Tratto da “I libri di Esdra e Neemia”. Pubblicato con il permesso di Edizioni il Messaggero Cristiano
di F.B.Hole
Capitolo 1 – Editto di Ciro. Ritorno dalla deportazione di Babilonia
Capitolo 2 – Censimento degli Israeliti reduci da Babilonia
Capitolo 3 – Ricostruzione dell’altare e ristabilimento del culto
Capitolo 4 – La costruzione del tempio interrotta
Capitolo 5 – La costruzione del tempio ripresa
Capitolo 6 – Editto di Dario
Capitolo 7 – Arrivo di Esdra a Gerusalemme
Capitolo 8 – Lista degli esuli tornati con Esdra
Capitolo 9 – I matrimoni con donne straniere. Preghiera e confessione di Esdra
Capitolo 10 – Licenziamento delle donne straniere
Capitolo 1 – Editto di Ciro. Ritorno dalla deportazione di Babilonia
L’inizio del libro di Esdra si colloca storicamente nel primo anno del regno di Ciro re di Persia (559 a.C). Su questo grande monarca c’è una profezia nel profeta Isaia scritta ben due secoli prima del suo insediamento al trono (Isaia 44:28). Nel suo scritto Isaia predice ciò che Ciro avrebbe fatto in un tempo futuro, ed Esdra ci racconta lo svolgimento degli avvenimenti preannunciati.
Nel primo versetto del cap. 1 di questo Libro è fatta esplicita allusione alla profezia di un altro profeta, il profeta Geremia: “Tutto questo paese (il paese di Giuda) sarà ridotto in una solitudine e in una desolazione… per settant’anni. Ma quando saranno compiuti i settant’anni io punirò il re di Babilonia e quella nazione” (25:11-14). Questa predizione aveva profondamente colpito Daniele, come egli stesso racconta nel cap. 9:2 del suo Libro; egli si rendeva conto che il suo compimento doveva essere vicino, e questo lo aveva spinto a fare quella bella preghiera che leggiamo in quel capitolo.
Al v. 2 leggiamo che Ciro credeva che l’Eterno era il “Dio dei cieli” e non solo il Dio dei regni della terra. Anche Nabucodonosor aveva fatto una confessione simile (Daniele 4:37).
Il riassunto dell’editto di Ciro, proclamato nel 539 a.C., è riportato nei v. 2 e 3. E molto probabile che questo re fosse a conoscenza della profezia di Isaia 44:28 e 45:1-2 che lo riguardava; in ogni caso non è cosa da poco che Ciro riconosca la gloria e la potenza del Dio d’Israele, e che obbedisca di fatto a ciò che Egli aveva comandato. Non c’è quindi da stupirsi che Dio lo definisca il “suo unto”.
L’editto non aveva per oggetto una singola persona né un gruppo particolare di persone; l’invito a recarsi a Gerusalemme per ricostruire la casa di Dio spalancava la porta a tutti i Giudei che l’avessero desiderato: “Chiunque tra voi è del suo popolo, il suo Dio sia con lui, salga a Gerusalemme… e costruisca la casa del Signore”, (v.3); e dava anche la certezza che in quest’impresa sarebbero stati “assistiti dalla gente del posto con argento, oro, doni in natura e bestiame, e inoltre con offerte volontarie per la casa di Dio che è in Gerusalemme” (v. 4).
Era prevedibile che avrebbero colto questa straordinaria occasione le persone pie che avevano a cuore la gloria di Dio e “il luogo che il SIGNORE aveva “scelto come dimora del suo nome” (Deuteronomio 16:2). Alcuni erano certamente impossibilitati a spostarsi per motivi particolari o particolari impegni, ma la maggior parte di quelli che non approfittarono dell’editto era costituita dai più indifferenti ed egoisti che preferirono continuare a risiedere nelle case confortevoli che si erano costruite durante gli anni della deportazione, lasciando volentieri quel difficile compito a coloro che essi ritenevano meglio preparati ad affrontare difficoltà e privazioni.
Notiamo che Ciro aveva in vista la costruzione della “casa del Signore” senza tener conto dello stato di rovina in cui giaceva la città. Sarà poi Neemia che, angosciato per la rovina e la desolazione di Gerusalemme, chiederà ad Artaserse il permesso di restaurare e ricostruire la città. L’autorizzazione gli fu accordata ed è da quel momento che parte il conto delle “settanta settimane” della profezia di Daniele 9:25.
Nell’editto di Ciro, dunque, la priorità era data alla casa di Dio; soltanto più tardi si penserà alla città; e questo è giusto, ed è un principio immutabile che tendiamo a dimenticare. Anche i Giudei che hanno risposto all’editto di Ciro lo hanno presto dimenticato. Come si può notare leggendo la profezia di Aggeo, non hanno tardato a costruirsi delle case “ben rivestite di legno”, mentre la casa di Dio giaceva “in rovina”. Non c’è forse la stessa tendenza anche oggi fra il popolo di Dio?
Consideriamo dunque attentamente le analogie fra ciò che è accaduto in quegli anni di storia del popolo d’Israele e nella storia del cristianesimo.
In Israele, la legge data da Mosè fu trasgredita e dimenticata, e l’autorità regale, stabilita sotto il regno di Davide, col passare del tempo andò sempre più in decadenza; così il giudizio di Dio cadde sul popolo, che fu deportato a Babilonia.
Anche fra i cristiani la purezza dell’Evangelo è andata persa molto rapidamente, e l’autorità dello Spirito, per mezzo della Parola, è stata sostituita da quella dell’uomo, con l’imponente sistema del papato e la conseguente corruzione che ha raggiunto l’apice nel corso del IV e del XV secolo. Ma come sotto il regno di Ciro ha avuto inizio un importante risveglio, sebbene limitato, allo stesso modo nel XV secolo Dio, con la Riforma, ha operato nella cristianità l’inizio di un risveglio di natura ancor più interiore e spirituale. Da quella “babilonia” religiosa è sorta un’opera che continua ancora oggi.
Con questa prospettiva, vediamo quali lezioni si possono trarre dal libro di Esdra.
Il v. 5 del primo capitolo mostra che nell’anima di molti – specialmente dei conduttori sia civili che religiosi – ci fu un vero lavoro di Dio. “Quelli ai quali Dio aveva destato lo spirito”, venuti a conoscenza della proclamazione dell’editto di Ciro, subito colsero l’occasione e si apprestarono a ritornare nel paese dei loro padri per ristabilire il culto dell’Eterno e ricostruire la Sua casa. Grazie alla provvidenza divina, essi furono molto incoraggiati dallo stesso re di Persia; oltre ai doni della gente del posto, i reduci hanno ricevuto oggetti di valore dai Giudei che non partecipavano all’impresa (v. 6) e tutti gli utensili sacri della casa dell’Eterno che Nabucodonosor aveva messo nella casa del suo dio, e che Ciro aveva restituito. Il lavoro spirituale che Dio compiva nel cuore dei suoi andava di pari passo con quello operato nel mondo che li circondava.
Capitolo 2 – Censimento degli Israeliti reduci da Babilonia
Il cap. 2, fatta eccezione per gli ultimi tre versetti, è dedicato ai dettagli relativi al numero di coloro che hanno risposto in modo positivo all’editto di Ciro; essi sono indicati secondo i rispettivi capifamiglia, elencati per nome, e le loro famiglie censite. Dio ha preso nota di ciascuno e ha registrato i loro nomi nella sua Parola, ma di coloro che non si sono impegnati a partire non ci è detto nulla.
Il primo nome citato è quello di Zorobabele, stabilito governatore. Il secondo è Iesua, il sacerdote chiamato Giosuè nei libri dei profeti Aggeo e Zaccaria. Questi due uomini sono stati i conduttori di questo ritorno in Palestina di un gran numero di persone; esattamente 42.360 senza contare i servi, maschi e femmine.
Certamente il regno d’Israele non poteva essere ristabilito; il “tempo delle nazioni” non era ancora terminato. I Giudei rimanevano quindi sotto il dominio di popoli stranieri.
Paragonati al numero totale dei Giudei dispersi, quei fedeli erano un piccolo gruppo, ma si trattava di uomini che avevano a cuore il loro Dio e ricercavano il luogo di culto che Egli si era scelto in origine.
Essi non pretendevano di avere della potenza, che d’altronde era andata persa anche per colpa loro. Nei v. 59-63, ad esempio, molti avevano difficoltà a provare che erano veri Israeliti, altri che erano figli di sacerdoti, perché non riuscivano a trovare i loro titoli genealogici. In altri tempi, questi casi avrebbero potuto essere risolti interrogando Dio tramite “l’urim e il tummim”[1], ma anche questi erano andati perduti. Ls situazione era triste, ma quegli uomini si inchinano umilmente davanti alla realtà. Quando Dio permette un risveglio dopo delle gravi mancanze, è difficile che tutto ritorni come alle origini.
Si può vedere un prezioso segno di autentico risveglio anche nella devozione mostrata da alcuni “capi famiglia” del popolo; quando giunsero nel paese, come riferiscono gli ultimi versetti del cap. 2, “fecero offerte volontarie per la casa di Dio, per ricostruirla dove stava prima”. Questa condizione spirituale forse non durò a lungo, ma era molto evidente all’inizio perché, quando Dio incomincia un’opera, c’è sempre una risposta d’amore da parte di qualcuno dei suoi.
Capitolo 3 – Ricostruzione dell’altare e ristabilimento del culto
Dall’inizio del cap. 3 si manifesta un altro carattere di un vero risveglio: l’ubbidienza alla parola di Dio. “Si misero a costruire l’altare del Dio d’Israele, per offrirvi sopra olocausti, come è scritto nella legge di Mosè. Ristabilirono l’altare sulle sue basi e offrirono sopra di esso olocausti al Signore: gli olocausti del mattino e della sera. Celebrarono la festa delle capanne, secondo quanto è scritto”. Per due volte è ripetuto che si sono attenuti alle Scritture, agendo nel modo che Dio stesso aveva ordinato all’inizio. C’era un immenso contrasto fra le circostanze in cui essi si trovavano e i giorni straordinari in cui Mosè aveva eretto il tabernacolo, o i giorni gloriosi di Salomone quando fu costruito il primo tempio; ma essi sapevano che i principi che Dio stabilisce rimangono immutabili fino alla fine. Così non inventano cose nuove, ma fanno semplicemente riferimento alla parola iniziale di Dio.
I Giudei, quindi, iniziano a costruire l’altare, che era alla base del culto, “per offrirvi sopra olocausti”. Poi, giunto il settimo mese, celebrano la festa delle Capanne che cadeva proprio in quel periodo. E tutto questo anche se le fondamenta del tempio non erano ancora state poste perché era giusto che gli olocausti venissero prima della “casa”. Ma anche se “le fondamenta del tempio del Signore non erano ancora state poste”, i preparativi erano già in corso; infatti “diedero del denaro agli scalpellini e ai falegnami, dei viveri, delle bevande e dell’olio ai Sidoni e ai Tiri… perché portassero del legno di cedro cedro del Libano” (v. 7).
Il v. 8 ci porta al secondo anno dopo il loro arrivo. I lavori iniziano subito e vengono gettate le fondamenta del tempio. Questo avvenimento suscita molta commozione: “Molti sacerdoti, Leviti e capi famiglia anziani, che avevano visto la prima casa, piangevano ad alta voce… Molti altri invece alzavano le loro voci gridando per la gioia” (v. 12). I sacerdoti e i Leviti, nelle lodi e nei canti che innalzano al Signore, seguono “le direttive date da Davide, re d’Israele” (v. 10). Nel Salmo 136, per ben ventisei volte è detto di Dio che “la sua bontà dura in eterno”; ed ora questi uomini fedeli sperimentano di persona il grande amore che Dio ha per il popolo d’Israele che essi in quel momento rappresentavano.
Essi non attribuiscono a sé il merito di questo risveglio perché riconoscono che tutto è dovuto alla misericordia di Dio. Allo stesso modo, nella storia del cristianesimo, ogni risveglio è un’opera che proviene dalla misericordia di Dio, senza alcun merito da parte dell’uomo.
Fra coloro che assistevano, vi erano degli “anziani” che avevano visto la prima casa in tutto il suo splendore, e il loro pianto era così forte che uguagliava le grida di coloro che si rallegravano, tanto che non si potevano distinguere i pianti dalle grida. Quelli che erano abbastanza anziani da aver visto il primo tempio non dovevano essere tanto numerosi, eppure i loro pianti si udivano chiaramente! Anche se piangevano, però, non erano persone tristi che privavano quella festa straordinaria della sua bellezza. Essi consideravano la situazione da un altro punto di vista, ed è giusto che anche noi lo teniamo presente se abbiamo il privilegio di vivere un tempo di risveglio.
Per quanto un risveglio possa essere benedetto, la gioia è sempre mitigata dal pensiero dello zelo e della potenza che hanno caratterizzato i primi tempi della Chiesa, com’è descritto nei primi capitoli del libro degli Atti. Anche noi, quando lavoriamo per il Signore, ci rendiamo conto del limite e dell’imperfezione delle cose che possono essere realizzate oggi, e questo, anche se non ci farà piangere, produrrà tuttavia in noi, per il nostro bene, un sentimento di umiltà.
Capitolo 4 – La costruzione del tempio interrotta
Nei primi versetti del capitolo 4, c’è un altro episodio sorprendente. Come avviene sempre quando si compie un lavoro per il Signore, si fanno avanti dei nemici. La loro prima mossa è ingannevole. Essi si presentano dichiarando di cercare e servire il vero Dio, e offrono il loro aiuto per la costruzione della “casa”, come dei sinceri collaboratori: “Noi vogliamo costruire con voi perché, come voi, noi cerchiamo il vostro Dio e gli offriamo sacrifici”.
Questo fatto mette in evidenza un’altra caratteristica molto importante di questo risveglio; infatti, Zorobabele, Iesua e gli altri capi famiglia rifiutano l’alleanza proposta e mantengono una posizione di separazione dal mondo che li circonda: “Non è compito vostro costruire insieme a noi una casa al nostro Dio; noi la costruiremo da soli al Signore, Dio d’Israele” (v. 3). Se avessero accettato la collaborazione dei nemici, la loro opera sarebbe stata rovinata fin dall’inizio. Nell’ultimo capitolo del libro di Neemia, si scoprirà una grave mancanza a questo riguardo, quando il sacerdote Eliascib aveva messo a disposizione di Tobia, che era un nemico, una grande camera del tempio del Signore.
Anche i risvegli nella storia del cristianesimo sono stati spesso rovinati per la stessa ragione. Pensiamo ad esempio al danno che la Riforma ha subito per il solo fatto che molti dei suoi conduttori si sono alleati con persone influenti e con le potenze di questo mondo. L’energia e la spiritualità del risveglio sono svanite rapidamente.
Al contrario, sotto Zorobabele e Iesua, la linea di confine fra i fedeli d’Israele che erano ritornati e le popolazioni che abitavano nei luoghi limitrofi è stata fedelmente rispettata e i risultati non hanno tardato a manifestarsi. Le divergenze d’opinione, che possono facilmente generare dispute e guerre, trovano spesso una soluzione, almeno per un po’ di tempo, nei compromessi. Ognuna delle parti cede su qualche punto, e la pace è salvaguardata! Ma qui non accade nulla di tutto questo. Il fatto di non aver accettato compromessi ha generato un’opposizione accanita, che non si è limitata a “scoraggiare” e a spaventare gli operai, ma ha cercato in ogni modo di corrompere dei consiglieri altolocati. Però la volontà di Dio è stata rispettata e i suoi insegnamenti onorati.
Ma se i credenti si mantengono separati dal mondo, dovranno subire opposizione e persecuzione. Questo principio è valido oggi come in ogni tempo. Se scegliamo il compromesso, forse eviteremo l’opposizione, ma perderemo la nostra forza spirituale e l’approvazione del Signore. Mantenendo una posizione di separazione sia dal male morale che dottrinale, in un modo o nell’altro incontreremo ostilità: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2 Timoteo 3:12). Questa opposizione non si manifesta sempre sotto forma di violenza esteriore, come nel caso dell’apostolo Paolo, ma può anche avvenire in modo indiretto e sottile. Se non incontriamo alcuna opposizione dobbiamo chiederci se la nostra testimonianza è davvero vivente e la nostra separazione dal mondo convinta e visibile.
Qui, nel Libro di Esdra, il nemico concentra tutte le sue forze contro coloro che, senza compromessi, sono decisi a ricostruire la casa di Dio, secondo le profezie. L’opposizione fu accanita e persistente. Nei v. da 5 a 7, vediamo quanto durò nel tempo: essa ebbe inizio durante il regno di Ciro, continuò sotto Assuero (da non confondere con l’Assuero di cui ci parla il libro di Ester), chiamato anche Cambise, e sotto Artaserse (v. 7), l’usurpatore conosciuto col nome di Smerdis, il quale detenne il potere per poco tempo; per arrivare poi fino al tempo di Dario (che si può identificare con Hystaspe).
Sotto il regno di Assuero gli avversari scrissero una lettera di accusa contro i Giudei di Gerusalemme, ma senza un apparente risultato.
Sotto Artaserse inviarono di nuovo una lettera a nome di alcuni fra i personaggi più eminenti del paese, con l’approvazione di nove delle tribù che abitavano nei paesi vicini alla Palestina; era un documento autorevole. Evidentemente, né il tempo trascorso né gli insuccessi dei loro primi tentativi avevano attenuato la loro opposizione che, anzi, si era fatta ancora più accanita, come si vede nei v. 7-9.
Di una copia della lettera inviata al re Artaserse ci è parlato nei v. 11-16, e vi riconosciamo con quale abilità il nemico sa mescolare la menzogna e la verità, allo scopo di confondere e snaturare i problemi.
La prima cosa che ci colpisce è che questa lettera non fa allusione alcuna a ciò che i Giudei erano venuti a fare in seguito all’ordine di Ciro, vale a dire a ricostruire la casa di Dio. Essi, invece, hanno molto da dire sulla costruzione della città e delle sue mura. È possibile che qualche piccolo lavoro di riparazione delle mura fosse stato fatto, fornendo loro un pretesto, ma sappiamo bene che la ricostruzione della città avvenne solo all’epoca di Neemia. Ciò che essi dichiaravano al re era semplicemente una menzogna. Per loro Gerusalemme era una città “ribelle e malvagia”; è vero che gli ultimi re d’Israele, in particolare Sedechia, erano stati uomini malvagi che erano venuti meno alle loro promesse e si erano ribellati. La città, tuttavia, era stata scelta inizialmente da Dio ed era ingiusto che i nemici dei Giudei trovassero, nella condotta malvagia degli ultimi re che avevano regnato a Gerusalemme, l’occasione per infangare tutta la storia di quella città.
È un esempio che ci fa riflettere su come tutta l’opera di Dio può essere disonorata a causa di alcuni servitori infedeli che offrono al nemico le occasioni per il suo nefasto lavoro.
Un altro fatto che ci colpisce è il metodo usato da questi uomini per presentare il caso. Sembrerebbe che la loro unica preoccupazione sia quella di tutelare gli interessi e la reputazione del re, e che i fatti che denunciano poco li riguardi dal punto di vista personale; essi sapevano che il sovrano, un usurpatore, temesse particolarmente tutto ciò che avrebbe potuto minacciare la sua autorità. A Satana, che agiva attraverso quegli uomini, non manca certo l’abilità e l’astuzia.
Gli ultimi versetti del cap. 4 provano che la loro lettera produsse l’effetto desiderato. Poiché già in questi tempi i documenti venivano conservati con cura negli archivi, le ricerche portarono alla luce gli intrighi riprovevoli di Sedechia e di altri, così come il grande potere già esercitato da re quali Davide e Salomone. Di conseguenza, Artaserse diede l’ordine di bloccare la costruzione, e i nemici, forti del decreto ufficiale, imposero “a mano armata” di sospendere i lavori per la costruzione della casa di Dio.
A questo punto, poteva sembrare che i piani di Dio fossero annullati. Non è forse quello che è avvenuto a più riprese nella storia del mondo? All’inizio, il proponimento di Dio nella creazione dell’uomo sembrava venisse annullato dal peccato di Adamo. Più tardi, poteva sembrare che la chiamata fatta ad Abraamo di possedere la Terra Promessa fosse decaduta quando i suoi discendenti scesero in Egitto. Ed ora, sospesa con la forza la costruzione del tempio, sembrava che il proposito di Dio, realizzato per mezzo di Davide e di Salomone, di stabilire una Sua “casa” stabile sulla terra, fosse annullato!
È accaduto lo stesso nella storia del cristianesimo, quando Dio è intervenuto in misericordia per produrre dei risvegli. L’avversario è sempre stato all’opera e ha trovato degli uomini a sua disposizione. Ma alla fine sarà Satana a trionfare? Per quanto riguarda la storia che stiamo leggendo, troviamo la risposta nei cap. 5 e 6. Quando Dio interviene, tutto cambia, e alla fine Dio interviene sempre. Che questo pensiero ci consoli e ci incoraggi!
Capitolo 5 – La costruzione del tempio ripresa
Considerando i primi quattro capitoli del libro, abbiamo notato sei caratteristiche del risveglio prodotto da Dio fra i Giudei. Riepiloghiamoli brevemente:
- Un ritorno al luogo di culto scelto inizialmente da Dio.
- L’assenza della pretesa di una potenza che avevano perso per colpa loro.
- Un sentimento di devozione.
- L’ubbidienza alla parola di Dio.
- Una posizione di separazione dal mondo.
- L’opposizione da parte del mondo.
Al cap. 5 incontriamo una settima caratteristica che completa questo quadro. Con l’interruzione della costruzione dalla casa di Dio, in seguito all’editto di Artaserse che vietava il proseguimento dei lavori, vediamo la parola di Dio agire spontaneamente in mezzo a loro in tutta la sua potenza. Questa parola è trasmessa per bocca di due profeti, Aggeo e Zaccaria. Come risultato, i Giudei riprendono la costruzione della casa, nonostante il divieto del re.
Le parole di Aggeo e Zaccaria sono conservate nei Libri che portano il loro nome. Esponiamo qui di seguito alcuni pensieri sul loro contenuto e il loro tema generale.
Il messaggio del profeta Aggeo ha lo scopo di rimproverare, istruire e incoraggiare. I Giudei, non avendo il permesso di costruire la casa dell’Eterno, si erano messi a costruire delle belle case per se stessi; così Aggeo li esorta a rimettersi all’opera per la costruzione della casa di Dio e li incoraggia parlando loro della gloria futura di questa casa che sarebbe stata ancora “più grande di quella della casa precedente” (Aggeo 2:9).
Il messaggio di Zaccaria ha ugualmente come scopo l’incoraggiamento, ma contiene visioni importanti e insegnamenti simbolici. Zaccaria predice la venuta del Messia, annuncia che sarebbe stato venduto per trenta sicli d’argento e che la spada dell’Eterno si sarebbe rivolta contro di Lui per poter riversare la benedizione su coloro che avrebbero manifestato i segni di un profondo e reale pentimento. Tuttavia il Messia tornerà in gloria e Gerusalemme lo riconoscerà come il Santo. “In quel giorno i suoi piedi si poseranno sul monte degli Ulivi… In quel giorno delle sorgenti usciranno da Gerusalemme… Il Signore sarà re di tutta la terra; in quel giorno il Signore sarà l’unico e unico sarà il suo nome” (Zaccaria 14:4, 8, 9).
Attenti ai messaggi di Aggeo e di Zaccaria, i Giudei riprendono a costruire la casa; e subito i nemici tornano alla carica. Dietro a loro si nascondeva Satana, il grande avversario. Il diavolo non si preoccupa quando vede i credenti occupati dei loro interessi personali, ma si oppone con tutte le sue forze a ciò che è fatto per Dio.
I nemici dei Giudei scrivono quindi una lettera a Dario, il nuovo sovrano della Persia (5:6-17). Il loro rapporto ci fornisce dettagli interessanti riguardo all’atteggiamento degli anziani dei Giudei: “Noi abbiamo interrogato quegli anziani, e… questa è la risposta che ci hanno data: ‘Noi siamo i servi del Dio dei cieli e della terra e ricostruiamo la casa che era già stata costruita molti anni fa”. Essi fanno capire che il loro lavoro era secondo il comandamento di Dio, alla cui autorità erano sottomessi. Solo in un secondo tempo citano l’autorizzazione che avevano ricevuta da Ciro. La loro posizione era senza equivoci.
Molti secoli più tardi, Pietro e gli altri apostoli dovettero comparire davanti al sinedrio giudaico, che voleva impedire loro di predicare Cristo risuscitato e ostacolare la costruzione della Chiesa, la “casa spirituale” che era iniziata il giorno della Pentecoste (Atti 2). La loro risposta fu: “Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini” (Atti 5:29), e continuarono a predicare l’Evangelo nonostante il divieto delle autorità religiose.
Per un atto della grazia di Dio la decisione di Dario fu pienamente favorevole: egli annullò il contrordine di Artaserse e confermò il decreto iniziale di Ciro. Vediamo così che Dio ha ogni cosa nelle mani e porta a compimento la sua Parola utilizzando gli strumenti che egli vuole.
Capitolo 6 – Editto di Dario
Con il ritrovamento dell’editto originale di Ciro, Dario si rende conto che esso era molto più dettagliato e favorevole ai Giudei di quanto i loro avversari potessero immaginare. Così, oltre ad esigere che i Giudei fossero lasciati tranquilli, Dario dà ordine che i Giudei siano aiutati attivamente nel loro lavoro, e che vengano riforniti di tutto ciò di cui avevano bisogno, sia per i lavori da eseguire che per gli olocausti da offrire a Dio. Ogni spesa sarebbe stata pagata “dalle entrate del re provenienti dai tributi d’oltre il fiume, in modo da non interrompere i lavori”. Decretava inoltre che tutti coloro che avessero ostacolato o distrutto il loro lavoro fossero inchiodati a una trave della loro casa e che quest’ultima fosse “ridotta a letamaio” (v. 6-13).
In questo modo la ricostruzione del tempio poté proseguire. Essa durò qualche anno, fino al sesto anno del regno di Dario (v. 15).
Al completamento dell’opera c’è grande allegrezza; vengono offerti sacrifici e si celebra la Pasqua (v. 16-22). Notiamo che la Pasqua non è celebrata solo dagli Israeliti reduci dall’esilio, ma anche da “tutti coloro che si erano separati dall’impurità della gente del paese e che si unirono a loro per cercare l’Eterno, Dio d’Israele” (v. 21). Chi erano queste persone? Erano dei Giudei, “alcuni dei più poveri”, lasciati nel paese, all’epoca della deportazione di Nebucodonosor, per “coltivare le vigne e i campi” (Geremia 52:16). Alcuni di loro, dunque, o i loro discendenti, dopo essersi purificati, poterono anch’essi partecipare alla Pasqua e alla festa degli Azzimi, godendo delle benedizioni di quel periodo di risveglio.
I Giudei si rendono giustamente conto che, in considerazione del peccato della nazione, era necessario un sacrificio prima di potersi presentare così solennemente davanti al Dio dei loro padri. Così, come sacrificio espiatorio offrono dodici capri, “secondo il numero delle tribù d’Israele”, benché quelli che erano tornati dalla prigionia appartenessero quasi tutti alle sole tribù di Giuda e di Beniamino, e gli appartenenti alle altre dieci tribù fossero ancora dispersi.
Cinque o sei secoli erano passati dalla divisione della nazione ebraica in regno di Giuda e regno d’Israele, avvenuta sotto Geroboamo. Ciò nonostante, il residuo tornato dalla cattività riconosce che Dio a suo tempo aveva chiamato l’intera nazione fuori dall’Egitto e che quella divisione non faceva parte dei pensieri di Dio, ma era avvenuta per colpa dell’uomo. Perciò essi, benché non rappresentino tutte le tribù d’Israele, rimangono attaccati al pensiero e al proponimento di Dio che riguardava l’intera nazione.
Ciò parla al nostro cuore anche oggi. Le divisioni esistenti in mezzo alla cristianità si sono moltiplicate, ma i credenti che si mantengono fedeli e manifestano le stesse caratteristiche dei fedeli del libro di Esdra, dovrebbero sempre avere presente nei loro pensieri e nel loro agire l’intera Chiesa del Signore, e non rinchiudersi in se stessi come se gli altri non contassero nulla per Dio. Qualsiasi Israelita, a patto che si fosse purificato separandosi dalle impurità dei pagani fra i quali viveva, doveva poter beneficiare dei sacrifici offerti e partecipare alle feste della Pasqua e degli Azzimi.
Capitolo 7 – Arrivo di Esdra a Gerusalemme
L’inizio del cap. 7 segna un nuovo periodo del ritorno dei Giudei. Esdra, il sacerdote, e altri con lui, lasciano Babilonia per salire a Gerusalemme, portando argento e oro. Era il settimo anno di quell’Artaserse sotto il cui regno, tredici anni più tardi, anche Neemia salirà a sua volta a Gerusalemme (v. 8; vedi Neemia 1:1) (*).
La genealogia di Esdra era conosciuta perfettamente. Essa è riportata nei primi cinque versetti e mostra chiaramente che egli discendeva da Aaronne, il primo sommo sacerdote. Questo lo qualificava per rivestire la posizione che avrebbe ben presto occupato. Ma Esdra aveva un’altra qualifica: era “uno scriba esperto nella legge di Mosè”, cioè conosceva molto bene la Parola di Dio. Il popolo, per quanto concerneva la sua responsabilità e la sua posizione, continuava ad essere sotto la legge. Inoltre, Esdra aveva una qualità molto importante, come lo afferma il v. 10: “si era dedicato con tutto il cuore allo studio e alla pratica della legge del Signore e a insegnare in Israele le leggi e le prescrizioni divine”.
Esdra ci ricorda Timoteo, ai tempi del Nuovo Testamento, che doveva occuparsi delle cose di Dio e dedicarsi “interamente ad esse” (1 Timoteo 4:15). Come scriba, Esdra aveva una buona conoscenza delle parole che spesso, in quanto scriba, aveva scritte, e questo aveva impegnato la sua intelligenza. Ma la disposizione del suo cuore era qualcosa di ben più profondo, e lo portava “allo studio” della legge dell’Eterno. Egli desiderava veramente essere istruito da Dio.
Il v. 10 rivela delle caratteristiche ancora più profonde: Esdra studiava la legge dell’Eterno per metterla in “pratica”. Ecco il coronamento del ritratto che ci è fatto di lui. Fermiamoci un momento a riflettere.
Esdra viveva sotto la legge di Mosè, a proposito della quale il nostro Signore dirà: “Fa’ questo e vivrai” (Luca 10:28); egli sapeva che l’importante era metterla in pratica. Noi non siamo più sotto la legge, eppure l’apostolo Giacomo scrive: “Mettete in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi” (Giacomo 1:22). Anche Paolo, in tutte le sue lettere, dopo aver dato insegnamenti dottrinali, ne dà un buon numero sulla condotta che il credente deve tenere e che la Parola richiede. Sotto la legge, gli Israeliti sapevano di dover “fare” per vivere, anche se poi non era l’ubbidienza alla legge a salvarli, ma la fede (Abacuc 2:4). Noi che sappiamo di essere salvati per la fede nell’opera di Cristo, ci impegniamo a fare la volontà di Dio e ad ubbidire al Signore per amore per Lui e per dare una testimonianza vivente e credibile. Non accontentiamoci di un cristianesimo teorico.
Essendosi “dedicato con tutto il cuore allo studio e alla pratica della legge” Esdra era in grado di “insegnare in Israele le leggi e le prescrizioni divine”. Comprendiamo ciò che questo significa e applichiamolo a noi.
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(*) L’editto di Ciro è del 536 a.C.; la casa dell’Eterno venne ultimata 21 anni più tardi, nel 515. Esdra salì a Gerusalemme dopo altri 47 anni (nel 468) e Neemia nel 455.
Inoltre, il nostro insegnamento sarà efficace solo se la nostra vita è in accordo con le nostre parole. È ciò che aveva fatto l’apostolo Paolo. Egli poteva dire agli anziani di Efeso: “In ogni cosa vi ho mostrato…” (Atti 20:35), e la parola greca utilizzata significa “mostrare con l’esempio”. Paolo ha messo in pratica nella sua vita le cose che insegnava. Questo è il modo giusto di comportarsi, oggi come ai tempi di Esdra o di Paolo.
Subito dopo questa dichiarazione relativa alla pietà e allo zelo che caratterizzavano Esdra, troviamo il testo completo della lettera che gli era stata consegnata dal re Artaserse, con la quale il re lo autorizzava a recarsi a Gerusalemme per completare l’organizzazione dei lavori e il ristabilimento delle funzioni del culto (v. 11-26).
Leggendo questi versetti restiamo meravigliati dalla straordinaria opera che Dio ha compiuto nel cuore di quel re pagano. Egli lo ha indotto ad accordare ad Esdra ogni potere, a ordinare che gli venisse prestata ogni assistenza, e soprattutto lo ha spinto a riconoscere apertamente i diritti e la grandezza del “Dio del cielo”. La saggezza onnipotente di Dio ha diretto lo spirito del re, in modo che Esdra ricevesse non solo la libertà, ma addirittura l’ordine di compiere il proponimento di Dio.
Esdra è dunque investito di autorità e deve agire, come il re stesso dice, secondo la saggezza di cui Dio lo aveva dotato. Lui e tutti i suoi compagni d’opera saranno esonerati dal pagamento di qualsiasi tributo o imposta, e autorizzati a punire tutti coloro che avrebbero trasgredito la legge di Dio, che Esdra doveva insegnare a chi non le conosceva, e quella del re.
Gli ultimi due versetti di questo capitolo riportano la preghiera di riconoscenza e di lode che Esdra rivolge a Dio. Egli riconosce in che modo Dio ha messo la sua buona mano su di lui e ha disposto il cuore del re per accordargli tutti quei benefici. Ogni cosa era fatta con lo scopo di “onorare la casa dell’Eterno”. L’argento e l’oro, così come gli altri doni provenienti dal tesoro del re, dovevano servire a esaltare la bellezza del tempio che era stato riedificato. Ma l’insegnamento della legge, a cui Esdra aveva intenzione di consacrarsi, doveva produrre in ogni famiglia quella pietà che ha un valore ben più grande dell’oro e dell’argento.
Capitolo 8 – Lista degli esuli tornati con Esdra
All’inizio di questo capitolo troviamo i nomi di coloro che erano rientrati con Esdra, secondo le loro genealogie e il numero degli uomini di ogni famiglia. Dio ha fatto in modo che i nomi di coloro che avevano risposto alla sua chiamata per tornare nel paese fossero registrati per sempre; ma i nomi di coloro che non erano stati sensibili a questa chiamata sono caduti nell’oblio.
Al v. 15 riprende la narrazione di questo rimpatrio. “Siccome la benefica mano” di Dio era su di loro, si presentò un “uomo intelligente… e con lui i suoi figli e i suoi fratelli in numero di diciotto” (v. 18); Dio sapeva che avevano bisogno di lui. Così tutti insieme si trovano radunati sulle rive del fiume Aava, pronti a partire.
Esdra è cosciente che il fatto di aver ricevuto l’aiuto di Dio nel passato non li esenta dall’obbligo di dipendere da Lui per il presente. E così, prima di mettersi in viaggio, ricercano il suo soccorso. Secondo le indicazioni della legge, è proclamato un digiuno per supplicare l’Eterno e “per chiedergli un buon viaggio” (v. 21).
Viaggiare a quei tempi non era facile e neppure sicuro. La prudenza, umanamente parlando, avrebbe suggerito di chiedere al re una scorta armata, ma Esdra non lo fa, e dice: “Mi vergognavo di chiedere al re una scorta armata e dei cavalieri per difenderci lungo il cammino”. La sua confessione è commovente: “Avevamo detto al re: ‘La mano del nostro Dio assiste tutti quelli che lo cercano; ma la sua potenza e la sua ira sono contro tutti quelli che l’abbandonano’” (v. 22). Dunque Esdra aveva parlato apertamente al re delle cure del suo Dio per il suo popolo, come pure della sua ira contro coloro che lo abbandonano; così era logico aver vergogna di contraddire la sua dichiarazione di fede.
Questo è un esempio per noi. Il problema era di Dio, e non c’era alcun bisogno di contare sulle risorse del mondo.
È facile professare di avere grande fiducia in Dio per quel che riguarda il nostro lavoro per lui, e poi venir meno quando siamo messi alla prova nei casi pratici della vita. Che vergogna quando un “nemico” deve riprenderci e ricordarci che dobbiamo mettere in pratica ciò che predichiamo! L’esempio dell’apostolo Paolo, come questo di Esdra, ci fa vedere che, per portare avanti l’opera del Signore, non abbiamo bisogno né del sostegno né della protezione del mondo.
Sicuri che Dio aveva ascoltato la loro supplica, Esdra affida a dei compagni degni di fiducia la custodia dei tesori d’oro e d’argento che avevano con sé. Così partono dal fiume Aava e arrivano sani e salvi a Gerusalemme, con tutti quei tesori. “La mano di Dio fu con noi, e ci liberò dal nemico e da ogni insidia durante il viaggio” (v. 31). I custodi avevano agito fedelmente, e tutti ringraziano Dio offrendo olocausti.
Capitolo 9 – I matrimoni con donne straniere. Preghiera e confessione di Esdra
Nella sua misericordia, Dio produce dei risvegli. Ma quasi sempre, purtroppo, dopo un inizio magnifico c’è un declino più o meno rapido. È una nostra tendenza quella di abbandonare la sorgente delle acque vive e scavarci delle cisterne screpolate, che non contengono l’acqua (Geremia 2:13). È stato così dai tempi più antichi fino ad oggi. Molti di noi hanno ereditato delle cose buone dai risvegli che Dio, nella sua grazia, ha accordato a chi ci ha preceduto, ma come le custodiamo e quale beneficio ne traiamo?
Esdra era stato talmente benedetto da Dio nel suo servizio che era giunto a Gerusalemme con grandi speranze. Ma ciò che apprese ben presto dai capi del popolo gli procurò un grande dolore. Fra coloro che si trovavano nel paese erano pochi i capi che si rendevano conto del triste declino e di come si era ben presto deteriorato ciò che era iniziato così magnificamente sotto Zorobabele e Iesua. Purtroppo, ad essere coinvolti in vari peccati non erano solo uomini del popolo, ma anche di sacerdoti, Leviti, principi e governatori. Non avevano saputo mantenere la separazione necessaria dalle varie nazioni pagane che li attorniavano, e unendosi a loro per mezzo di matrimoni si erano adeguati ai loro costumi e avevano iniziato a praticare i loro sacrifici idolatri e le loro abominazioni.
Nel libro del Deuteronomio, vediamo che sette nazioni più grandi e più potenti d’Israele si trovavano nel paese che Dio aveva loro dato. I figli d’Israele dovevano distruggerle e non unirsi in matrimonio con loro, per non esser trascinati dal loro modo di agire (Deuteronomio 7:1-6). Ma anche sotto la guida fedele di Giosuè, quest’ordine di Dio era stato solo parzialmente osservato, e ora, molti secoli più tardi, ecco di nuovo i risultati di questa trasgressione. Al primo versetto del nostro capitolo, le nazioni citate sono più o meno le stesse di quelle che troviamo in Deuteronomio 7, con l’aggiunta degli Egiziani.
Il popolo era stato avvisato degli effetti disastrosi che un’alleanza con quelle nazioni avrebbe provocato, e questi effetti si sono visti nella storia sia del regno d’Israele, sia di quello di Giuda. Per queste cose ci fu la deportazione e la dispersione.
Purtroppo lo stesso inganno, anche se sotto forme differenti, è in gran parte all’origine della quasi apostasia che vediamo oggi nella cristianità. Questo male ha avuto inizio all’epoca dell’imperatore Costantino con l’alleanza della Chiesa col mondo che, nel giro di qualche secolo, ha elevato il papato ad una posizione di grande potenza mondiale. Allo stesso modo, dopo la Riforma protestante, sono state create delle chiese di Stato nelle quali convivono, nella generale indifferenza dei responsabili, dei veri credenti e degli increduli. L’effetto disastroso in campo dottrinale e morale, e sui comportamenti pratici, è evidente a tutti.
Siamo in grado di riconoscere questo fallimento? In caso affermativo, le nostre reazioni sono almeno un po’ simili a quelle di Esdra? Consideriamo con attenzione l’effetto che ha prodotto in lui la triste scoperta di questo allontanamento da Dio e dai suoi precetti.
Esdra non è personalmente colpevole del male che è venuto a scoprire, eppure si fa carico di quei peccati invece di mettere sotto accusa solo i colpevoli. “Quando seppi questo, mi stracciai le vesti e il mantello, mi strappai i capelli della testa e i peli della barba, e mi sedetti costernato” (v. 3). Secondo gli usi dell’epoca, stracciarsi le vesti e strapparsi i capelli e la barba erano espressioni di umiliazione e di grande dolore.
Un tale esempio ha un effetto immediato. Fra i presenti, alcuni erano coscienti della trasgressione generalizzata della legge, ma non avevano l’energia o forse nemmeno una posizione tale che permettesse loro d’intraprendere qualche azione decisiva; ora però, stimolati dal gesto di Esdra, si uniscono a lui. Erano “quelli che tremavano alle parole del Dio d’Israele” (v. 4). È sempre questo tipo di persone che Dio benedirà nella sua misericordia, come Egli stesso dichiara in Isaia 66:2: “Ecco su chi io poserò lo sguardo: su chi è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola”.
Al momento dell’offerta della sera, che sotto un certo aspetto è una figura del sacrificio di Cristo, Esdra si alza, con le vesti stracciate, e si inginocchia per rivolgere a Dio la bella preghiera che è riportata nei v. da 6 a 15. Essa non contiene nessuna richiesta vera e propria, ma, dalla prima all’ultima parola, rappresenta l’umile espressione di un cuore spezzato che confessa dei peccati ai quali non ha in alcun modo partecipato. Una caratteristica notevole di questa confessione è che Esdra si identifica con il popolo e confessa le loro iniquità come se fosse stato anche lui a commetterle. Dall’inizio alla fine dice “noi”, proprio dove ci aspetteremmo di trovare “essi” o “loro”. “Mio Dio, io sono confuso; e mi vergogno, mio Dio, di alzare a te la mia faccia, perché le nostre iniquità si sono moltiplicate… e la nostra colpa è così grande che giunge al cielo” (v. 6).
Inoltre, egli riconosce che le iniquità che si trova di fronte sono le stesse commesse dal popolo d’Israele fin dall’inizio della sua storia: “Dal tempo dei nostri padri fino ad oggi siamo stati grandemente colpevoli; a causa delle nostre iniquità, noi, i nostri re e i nostri sacerdoti, siamo stati messi in mano ai re dei paesi stranieri… Eccoci davanti a te a riconoscere la nostra colpa” (v. 7 e 15).
In quel momento i peccati erano poi ancora più gravi in quanto commessi dopo che Dio aveva manifestato loro tanta misericordia facendoli ritornare dalla cattività di Babilonia.
Questo capitolo di Esdra ci dà un avvertimento solenne; lasciamo che esso produca il suo effetto nel nostro cuore. Nella storia del cristianesimo ci sono state grandi manifestazioni della misericordia di Dio. Dopo la Riforma sono avvenuti altri risvegli, quasi tutti seguiti dalla tendenza a ricadere negli errori del passato. Sarebbe bello che ogni credente, oggi, s’inginocchiasse davanti al Signore esprimendo parole simili a quelle di Esdra, dettate da convinzioni profonde e con un cuore afflitto come il suo! Allora, forse, saremo costretti a confessare anche, in qualche misura, la nostra personale responsabilità!
Capitolo 10 – Licenziamento delle donne straniere
Al v. 1 vediamo Esdra prostrato davanti alla casa di Dio. Mentre fa la sua confessione è pervaso da una profonda commozione e piange. Il suo cuore era toccato e così sarà sempre per ogni fedele servitore di Dio. L’apostolo Paolo non era un teologo che esponeva in maniera filosofica la dottrina cristiana; era un ardente servitore di Cristo, toccato nel suo spirito da ciò che predicava e dai bisogni dei santi e degli increduli (2 Timoteo 1:4). Egli può parlare di Timoteo come di qualcuno che aveva “sinceramente a cuore” ciò che riguardava i credenti (Filippesi 2:20).
Impegniamoci a coltivare anche oggi tali sentimenti, così il nostro comportamento e le nostre azioni avranno un effetto benefico sugli altri, come è stato il caso di Esdra.
Molti in Israele erano coscienti del loro peccato e del loro allontanamento, ma non avevano né la fede né la forza di agire come Esdra. Dopo essere stati risvegliati nelle coscienze riguardo al loro peccato, si uniscono a lui e piangono come lui. Uno dei capi, Secania, giunge a dichiarare che la loro unica speranza consisteva nel separarsi dal male nel quale erano caduti, ubbidendo agli insegnamenti che avevano ricevuto al principio: “Noi siamo stati infedeli al nostro Dio, sposando donne straniere… Facciamo un patto con il nostro Dio e impegniamoci a rimandare tutte queste donne e i figli nati da loro”. Era ciò che l’Eterno aveva detto per bocca del profeta Geremia: “Domandate quali siano i sentieri antichi, dove sia la buona strada, e incamminatevi per essa” (Geremia 6:16).
Questo principio è sempre valido. All’inizio di ogni “dispensazione”, Dio fa conoscere quale dev’essere il modo di agire che si addice a ciò che Egli introduce e stabilisce. Questi principi restano immutati, e se ci si accorge di essersene allontanati non c’è altro da fare che pentirsi e imboccare la strada giusta.
Su Esdra incombeva una responsabilità particolare poiché, come abbiamo visto all’inizio del cap. 7, si era dedicato con tutto il cuore a studiare, a mettere in pratica e ad insegnare la legge dell’Eterno. Secania riconosce questo, e dice ad Esdra: “Alzati, perché questo è compito tuo” (v. 4), assicurandogli, per ciò che avrebbe intrapreso, l’appoggio di tutti coloro che temono Dio.
Così vediamo Dio in azione in quest’occasione. Non tutti i cristiani sono qualificati per essere gli iniziatori di un’opera di Dio, né sono tutti chiamati a questo, nemmeno agli inizi della Chiesa. Ci sono i “conduttori” i quali ci hanno annunziato “la parola di Dio”, e di loro dobbiamo ricordarci e imitare la fede (Ebrei 13:7). I conduttori, coloro che conducono, che guidano; non solo insegnano la via agli altri, ma anch’essi la percorrono. Il comportamento e le parole di Esdra ebbero un effetto notevole e immediato, prova che Dio era con lui. La maggior parte degli uomini d’Israele furono colpiti e si radunarono a Gerusalemme sulla piazza della casa di Dio, nonostante il freddo e la forte pioggia. Decisero che avrebbero confessato il loro peccato e che avrebbero rimandato indietro le donne pagane, spezzando così i legami dai quali si erano lasciati prendere; una decisione opportuna e indispensabile a quel tempo, ma che per i cristiani sarebbe un male (1 Corinzi 7:12-16). “Confessate la vostra colpa al Signore e fate la sua volontà! Separatevi dai popoli di questo paese e dalle donne straniere” (v. 11). Purtroppo, potremmo confessare un male e poi continuare a farlo, oppure capire che un certo comportamento non è utile e perciò abbandonarlo, ma senza confessarlo come peccato. Ma quando la convinzione del peccato è sincera, vi è anzitutto la confessione e poi l’abbandono di quel peccato (vedere Proverbi 28:13).
Il seguito di questo capitolo ci dice con quale cura e con che ordine è stato effettuato il difficile e doloroso compito di licenziare le donne straniere, liberandosi così di quell’alleanza colpevole con il mondo idolatra. Se questo atto fosse stato compiuto in modo impulsivo e leggero, avrebbe gettato ancora più disonore sul nome di Dio. Questo parla ai nostri cuori. Mentre cresciamo nella grazia e la nostra comprensione della volontà di Dio diventa più profonda, può accadere di accorgersi che certe cose che giudicavamo banali e senza importanza sono invece un laccio e un impedimento nella nostra vita spirituale. Abbandoniamole, ma in modo degno del Signore che serviamo e a cui ubbdiamo. Se ciò può implicare una perdita, accettiamo questa perdita.
Il libro termina con il lungo elenco di coloro che erano stati coinvolti in quella trasgressione. Si può rimanere sorpresi vedendo che i primi nomi citati al v. 18 sono quelli dei figli di Iesua, figlio di Iosadac, il sommo sacerdote, uomo fedele il cui nome è legato a quello di Zorobabele (2:2; 3:2; 5:2), e si ritrova nelle profezie di Aggeo e di Zaccaria. Alcuni dei suoi figli, avevano partecipato a questo peccato, ma non deve sorprenderci, poiché simili tragedie sono state e sono fin troppo frequenti. Basti pensare ai casi di Aaronne e dei suoi due figli, di Samuele e dei suoi figli, di Eli e dei suoi figli, di Davide e dei suoi figli, di Ezechia e di suo figlio Manasse. La lista potrebbe allungarsi fino a giungere ai tempi attuali. È triste e umiliante che molti sinceri e devoti servitori del Signore abbiano avuto dei figli che non hanno seguito le orme dei loro padri. Questo dovrebbe incitarci a pregare con fervore per le famiglie di coloro che sono impegnati nel servizio per il Signore.
Notiamo infine che i nomi citati sono di quelli che hanno ubbidito e hanno offerto un sacrificio per la loro colpa. Se era stato per loro un disonore aver preso quelle donne, il fatto di mandarle via era un onore, ed è per questo che i loro nomi compaiono nel racconto. Come potremmo dire oggi, erano dei peccatori riabilitati.
Che bel risultato ha ottenuto il ministero e il cammino fedele di Esdra! Egli era “uno scriba esperto nella legge di Mosè” che aveva conoscenza e rispetto per la Parola di Dio, e un grande amore per Dio e per il suo popolo. Possa essere così di tutti noi, per la gloria del Suo nome e per la nostra benedizione!
[1] Cioè luci e perfezioni, parole misteriose che designavano uno o più oggetti, di natura sconosciuta, inclusi nell’efod del sommo sacerdote e posti nel pettorale, di cui egli si serviva per scoprire la volontà divina nei casi dubbi concernenti la nazione (da Dizionario biblico a cura di R. Pache)
1 commento su “Il libro di Esdra”
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