (Atti 26:29).
Capitolo 9 – La fine della vita di Giacobbe
(a) Le istruzioni per la sua sepoltura
Dio aveva promesso a Giacobbe che suo figlio Giuseppe gli avrebbe chiuso gli occhi alla sua morte (Genesi 46:4). Sentendo la fine vicina, Giacobbe si confida con Giuseppe e gli dà istruzione, confermata da un giuramento, di seppellirlo nel sepolcro dei suoi padri, a Ebron. Giuseppe rispetterà scrupolosamente la volontà di suo padre (47:29, 30; 49:29, 33; 50:13) e, per fede, darà ai suoi fratelli delle istruzioni identiche riguardo le proprie ossa (50:24, 25; Ebrei 11:22).
(b) Giacobbe adoratore
L’ultimo atto di fede di Giacobbe è quello dell’adorazione: “Israele, rivolto al capo del letto, adorò”, espressione che la versione dei Settanta e il Nuovo Testamento rendono con “adorò appoggiandosi in cima al suo bastone” (47:31; Ebrei 11:21).
(c) La benedizione di Giuseppe e dei suoi due figli
Per prima cosa, Giacobbe benedice suo figlio Giuseppe e, per fede, benedice anche “ciascuno dei figli di Giuseppe”, Efraim e Manasse (48:1-22; Ebrei 11:21). Nati da una madre egiziana, questi due uomini avrebbero potuto essere considerati come stranieri e, come tali, esclusi dalle benedizioni divine. Allora, il nonno Giacobbe li adotta come figli suoi, alla stregua degli altri figli (v. 5) e, così facendo, stabilisce Giuseppe erede con il diritto di primogenitura. Questa era anche la volontà di Dio: bisognava che Giuseppe prendesse il posto di suo indegno fratello Ruben per ricevere la doppia porzione che spettava al primogenito (v. 22; 1 Cronache 5:1, 2; Ezechiele 47:13).
Benedicendo i due figli di Giuseppe, Giacobbe incrocia le mani per mettere la destra sul capo di Efraim, il più giovane dei due, e dare a lui la benedizione e la parte di primogenito (v. 17-20). In quel momento, Giacobbe ha il pensiero di Dio. Gli occhi del corpo sono appesantiti dall’età (v. 10), ma gli occhi del suo cuore sono rischiarati dalla luce divina.
Che cammino morale ha percorso Giacobbe, dopo gli anni bui, quando comprava il suo diritto di primogenitura del fratello Esaù e s’impadroniva con inganno della benedizione paterna!
(d) Un ultimo sguardo indietro
Aprendo il suo cuore a Giuseppe, Giacobbe pronuncia le parole più commoventi della sua vita. Rievoca due tappe fondamentali: Luz (che è Betel), per ricordare tutta la grazia di Dio e le Sue cure (v. 3, 4) ed Efrata (che è Betlemme), dove cinquant’anni prima aveva perduto Rachele, l’amatissima sposa, la madre di Giuseppe (v. 7).
Ci sono delle ferite nei nostri cuori che guariranno solo nel cielo, quando Dio avrà asciugato ogni lacrima dai nostri occhi (Apocalisse 21:4)!
Giacobbe raggiunge l’apice morale della sua vita quando pronuncia quelle meravigliose parole di fiducia e di riconoscenza: “Il Dio alla cui presenza camminarono i miei padri Abraamo e Isacco, il Dio che è stato il mio pastore da quando esisto fino a questo giorno, l’angelo che mi ha liberato da ogni male…” (v.15:16). I giorni “pochi e travagliati” citati davanti al Faraone sono ormai dimenticati, per lasciare il posto alla gioia della pura grazia di Dio.
(e) Giacobbe profeta
Prima di morire, Giacobbe chiama i suoi figli per rivelare loro il futuro dei loro discendenti (Genesi 49:1-27). Le sue parole ci fanno pensare a quelle di Mosè alla fine della sua vita (Deuteronomio 33). Egli pronuncia una profezia che mette in rilievo la responsabilità del popolo d’Israele e il disegno di Dio attraverso Cristo, mentre Mosè pronuncerà una benedizione che trova la sua sorgente nell’amore di Dio per il popolo al quale ha dato la legge e il sacerdozio, e che salverà alla fine.
Le dodici tribù d’Israele sono presentate, non nell’ordine genealogico, ma in rapporto all’ordine morale della profezia. Si possono riscontrare dei caratteri di Cristo nelle tribù di Giuseppe, Giuda e Beniamino, e riconoscere nelle altre alcuni tratti generali d’Israele e della sua storia.
– Ruben, Simeone e Levi: i tre figli maggiori di Lea mostrano lo stato naturale d’Israele nei suoi peccati: corruzione (l’incesto di Ruben in Genesi 35,22) e violenza (strage dei figli di Camor da parte di Simeone e Levi – Genesi 34).
– Giuda è lo strumento del decreto di Dio per stabilire il potere regale in Israele in vista della venuta del Messia (Silo), al quale tutti i popoli dovranno obbedire.
– Zabulon, Issacar e Dan: dopo che il Messia sarà venuto in Giudea e sarà stato rigettato, il popolo disperso fra le nazioni ricercherà, come ancora oggi, i propri interessi materiali, ma sarà schiavo. Alla fine sarà caratterizzato dall’apostasia, finché un residuo pio e fedele, in grande angoscia, si rivolgerà a Dio gridando: “Io aspetto la tua salvezza, o SIGNORE!” (v. 18).
– Gad, Ascer e Neftali: l’Eterno manderà la liberazione, la benedizione e la libertà.
– Giuseppe è l’oggetto della profezia più lunga e commovente. Colui che è stato odiato e respinto dai suoi fratelli fa pensare a Cristo, pastore e pilastro d’Israele. Tutte le benedizioni nel cielo e sulla terra verranno da Lui.
– Beniamino, “il figlio della destra” di suo padre, presenta Cristo nell’esercizio del giusto giudizio, nel giorno del suo trionfo. Egli rimane l’amatissimo dell’Eterno (Deuteronomio 33:12).
Allora Giacobbe “spirò e fu riunito al suo popolo” (49:33). Giuseppe piange suo padre, prima che gli Egiziani lo imbalsamino e lo piangano a loro volta per settanta giorni. Dopo il lutto nell’aia di Atad, oltre il Giordano, Giuseppe e i suoi fratelli seppelliscono il loro padre a Ebron, nella grotta del campo di Macpela, secondo la sua precisa richiesta. Là riposa il corpo del patriarca, con i suoi padri, nell’attesa del giorno glorioso della prima risurrezione al ritorno del nostro Salvatore che ci prenderà tutti insieme agli uomini di fede di ogni epoca per portarci nella Casa del Padre.