di A. Remmers
Quale credente non si è mai posto delle domande su come sarà il cielo, la casa del Padre, su cosa vedremo, su cosa ci attende? La risposta è semplice e infinitamente elevata: “saremo sempre con il Signore” e “saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è” (1 Tessalonicesi 4:17; 1 Giovanni 3:2). Centro dei consigli di Dio e della nostra adorazione eterna, il Signore Gesù nella gloria supererà ogni altra cosa e riempirà la nostra vista.
La Scrittura non ci rivela molto sul futuro dei figli di Dio. In Apocalisse 21, che ci parla dello stato eterno, leggiamo: “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (v. 4). La citazione di ciò che non ci sarà più supera già quello che possiamo immaginare. Tutto ciò che è entrato nel mondo come conseguenza del peccato sarà scomparso. Le lacrime che Dio stesso asciugherà dagli occhi dei Suoi non saranno versate, evidentemente, nella gloria, dove non ci sarà più alcun motivo di tristezza, ma durante la vita sulla terra. Dio cancellerà il ricordo delle sofferenze provate in questo mondo, e così la morte, il dolore, i pianti e le pene non esisteranno più per i Suoi. Tutto questo sarà definitivamente passato.
Dio ci fa sapere poco di ciò che riguarda la gloria futura a causa della nostra debolezza umana che è un ostacolo per comprendere queste cose. Dopo aver parlato dei consigli di Dio, l’apostolo Paolo esclama: “Oh profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie!” (Romani 11:33). Egli ha annunciato le “ricchezze… di Cristo”, ma nello stesso tempo deve dire che sono “insondabili” (Efesini 3:8).
Nel Nuovo Testamento troviamo in almeno quattro passi il termine “inesprimibile” o “ineffabile”. Ognuno di questi passi ci mette davanti un qualcosa di divino che noi possiamo conoscere solo in una limitata misura. Nello stesso tempo, ci ricordano i limiti che caratterizzano la nostra condizione attuale. Queste parole, “inesprimibile” e “ineffabile”, traducono quattro espressioni diverse dell’originale greco.
- Il dono inesprimibile di Dio
“Grazie a Dio per il suo dono inesprimibile (o ineffabile)” (2 Corinzi 9:15).
I capitoli 8 e 9 della seconda Lettera ai Corinzi hanno come soggetto il privilegio del credente di esercitare la liberalità. Dopo averlo sviluppato, Paolo ci ricorda qual è la sorgente di tutto ed esplode in una lode alla gloria di Dio, per “il suo dono inesprimibile”. Come dice in un altro passo, Dio, che “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui?” (Romani 8:32). Quale amore e quale grazia si spiegano qui davanti ai nostri sguardi! Ricordiamoci di quella frase così conosciuta e potente: “Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unico Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16). E’ davvero un dono inesprimibile!
Nel caso di 2 Corinzi il dono non è precisato. È così anche in Giovanni 4, quando il Signore dice alla Samaritana, presso il pozzo di Sicar: “Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è che ti dice: Dammi da bere…” (v. 10). Là, il Figlio di Dio non parla solo di Se stesso, ma presenta Dio come il grande donatore che vuole offrire agli uomini perduti il suo Figlio unico, la vita eterna e lo Spirito Santo (cfr. 1 Giovanni 3:24; 5:11). Tutte le benedizioni di Dio scaturiscono dal più grande di tutti i Suoi doni, quello del Figlio. Chi può comprendere e descrivere la grandezza di questo dono? Trascorreremo l’eternità a ringraziarlo per questo e ad adorare il Signore, il Suo “dono inesprimibile”. La parola greca usata qui per “inesprimibile” si potrebbe tradurre anche con “indescrivibile”. Se tutta la grandezza e la gloria di questo dono di Dio non possono essere descritte, possiamo tuttavia adorare Dio come nostro Padre e come il grande donatore.
- Una gioia ineffabile
“Gesù Cristo, benché non l’abbiate visto, voi lo amate; credendo in lui, benché non lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa” (1 Pietro 1:8).
La parola “ineffabile” significa che non può essere espresso con delle parole, indicibile, inesprimibile. La parola greca, qui usata, deriva dal verbo “divulgare”; Pietro la utilizza per descrivere la gioia del cristiano che crede in un Signore invisibile.
Tutto ciò in cui crediamo è invisibile. Il nostro sguardo è “intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono: poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne.” (2 Corinzi 2:18). “La fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono” (Ebrei 11:1). Il Signore Gesù stesso è ora invisibile all’occhio naturale. A differenza dei credenti che sono stati Suoi contemporanei, durante la Sua vita sulla terra, e con quelli che saranno testimoni della Sua gloria futura alla Sua apparizione e durante il Millennio, noi non vediamo il Signore con i nostri occhi. Possiamo, tuttavia, contemplarlo nella Sua gloria, con gli occhi del nostro cuore illuminati dallo Spirito Santo: “Vediamo Gesù… coronato d’onore e di gloria” (Ebrei 2:9; cfr. Efesini 1:18).
Contemplando così, per fede, il nostro Signore, possiamo, come scrive Pietro, gioire di una “gioia ineffabile” che non può essere espressa con parole umane. Forse sarà troppo sublime anche per il nostro futuro “linguaggio” celeste.
Per la potenza dello Spirito Santo che abita in noi, possiamo godere della comunione con il nostro Signore Gesù Cristo e contemplare la Sua gloria. Questa gloria, tuttavia, è tanto elevata che spesso non siamo in grado d’esprimere, con parole, la nostra gioia a questo riguardo. Nel culto di adorazione non abbiamo forse provato, nella contemplazione dell’amore e delle glorie di Cristo, la difficoltà a trovare le parole per esprimere la nostra gioia interiore? È una “gioia gloriosa”, cioè una gioia caratterizzata dalla gloria del nostro Signore. Ecco la ragione per cui è “ineffabile”: supera la capacità umana d’espressione. Ci conceda Dio di conoscerla di più e di sperimentarla più spesso!
- Parole ineffabili
“Conosco un uomo… che fu rapito fino al terzo cielo, e udì parole ineffabili, che non è lecito all’uomo di pronunciare” (2 Corinzi 12:2-4).
Paolo ha avuto l’immenso privilegio di essere rapito “fino al terzo cielo”, cioè in paradiso. Il terzo cielo, di cui il luogo santissimo del tabernacolo è un tipo, ricorda l’elevazione del trono di Dio, la gloria della presenza di Cristo che attualmente vi si trova (cfr. Luca 23:43; Apocalisse 2:7).
In quel luogo, Paolo ha udito “parole ineffabili, che non è lecito all’uomo di pronunciare”. Ricorda ciò che ha sentito, ma nulla di ciò che ha visto. Libero dalla carne, poteva udire delle parole così elevate e sante che l’essere umano, anche se credente, è incapace di esprimere e nemmeno è autorizzato a farlo. La parola greca usata qui significa “inesprimibile, indicibile”. Ciò che è stato udito non può essere ripetuto né pronunciato a causa della sua elevatezza e della sua santità.
Per un credente che vive sulla terra, che è ancora nella carne, quelle parole celesti sono troppo sante e non possono essere ripetute. Quest’esperienza unica di Paolo, tuttavia, è stata qualcosa di meraviglioso per lui e gli ha dato la forza e la perseveranza necessarie per compiere il servizio, spesso difficile, che il suo amatissimo Signore gli aveva affidato. Nelle più grandi difficoltà che incontrava sul suo cammino verso la meta celeste, poteva ricordare: “Sono stato lassù!”. Possiamo capire con quale spirito ha scritto ai Filippesi: “Una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la meta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù” (3:13-14).
Anche noi possiamo godere di ciò che Paolo ci insegna e aspettare con gioia il momento in cui saremo lassù e conosceremo in che modo siamo stati conosciuti da Dio (1 Corinzi 13:12).
- Dei sospiri inesprimibili
“Lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili” (Romani 8:26).
Il cap. 8 della Lettera ai Romani, più di ogni altro, parla dello Spirito Santo e della Sua azione nei credenti. Vi troviamo soprattutto la Sua abitazione in loro (v. 9-11), la Sua testimonianza in loro (v. 16), il Suo pensiero (v. 6), la Sua potenza (v. 13), la Sua guida nella nostra vita (v. 14), particolarmente per la realizzazione del nostro rapporto con il Padre (v. 15).
Una delle attività dello Spirito Santo descritte in questo capitolo è quella di Consolatore – oltre che di uno che sostiene la causa di una persona, l’aiuta e l’assiste – anche se questo appellativo di Consolatore, caratteristica del Vangelo di Giovanni (14:16), non compare in Romani. Leggiamo, al v. 26: “Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili”.
È una grazia meravigliosa che Dio abbia mandato lo Spirito Santo ai Suoi figli, come ospite celeste, perché abiti in loro! E lo è anche il fatto che, fra le diverse attività, si occupi anche della nostra fragilità umana e anzi, in qualche modo, s’identifichi con essa! Non abbiamo sperimentato, in certe situazioni, di non sapere che cosa chiedere e di farlo “come si conviene”? Siamo uomini, spesso deboli, ansiosi e perplessi; ci stanchiamo facilmente e, scoraggiati, corriamo il rischio di lasciarci andare. Ricordiamoci che, in Cristo, abbiamo un sommo Sacerdote che simpatizza per noi e che si trova alla destra di Dio; Egli può “simpatizzare con noi nelle nostre debolezze poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato” (Ebrei 4:15). E non dimentichiamo che possediamo, nello Spirito Santo, un “altro consolatore” che abita in noi.
Nelle difficoltà o nelle malattie spesso non sappiamo come dobbiamo comportarci né che cosa, e come, chiedere. Non vediamo alcuna soluzione né alcun rimedio; ed è ancor più difficile quando non riusciamo a comprendere i disegni e i pensieri di Dio. Ci sentiamo impotenti, disarmati e non vediamo alcuna via d’uscita. Non ci restano che i sospiri, espressione della nostra estrema debolezza. Allora, che consolazione sapere che lo Spirito Santo, che abita in noi, prende su di Sé tutta la nostra debolezza e intercede per noi presso il nostro Dio e Padre! Quello che non sappiamo esprimere a parole, lo Spirito Santo lo porta a Dio senza parlare. Il termine greco usato qui per “inesprimibile” significa all’origine “non pronunciato” e potrebbe essere tradotto con “senza dir parola”.
Lo Spirito non sonda solo le cose profonde di Dio (1 Corinzi 3:10), ma anche le profondità dei nostri cuori e tutto ciò che passa nella nostra mente: s’identifica con noi. Dio conosce il cuore dei Suoi figli e sa anche “qual è il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio” (Romani 8:27). Dalla nostra debolezza nasce un’opera divina, degna di Colui al quale apparteniamo e presso il quale presto saremo.
Allora non ci saranno più debolezze; tutto ciò che ora è “inesprimibile” a causa dei nostri limiti sarà conosciuto, compreso e assaporato alla perfezione da tutti i riscattati – lontani dall’afflizione, dalla sofferenza e dal dolore – alla presenza del Signore. Allora la gloria del Figlio, che nessuno, fuorché il Padre, conosce veramente, sarà, per noi come creature, di certo eternamente “inesprimibile”.