Fredy Gfeller
Prefazione
1. Dio
1.1 Il Dio creatore
1.2 Il Dio giusto e santo
1.3 «Dio è luce… Dio è amore»
1.4 Il Dio di relazione
2. L’uomo
2.1 L’origine dell’uomo
2.2 La responsabilità dell’uomo
2.3 La caduta dell’uomo
2.4 Il destino dell’uomo
3. Gesù Cristo
3.1 Chi è Gesù
3.2 L’opera di Gesù Cristo
3.3 Il trionfo di Gesù Cristo
4. Lo Spirito Santo
4.1 La sua origine e la sua natura
4.2 Le sue funzioni essenziali
4.3 Le sue azioni occasionali
4.4 Il tempio dello Spirito Santo
4.5 Ciò che limita l’azione dello Spirito Santo
5. Israele
5.1 La sua origine
5.2 La sua organizzazione
5.3 Il suo destino
5.4 Il privilegio di questo popolo
5.5 Le tribolazioni d’Israele
6. La chiesa
6.1 Il suo fondamento
6.2 Chi è membro della Chiesa?
6.3 Chiesa e cristianità
6.4 Il ruolo della Chiesa sulla terra
6.5 La chiesa locale
6.6 Il destino della Chiesa
7. La profezia
7.1 La sorgente della profezia
7.2 Il piano della profezia
7.3 Il soggetto centrale della profezia
7.4 Lo scopo della profezia
7.5 La realizzazione della profezia
8. Il mondo
8.1 Il mondo creato
8.2 Il mondo come umanità
8.3 Il mondo, sistema organizzato
8.4 Il governo del mondo
9. Satana
9.1 La sua origine
9.2 La sua caduta
9.3 La sua attività sulla terra
9.4 La sua attività nei luoghi celesti
9.5 Il suo destino
10. La morte
10.1 La sua origine
10.2 Cos’era la morte per i credenti prima di Gesù Cristo
10.3 Cos’è la morte per il vero cristiano
10.4 La morte per l’incredulo
10.5 La morte sarà abolita
11. La risurrezione
11.1 Cristo, la primizia
11.2 Due risurrezioni
11.3 La risurrezione di vita (o in vista di vivere per sempre)
11.4 La risurrezione di giudizio (o per essere giudicati e condannati per sempre)
11.5 Il Signore Gesù è la risurrezione e la vita
12. La via della salvezza
12.1 La grazia
12.2 La fede
12.3 La salvezza
12.4 Conclusione
13. La Parola di Dio
13.1 L’Antico Testamento
13.2 Il Nuovo Testamento
Prefazione
«Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sta compiuto, appieno fornito per ogni opera buona» (2 Timoteo 3:16).
Per trarre il maggior profitto dalla Bibbia, è necessario capire bene il significato e la portata dei principali argomenti trattati. Con i tredici studi di questo libro desideriamo soltanto aiutare il lettore della Bibbia a non fare confusioni e ad interpretare con esattezza il Testo Sacro. Poiché soltanto Dio può illuminare la nostra mente, consigliamo al lettore di iniziare lo studio della Parola con la preghiera, chiedendo al Signore che sia Lui ad aprire gli occhi per discernere le sue meraviglie e a disporne il cuore per apprezzare le sue ricchezze e scoprire nel Santo Libro i molteplici aspetti della gloria del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. «Investigate le Scritture… esse sono quelle che rendono testimonianza di me» (Giovanni 5:39).
Se le pagine che seguono potranno incoraggiare il lettore ad uno studio più approfondito della Bibbia, sarà raggiunto lo scopo che ci siamo proposto. La lettura della Parola di Dio porta ogni anima sincera a una fede personale in Gesù e nella sua opera compiuta alla croce, e consente al credente di acquisire una conoscenza sempre più profonda della verità. A Dio sia la gloria in eterno!
1. Dio
Dio può essere conosciuto soltanto con la rivelazione che Egli dà di se stesso e non con l’intelligenza dell’uomo. Nel corso del tempo la rivelazione di Dio è stata data per gradi, con progressione crescente, ed è sempre in rapporto al particolare tipo di relazione da Dio stesso stabilita con la sua creatura.
1.1 Il Dio creatore
Tutto il creato proclama la potenza e la sapienza di Colui che ha fatto ogni cosa.
«I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l’opera delle sue mani» (Salmo 19:1).
«Levate gli occhi in alto e guardate: Chi ha create queste cose? Colui che fa uscir fuori e conta il loro esercito» (Isaia 40:26).
«La sua eterna potenza e divinità si vedono chiaramente sin dalla creazione del mondo, essendo intese per mezzo delle opere sue» (Romani 1:20).
La prova inconfutabile dell’esistenza di Dio data dal creato rende l’uomo responsabile nei confronti del suo Creatore; e se è afferrata dalla fede, cioè se è creduta, lo rende capace di ricevere la sua Parola (vedere il seguito del Salmo 19).
«Per fede intendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio» (Ebrei 11:3).
«Nel principio era la Parola (il Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio), e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta» (Giovanni 1:1-3).
«In Lui (il Figlio) sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra» (Colossesi 1:16).
1.2 Il Dio giusto e santo
«E l’Eterno Iddio chiamò l’uomo e gli disse: Dove sei? E quegli rispose: Ho udito la tua voce nel giardino, e ho avuto paura, perch’ero nudo, e mi sono nascosto. E l’Eterno disse: Chi t’ha mostrato ch’eri nudo? Hai tu mangiato del frutto dell’albero del quale io t’avevo comandato di non mangiare?» (Genesi 3:9-11).
Adamo ed Eva avevano mangiato di quel frutto, trasgredendo l’ordine di Dio! Al suo Creatore l’uomo deve sottomissione, ed è responsabile nei suoi confronti. Questa prima scena nel paradiso terrestre mostra i diritti di Dio e l’incapacità dell’uomo a soddisfarli. Da quella disubbidienza deriva la ribellione continua dell’umanità contro Dio, in tutto il corso della sua storia.
«Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato v’è entrata la morte… e la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato» (Romani 5:12).
«O Eterno…tu hai gli occhi troppo puri per sopportare la vista del male e non puoi tollerare lo spettacolo dell’iniquità» (Habacuc 1:12-13).
«Santo, santo, santo è il Signore Iddio l’Onnipotente!» (Apocalisse 4:8).
«Santo, santo, santo è l’ Eterno degli eserciti!» (Isaia 6:3). «Giustizia e diritto sono la base del tuo trono» (Salmo 89:14).
1.3 «Dio è luce… Dio è amore»
Queste due dichiarazioni della prima epistola di Giovanni (cap. 1:5 e cap. 4:8.16) ci descrivono la natura di Dio nella sua essenza, luce e amore; la sua giustizia e la sua santità evidenziano ciò che Egli è nei confronti delle sue creature. Niente può alterare quello che Dio è in se stesso.
«In lui non vi sono tenebre alcune» (1 Giovanni 1:5), «non c’è variazione né ombra prodotta da rivolgimento» (Giacomo 1:17).
«Quanto alla Rocca, l’opera sua è perfetta, perché tutte le sue vie sono giustizia. È un Dio fedele e senza iniquità; egli è giusto e retto… Ora vedete che io solo son Dio» (Deuteronomio 32:4,39).
«Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno» (Ebrei 13:8).
A questi caratteri di amore e di luce corrispondono le manifestazioni divine di grazia e di verità, molte volte descritte insieme nelle Scritture; ed è proprio sotto questa forma che la natura di Dio è messa alla nostra portata. La parola di Dio ce ne parla e ce la rivela; lo Spirito Santo ci aiuta a comprendere; la fede afferra queste rivelazioni e se ne appropria.
1.4 Il Dio di relazione
La relazione dell’uomo con il suo Creatore è stata interrotta dal peccato; ma il pensiero di Dio e il suo desiderio di comunicare con l’uomo rimangono. Per la felicità della sua creatura, Dio stabilisce con lei delle relazioni e, nello stesso tempo, dà di Se stesso delle rivelazioni sempre nuove.
Nella storia di Abele (Genesi 4:1-4) vediamo qual è il fondamento grazie al quale la relazione dell’uomo con Dio è possibile: il sacrifcio. «Abele offerse dei primogeniti del suo gregge… E l’Eterno guardò con favore Abele e la sua offerta». Solamente il «sacrillcio», vale a dire la morte di una vittima, permette all’uomo peccatore di entrare in relazione con l’Iddio Santo. L’offerta di Abele, fatta di agnelli del suo gregge, prefigurando il sacrificio di Cristo alla croce, fu gradita da Dio. Si stabilisce così un principio immutabile, come è scritto: «Per mezzo di quell’offerta, benché morto, egli (Abele) parla ancora» (Ebrei 11:4); «Voi siete venuti… al sangue dell’aspersione (il sangue di Cristo) che parla meglio di quello di Abele» (Ebrei 12:22, 24).
Fino al tempo di Mosé, la relazione di Dio con l’uomo è stata individuale. Enoc, Noè e i patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe, hanno tutti gustato per fede la dolcezza di questa relazione. Ad Abramo Dio promise anche una discendenza (Genesi 15:5), che sarà poi il popolo di Israele con il quale l’Eterno avrà una relazione particolare.
Quando Dio si rivela a Mosè, gli dichiara di essere l’Iddio d’Israele, cioè di Giacobbe e dei suoi discendenti. Sotto il nome di «Eterno» (in ebraico Jahveh, che significa «colui che è») Egli entra in relazione con questo popolo al quale rivelerà la sua grande potenza liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto (Esodo cap. 3 a 12).
Tutta la storia di Israele, da quel momento fino alla deportazione in Babilonia che avverrà circa settecento anni dopo, è contrassegnata da questa relazione con «l’Eterno». Sovente turbata dalle molte disubbidienze di questo popolo, questa relazione per finire fu sospesa e lo è ancora oggi; ma in un prossimo futuro riprenderà, grazie alla fedeltà e alla pazienza di Dio.
Se è vero che Dio dovette abbandonare il popolo che si era scelto, facendolo deportare definitivamente in Babilonia verso l’anno 588 a.C., la sua grande misericordia permise a un piccolo numero di Ebrei di ritornare nella sua terra e di abitarvi fino alla venuta di Gesù Cristo. Durante questo periodo (di circa 400 anni), il nome che Dio prende per rivolgersi al suo popolo è: l’Eterno degli eserciti. Non si definisce più «l’Iddio d’Israele», ma l’Iddio degli eserciti, degli eserciti celesti, pronto a intervenire in favore del suo popolo, ma solo a patto che si penta.
Nell’attesa che questo popolo, il popolo «terreno» di Dio, sia riabilitato, la venuta e il rinnegamento di Gesù Cristo hanno aperto una nuova era, caratterizzata da una nuova rivelazione di Dio e da una nuova straordinaria relazione dell’uomo con Lui: quella di un figlio col Padre! Lo vediamo già subito dopo la risurrezione di Cristo, quando Egli affida a Maria Maddalena un messaggio di portata immensa: «Va’ dai miei fratelli, e di’ loro: Io salgo al Padre mio e al Padre vostro, all’Iddio mio e all’Iddio vostro» (Giovanni 20:17).
Questa rivelazione pone dunque il credente del periodo attuale In una relazione fra le più intime con Dio, e fa dell’insieme di tutti i credenti, la Chiesa, il nuovo «popolo» di Dio, un popolo «celeste».
«Vedete di quale amore ci è stato largo il Padre, dandoci di essere chiamati figliuoli di Dio!» (1 Giovanni 3:1)
«Perché siete figliuoli, Dio ha mandato lo Spirito del suo Figliuolo nei nostri cuori, che grida: Abba, Padre. Talché tu non sei più servo, ma figliuolo» (Galati 4:6,7).
Che diritto abbiamo ad una posizione così elevata? Certamente nessuno. È solo la grazia di Dio che dà accesso a questo favore. La peggiore offesa che si possa fare a Dio è disprezzare un simile dono di grazia.
Dio si rivela nella Bibbia. Nessuna filosofia, nessuna scienza può sostituire la semplice lettura di questo sacro Libro. Solo chi si lascia investigare da essa sarà capace, a sua volta, di investigare le Sacre Scritture per scoprire quello che lo può pienamente soddisfare oggi e per l’eternità.
2. L’uomo
È sufficiente guardarsi in uno specchio per conoscersi? Basta stare accanto ad una persona per sapere chi è? Sia le doti naturali, sia i difetti, non è facile discernerli; quanto più è difficile conoscere l’animo umano, nelle sue pieghe profonde che solo determinate circonstanze a volte mettono in luce!
Dio non ha voluto nascondere all’uomo il suo vero stato. Senza aspettare di scoprire noi ciò che siamo, cerchiamo la nostra immagine nella Parola di Dio che è uno specchio preciso e fedele.
2.1 L’origine dell’uomo
«Poi Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza… E Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creo a immagine di Dio; li creò maschio e femmina» (Genesi 1:26,27).
«E l’Eterno Iddio formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale, e l’uomo divenne un anima vivente» (Genesi 2:7).
«Nel giorno che Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; li creò maschio e femmina e li benedisse» (Genesi 5:1,2).
«Ho trovato che Dio ha fatto l’uomo retto» (Ecclesiaste 7:29).
«L’Iddio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso…Egli, che dà a tutti la vita, il fiato ed ogni cosa. Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitino su tutta la faccia della terra» (Atti 17:24,26).
L’uomo, indipendentemente da quello che è diventato a causa del peccato, rimane una creatura superiore, fatta all’immagine di Dio e secondo la sua somiglianza. La dignità della natura umana è riconosciuta nella Parola di Dio, tanto che Giacomo dice, con disappunto: «Con la lingua benediciamo il Signore e Padre, e con essa malediciamo gli uomini che sono fatti a somiglianza di Dio… Fratelli miei, non dev’essere così» (Giacomo 3:9,11).
L’uomo, con le sue facoltà fisiche, mentali e spirituali, è il capolavoro della creazione. Il progetto della sua formazione è stato elaborato da Dio con lo scopo di farlo capace di avere una relazione con il suo Creatore. L’uomo è l’unica creatura terrena ad avere questa capacità, ed è soprattutto per questo che è stato creato all’immagine di Dio.
L’uomo è corpo, anima e spirito. Il suo corpo tratto dalla terra, ritorna alla polvere, mentre il suo spirito torna a Dio, come è scritto: «La polvere torna alla terra com’era prima e lo spirito torna a Dio che l’ha dato» (Ecclesiaste 12:9).
2.2 La responsabilità dell’uomo
Fin dalla sua creazione, l’uomo è stato considerato responsabile nei confronti di Dio. Nella creazione gli fu dato un incarico: «Dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muova sulla terra» (Genesi 1:28); e ancora: «l’Eterno Iddio prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino d’Eden, perché lo lavorasse e lo custodisse» (Genesi 2:15).
Ma la sua responsabilità comportava anche l’ubbidienza ad una proibizione riguardo al frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male: non doveva mangiarlo. La responsabilità che l’uomo ha lo pone a un livello superiore fra tutte le creature terrene, poiché nessuna di loro ha delle relazioni con Dio.
2.3 La caduta dell’uomo
Non soddisfatto di quello che gli era stato dato, l’uomo desiderò ciò che gli era stato proibito. Per sottrarsi alla propria posizione di dipendenza nei confronti del Creatore, scelse la disubbidienza all’unico divieto che aveva ricevuto, e ascoltò la voce bugiarda di Satana, che era in sintonia col desiderio segreto, nascosto in fondo al cuore. «Sarete come Dio» (Genesi 3:5), disse il nemico, e trascinò i nostri progenitori nell’orgoglio e nella ribellione, che sono tipici dell’uomo ancora ai nostri giorni.
Tutta la storia dell’umanità è la dimostrazione di quanto sia stata vera quella scena del giardino di Eden.
La sentenza divina pronunciata allora («Nel giorno che tu ne mangerai per certo morirai») è anche dimostrata vera dalla storia umana, poiché, «siccome per mezzo di un sol uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato v’è entrata la morte, in questo modo la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato» (Romani 5:12).
Separato da Dio, perché diventato peccatore, l’uomo andò di male in peggio, e i primi cinque capitoli della Genesi lo dimostrano già. I giornali di oggi non fanno che confermarlo: violenza e corruzione sono posti giornalmente sotto i nostri occhi.
2.4 Il destino dell’uomo
«Cessate di confidarvi nell’uomo, nelle cui narici non v’è che un soffio; poiché qual caso se ne può fare?» (Isaia 2:22).
Non c’è dunque rimedio? Si deve proprio disperare dell’uomo? Messo alla prova quando era innocente, ha fallito. Messo alla prova senza una legge scritta (durante l’epoca dei patriarchi) si è corrotto oltre misura. Messo alla prova sotto gli obblighi della legge data per mezzo di Mosè, l’ha trasgredita non appena ricevuta. Messo ancora alla prova oggi, sotto la grazia, mentre Dio gli offre il perdono e la salvezza, è quello che è. E domani, sotto il regno giusto di Cristo, dimostrerà ancora la sua totale incapacità a far fronte alla propria responsabilità verso il suo Creatore.
Eppure, Dio ha in vista un’eterna benedizione per l’uomo che ha creato a sua immagine. Fin dall’eternità, trova le sue delizie fra i figli degli uomini (Proverbi 8:30-31) che avrebbe voluti tutti per sé. Per questo mise in atto un piano di salvezza e di perdono per mezzo del sacrificio sulla croce del suo Figlio Gesù Cristo. Per l’eternità, la presenza nel cielo di coloro che per fede avranno accettato questa salvezza offerta da Dio, sarà la prova evidente e la dimostrazione del meraviglioso consiglio della volontà divina.
Era già sulla base di quest’opera che, prima ancora che Cristo la compisse, la misericordia di Dio interveniva in favore di quelli che lo adoravano, che fossero appartenuti o no al popolo d’Israele. La Parola di Dio ce ne dà degli esempi con la storia di Giobbe, dei patriarchi e dei profeti. Anche tutte le cerimonie del culto della religione ebraica, quello insegnato da Dio per mezzo di Mosè, annunziavano in anticipo l’opera che sarebbe stata compiuta e con la quale i peccati commessi in passato sarebbero stati espiati (leggere Romani 3:24-26).
3. Gesù Cristo
Da un lato c’è l’Iddio santo, dall’altro l’uomo peccatore… come conciliare queste due parti?
Una simile domanda è posta già nel libro di Giobbe, la cui narrazione risale a tempi estremamente remoti:
«Come sarebbe il mortale giusto davanti a Dio?» (Giobbe 9:2).
«Che è mai l’uomo per essere puro, il nato di donna per esser giusto?» (Giobbe 15:14).
«Come può dunque l’uomo esser giusto dinanzi a Dio? Come può esser puro il nato dalla donna?» (Giobbe 25:4).
In questo stesso libro è già intravista una risposta, annunziata dallo spirito di Dio per bocca del saggio Elihu: «Se presso a lui vi è un angelo, un interprete… Iddio ha pietà di lui e dice: Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto» (Giobbe 33:23-24). C’è dunque la necessità di un «mediatore», di uno che interceda.
Fin dall’inizio del Nuovo Testamento, lo Spirito di Dio ci fa conoscere chi è l’intermediario tra Dio e gli uomini, il grande Mediatore: Gesù Cristo. Egli non poteva essere trovato fra i figli degli uomini, perché tutti sono intaccati dal peccato: «Non v’è alcun giusto, neppure uno» (Romani 3:10). Ogni sforzo della nostra razza colpevole si rivelò inutile per produrre un seppur minimo miglioramento. Eppure Dio voleva ristabilire la relazione tra Sé e la sua creatura. E il solo mezzo era mandare il suo Figlio sulla terra, Gesù, Emmanuele (che significa «Dio con noi»)!
3.1 Chi è Gesù
a. La sua natura divina
«Maria… si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo… Ciò che in lei è generato è dallo Spirito Santo. Ed ella partorirà un figliuolo e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati… La vergine sarà incinta e partorirà un figliuolo, al quale sarà posto nome Emmanuele, che interpretato vuol dire: Iddio con noi» (Matteo 1:18-23).
«Dio ha parlato a noi mediante il suo Figliuolo, ch’Egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale pure ha creato i mondi; il quale, essendo lo splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza e sostenendo tutte le cose con la parola della sua potenza, quand’ebbe fatta la purificazione dei peccati, si pose a sedere alla destra della Maestà nei luoghi altissimi» (Ebrei 1:1-3).
«Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio» (Giovanni 1:1).
b. La sua natura umana
«E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi» (Giovanni 1:14).
«Grande è il mistero della pietà: Dio è stato manifestato in carne» (1 Timoteo 3:16).
«Gesù è stato fatto di poco inferiore agli angeli… a motivo della morte che ha patita» (Ebrei 2:9).
«Io sono il primo e l’ultimo, e il Vivente; e fui morto, ma ecco son vivente per i secoli dei secoli» (Apocalisse 1:18).
La realtà della natura umana di Gesù è ampiamente dimostrata dalle narrazioni dei Vangeli; e la testimonianza che ne danno gli apostoli rende questa verità ancora più evidente.
Vogliamo tuttavia aggiungere ancora tre versetti indicanti la perfezione assoluta dell’umanità rivestita dal nostro Signore, poiché, pur «partecipando al sangue ed alla carne» (Ebrei 2:14), Egli non aveva la natura peccatrice dell’uomo:
«Colui che non ha conosciuto peccato, Egli l’ha fatto essere peccato per noi» (2 Corinzi 5:21).
«Egli che non commise peccato…» (1 Pietro 2:22).
«In Lui non c’è peccato» (1 Giovanni 3:5).
L’unione della natura umana e della natura divina in una stessa persona è un mistero che non abbiamo la possibilità di analizzare. La Parola di Dio lo dichiara, e noi crediamo e adoriamo. I profeti lo avevano già annunziato, come in quel passo di Isaia: «Un fanciullo ci è nato (è la sua umanità), un figliuolo ci è stato dato (è la divinità, è Cristo figlio di Dio), e l’imperio riposa sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della Pace» (Isaia 9:6).
Questi vari titoli dimostrano la sua divinità e la sua umanità nello stesso tempo; Egli farà valere i diritti di queste sue caratteristiche secondo il suo potere divino, e a motivo della sua qualità di «Figlio dell’uomo», come Egli stesso dice: «Come il Padre ha vita in se stesso così ha dato anche al Figliuolo d’aver vita in se stesso; e gli ha dato autorità di giudicare, perché è il Figliuol dell’uomo» (Giovanni 5:26-27).
3.2 L’opera di Gesù Cristo
«Il Figliuol dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti» (Marco 10:45). Egli è venuto per servire Dio, suo Padre, ma anche per servire il suo populo durante il tempo del suo ministerio di grazia.
Venuto nell’umiltà più profonda, il Signore Gesù ha preso «la forma di servo» (Filippesi 2:7) ed era fra i suoi discepoli come «colui che serve» (Luca 22:27). La perfezione del suo servizio a favore dei suoi è stata ed è altrettanto grande quanto la perfezione della sua abnegazione. Quest’umiltà nel servizio lo portò a lavare i piedi dei suoi discepoli. Non c’era niente di troppo piccolo né di troppo modesto per il Servitore perfetto la cui completa gioia consisteva nel fare la volontà di Colui che l’aveva mandato.
«Io sono il buon pastore; il buon pastore mette la sua vita per le pecore» (Giovanni 10: 11). Gesù Cristo ha messo la propria vita al servizio dei suoi durante il suo ministerio, ma, ancora di più, ha dato la sua vita «come prezzo di riscatto per molti».
Indicheremo ora, con dei passi della Scrittura, vari aspetti dello scopo della morte del Signore Gesù sulla croce del Calvario:
«Gesù Cristo… ha dato se stesso per i nostri peccati» (Galati 1:4).
«Gesù Cristo uomo… diede se stesso qual prezzo di riscatto per tutti» (1 Timoteo 2:6).
«Ha portato egli stesso i nostri peccati nel suo corpo sul legno» (1 Pietro 2:24).
«Gesù, nostro Signore… è stato dato a cagione delle nostre offese, ed è risuscitato a cagione della nostra giustificazione» (Romani 4:25).
«Cristo ci ha amati ed ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio, qual profumo d’odor soave» (Efesini 5:2).
«Cristo,… mediante lo spirito eterno ha offerto se stesso puro d’ogni colpa a Dio» (Ebrei 9:14).
«Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita, per ripigliarla poi» (Giovanni 10:17).
Si potrebbero citare molti altri versetti della Parola di Dio, che ci indicano i due grandi scopi della morte di Gesù sulla croce:
1. rivendicare la gloria di Dio secondo i diritti della sua giustizia e della sua santità;
2. salvare l’uomo purificandolo dal suo peccato.
3.3 Il trionfo di Gesù Cristo
Mediante la morte Egli ha «reso impotente colui che aveva l’impero della morte, cioè il diavolo» (Ebrei 2:14). Alla croce, il Signore ha trionfato sulle potenze delle tenebre, le ha spogliate e ne ha fatto un pubblico spettacolo (Colossesi 2:15).
Al termine delle ore trascorse sulla croce, prima di rimettere il suo spirito nelle mani del Padre, ha detto: «È compiuto» (Giovanni 19:30). Poi entrò nel soggiorno della morte ma come un vincitore, perché questa fortezza inespugnabile, custodita da Satana stesso, è ormai presa: «Egli ha rotto le porte di rame e ha spezzato le sbarre di ferro» (Salmo 107:16). Niente impedirà alla morte di restituire la sua preda; infatti il Signore è risuscitato; il sepolcro, nonostante la pesante pietra che ne chiudeva l’entrata, si aprì e fu visto vuoto. «La morte è stata sommersa nella vittoria» (1 Corinzi 15:54).
Ci sono numerose prove che attestano questa verità capitale: «Cristo è risuscitato dai morti» (1 Corinzi 15:20). Questo grande avvenimento è il fondamento della lede cristiana; non c’è da stupirsi quindi che i nemici dell’evangelo si siano accaniti contro questa grande verità.
Ma il trionfo di Gesù non si limita alla sua risurrezione: «L’ora viene in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne verranno fuori» (Giovanni 5:28). A Lui che è morto sulla croce e che è stato risuscitato sarà data la dominazione universale. Questo glorioso trionfo è dichiarato da numerosi testi delle Sacre Scritture, sia esplicitamente sia attraverso simboli e figure. Senza trascriverli tutti, proponiamo al lettore di cercare nella sua Bibbia quelli citati qui sotto, lasciandogli la cura di scoprirne altri:
– I Salmi 2; 8; 21; 22; 24; 45; 110 ecc.
– Apocalisse 19:6-16.
– La storia di Giuseppe, in Genesi cap. 39 a 41.
– La storia di Mardocheo, in Ester 6 a 8.
4. Lo Spirito Santo
Benché la parola «trinità» non si trovi nella Parola di Dio, la realtà di quello che essa esprime vi è ampiamente confermata.
Quando è parlato della creazione dell’uomo, il verbo è al plurale: «Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza» (Genesi 1:26). Al versetto 2 di questo stesso capitolo troviamo menzionato lo Spirito di Dio, quando è detto: «Lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque». Le attività dello Spirito sono indicate a più riprese nell’antico Testamento. Esso agiva con potenza nei giudici e nei profeti, sia per il compimento di opere particolari, sia per la testimonianza che quegli uomini di Dio dovevano rendere. Sotto la guida dello Spirito Santo è stata scritta la Bibbia, tanto la parte storica quanto la parte profetica e quella poetica. Pietro scrive che «degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo» (2 Pietro 1:21).
Leggendo il Nuovo Testamento, impariamo a conoscere meglio questa Persona divina, la terza persona della gloriosa Divinità.
4.1 La sua origine e la sua natura
Lo Spirito Santo procede dal Padre (Giovanni 15:26), e il Padre lo manda a nome del Figlio (Giovanni 14:26). In seguito alla glorificazione di Gesù, la promessa riguardante la discesa dello Spirito Santo si compie il giorno della Pentecoste sui discepoli riuniti. Mentre, fino a quel momento, lo Spirito Santo esercitava il suo potere in occasioni particolari, a partire dal giorno della Pentecoste esso è venuto sulla terra per abitare in ogni singolo credente e nella Chiesa del Signore (Efesini 2:22).
È nominato «Spirito di Dio», «Spirito di Cristo», «Spirito di Gesù» e, più frequentemente, «Spirito Santo» o semplicemente «Spirito». I passi della Bibbia che lo riguardano sono così tanti che non possiamo citarli: gli scritti del Nuovo Testamento ne sono pieni.
Quanto alla natura divina dello Spirito e al fatto che sia una persona distinta dal Padre e dal Figlio, proponiamo al lettore di considerare i seguenti passi: Matteo 28:19; 1 Corinzi 12: 4-6; 2 Corinzi 13:13, come pure le tre parabole di Luca 15 dove possiamo vedere rappresentati il Figlio nella prima, lo Spirito nella seconda e il Padre nella terza.
4.2 Le sue funzioni essenziali
Nei capitoli 14. 15 e 16 del vangelo di Giovanni, il Signore Gesù ammaestra i suoi discepoli in vista del tempo in cui sarebbero stati lasciati sulla terra senza di Lui. Nel corso di questi intrattenimenti di deliziosa intimità, il Signore fa spesso allusione allo Spirito Santo, chiamandolo «il Consolatore». Questo termine (in greco «Paracletos») ha anche il significato di avvocato, assistente, difensore.
Lo Spirito Santo sostituisce il Signore sulla terra nella parte che Gesù aveva mentre era con i suoi discepoli. Pertanto, non poteva essere mandato prima che Gesù Cristo fosse glorificato (vedere Giovanni 7:39; 14:16; 16:7). Le funzioni di questo Consolatore sono date nei seguenti versetti:
«Lo Spirito Santo… v’insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quello che v’ho detto» (Giovanni 14:26);
«Egli testimonierà di me» (Giovanni 15:26); «convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio» (Giovanni 16:8);
«Egli vi guiderà in tutta la verità… e vi annunzierà le cose a venire» (Giovanni 16:13);
«Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Giovanni 16:14).
Lo Spirito Santo è come un «sigillo» che Dio mette su ogni uomo che crede quale segno che appartiene a Lui. È anche «il pegno» (cioè la caparra) dei beni celesti che Dio ci darà in eredità (Efesini 1:13-14). È Lui che ci fa comprendere la Parola di Dio e, per la sua testimonianza in noi, noi conosciamo la relazione che abbiamo con Dio per la fede (vedere 1 Giovanni 2:27; Romani 8:15-16; 1 Giovanni 3:24; 4:13).
Lo Spirito Santo è anche la «potenza» che opera nella vita di ogni credente, e la sua azione non deve venire né «rattristata» né «soffocata» né «spenta». Lo Spirito Santo agisce nel cuore dei riscattati del Signore per sviluppare degli affetti sinceri per il loro Salvatore e guidarli a desiderare più ardentemente il suo ritorno. «Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni!» (Apocalisse 22:17).
Ma la sua opera non è solamente un’azione nel cuore di ogni singolo credente, ma è pure un’azione collettiva. Egli agisce nella Chiesa del Signore per mezzo di svariati «doni» tendenti tutti all’edificazione (vedere 1 Corinzi 12 e 14 come pure Efesini 4:11-13).
4.3 Le sue azioni occasionali
«Fan tutti dei miracoli? Tutti hanno i doni delle guarigioni? Parlano tutti in altre lingue? Interpretano tutti?» (1 Corinzi 12:29-30). Queste domande dimostrano che i doni dello Spirito sono soltanto prerogativa di alcuni (*). Se la necessità di un dono non si presenta, questo dono può non esserci. Non c’è niente che impedisca allo Spirito di agire, allora come oggi, nello stesso modo, se le circostanze lo richiedono. In generale non esistano più, per lo meno nei paesi cristianizzati, le condizioni che rendevano necessari i doni citati nei versetti qui sopra. Questi doni erano indispensabili quando la Parola di Dio non era interamente scritta e il Cristianesimo era ancora sconosciuto.
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(*) A ciascuno è stato dato un dono dello Spirito (1 Cor. 12:7). Però questo dono non è lo medesimo per tutti (Rom. 12:6).
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Gli ultimi versetti del Vangelo di Marco e il versetto 4 del capitolo 2 dell’epistola agli Ebrei, ci dicono che i miracoli «accompagnavano» la Parola di Dio e la «confermavano». Sia l’ambiente idolatra dei paesi pagani vicini ad Israele, sia il formalismo del culto levitico praticato dagli Ebrei, come pure la filosofia dei Greci e il tradizionalismo dei Giudei, tutto era diametralmente opposto alla verità dell’evangelo. Lo Spirito Santo doveva dunque dimostrarne la potenza per sconfiggere gli oppositori. Nei tempi futuri, descritti nell’Apocalisse, questa potenza dello Spirito di Dio agirà in modo ancor più spettacolare per mezzo dei due testimoni che allora saranno suscitati (Apocalisse 11:4-6).
4.4 Il tempio dello Spirito Santo
«Il Padre… vi darà un altro Consolatore, perché sia con voi in perpetuo, lo Spirito della verità… Egli dimora con voi e sarà in voi» (Giovanni 14:16-17).
«Non sapete voi che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Corinzi 3:16).
«Non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale avete da Dio?» (1 Corinzi 6:19).
«E in Lui voi pure entrate a far parte dell’edificio, che ha da servire di dimora a Dio per lo Spirito» (Efesini 2:22).
Questi versetti dicono chiaramente quale sia il «tempio» dello Spirito Santo sulla terra. Non si tratta di una construzione umana né di un edificio particolare. Come si è detto, il credente, riscattato dal sangue di Cristo, nato di nuovo per la fede nell’opera di Gesù, è egli stesso il tempio dello Spirito Santo. Ne è suggellato e ne ha l’unzione, secondo la Parola di Dio (vedere 2 Corinzi 1:21-22; Efesini 1:13). Anche il più giovane e semplice convertito possiede questo privilegio, come leggiamo: «Quanto a voi, avete l’unzione dal Santo e conoscete ogni cosa… L’unzione che avete ricevuta da Lui dimora in voi» (1 Giovanni 2:20,27).
Il passo di Efesini 2:22 presenta l’aspetto collettivo di questa verità; è l’insieme dei credenti, la Chiesa di Dio sulla terra che è il tempio dello Spirito Santo. Tale aspetto collettivo risalta pure dal pensiero del legame che troviamo in 2 Corinzi 1:21 e in Efesini 4:3: «Colui che con voi ci rende fermi in Cristo e che ci ha unti, è Dio»; «Studiandovi di conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace».
4.5 Ciò che limita l’azione dello Spirito Santo
«Non contristate lo Spirito Santo di Dio col quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione (Efesini 4: 30).
«Siate ripieni dello Spirito» (Efesini 5: 18). «Non spegnete lo Spirito» (1 Tessalonicesi 5: 19).
Ne risulta così che il nostro comportamento può impedire allo Spirito di agire liberamente, sia nella nostra vita individuale, sia nella Chiesa di Dio in generale o in quella che ne è la rappresentazione locale, il radunamento dei credenti in un certo luogo.
Perché tanta infedeltà generale? Perché tanta pigrizia nella testimonianza individuale? Ci sono cose che nuociono alla libera azione dello Spirito Santo. Lo Spirito non può riempire completamente il nostro cuore se questo è ancora ingombro di tante altre cose. Non dobbiamo cercare altrove le cause della debolezza della testimonianza cristiana. Lo Spirito di Dio c’è, ma la sua azione è intralciata da quella della nostra carne; e ciò si riflette sulla testimonianza collettiva tanto più quando, venuta a mancare la libera azione dello Spirito, l’uomo cerca di sostituirla con organizzazioni umane.
5. Israele
Il pensiero di Dio era di rivelarsi ad ogni uomo; ma l’umanità si diede all’idolatria, e allora Dio scelse un popolo a cui comunicare la sua rivelazione: Israele. Lo fece secondo la sua sovrana libertà di scelta e non perché avesse dei meriti particolari. La storia di questo popolo dimostra ampiamente che il privilegio di essere depositario degli oracoli di Dio non è automaticamente un segno di nobiltà morale.
5.1 La sua origine
Nella famiglia umana che discese da Noè dopo il diluvio, Abramo fu il primo ad essere chiamato da Dio. La conoscenza del vero Dio si era già molto affievolita a causa dell’idolatria sempre crescente. In quell’epoca lontana, la testimonianza di Dio era trasmessa oralmente da una generazione all’altra. Nonostante la lunga durata della vita umana che permetteva a sei generazioni di coesistere, questa trasmissione orale della Parola correva il rischio di profonde falsificazioni. Occorreva dunque una particolare rivelazione di Dio insieme all’azione dello Spirito Santo per rendere possibile il mantenimento di una relazione tra l’uomo e il suo Creatore.
La chiamata di Abramo ci fa conoscere due fatti di fondamentale importanza: la separazione dal mondo, «esci dal tuo paese e dal tuo parentado», e l’ubbidienza della fede, «e vieni nel paese che io ti mostrerò» (Atti 7:3).
In rapporto con la sua discendenza gli vengono fatte promesse incondizionate. Tali promesse sono rinnovate a Isacco e a Giacobbe, i quali devono ancora attendere il loro compimento in un paese in cui vivono da stranieri. La storia di questi tre patriarchi, contenuta nei capitoli 12 e seguenti del libro della Genesi, è piena di istruzioni, e ne avrà grande profitto chi la studierà. Dunque, con Abramo, Isacco e Giacobbe, abbiamo il «ceppo» del popolo d’Israele. Il nome «Israele» fu dato a Giacobbe in occasione di due incontri memorabili con Dio, durante il ritorno dal suo esilio (vedere Genesi 32:28 e 35:10). I dodici figli di Giacobbe diventarono i padri, i capostipiti delle dodici tribù d’Israele la cui storia riempie l’Antico Testamento.
5.2 La sua organizzazione
Dio aveva già predetto ad Abramo che i suoi discendenti avrebbero soggiornato in un paese straniero come schiavi per quattrocento anni; e ciò avvenne in Egitto, da quando Giuseppe, venduto dai suoi fratelli, diventò governatore di quel paese. Dopo avervi fatto abitare la propria famiglia per preservarla da una grave carestia, Giuseppe morì e nel paese ci fu un cambiamento di dinastia. I Faraoni che regnarono da quel momento in poi angariaron il popolo d’Israele, che nel frattempo, divenne molto numeroso. Allora Dio suscitò Mosè che, miracolosamente, entrò alla corte del Faraone dove fu allevato ed istruito in tutte le conoscenze possedute da quel popolo. Nelle sue vie, Dio voleva dunque dotare Israele di un liberatore in grado di guidarlo e ammaestrarlo; ed anche formare un legislatore in grado di scrivere gli ordini da Lui dettati per comunicarli al popolo.
La rivelazione fatta da Dio a Mosè sul monte Horeb, nel fuoco del cespuglio spinoso, è il punto di partenza della relazione di Dio con il popolo d’Israele. La successiva fuga del popolo dall’Egitto con il sacrificio della Pasqua e la traversata del Mar Rosso è anche un punto di partenza, visto da parte dell’uomo. Non appena il sangue dell’agnello della Pasqua, prefigurazione di quello di Gesù Cristo, «l’Agnello di Dio», venne sparso all’ingresso delle case degli Israeliti, il popolo fu appartato, in vista della liberazione. Uscito dall’Egitto attraverso il Mar Rosso, fu guidato da Dio stesso, per essere in seguito introdotto nel paese promesso ad Abramo: la Palestina.
Ma un popolo di più di due milioni di persone aveva bisogno di una legislazione. Come fare? È ancora l’Eterno che, per mezzo degli angeli, diede al suo popolo una legge che rimase un modello fino alle nostre generazioni. Nulla è lasciato in balia della fantasia dell’uomo. Tutto si basa su ciò che Dio aveva comandato a Mosè sia sul monte Sinai, sia successivamente dall’interno della cosiddetta «tenda di convegno». Tutti gli insegnamenti sono dati, sia per quanto riguarda il culto, che per la vita corrente.
5.3 Il suo destino
Il pensiero di Dio riguardo al suo popolo è stato comunicato ad Abramo, è stato ripetuto a Mosè e confermato molte volte dai profeti. È il soggetto della lode di Israele, già sulle rive del Mar Rosso: «Tu li introdurrai eli pianterai sul monte del tuo retaggio, nel luogo che hai preparato, o Eterno, per la tua dimora, nel santuario che le tue mani, o Signore, hanno stabilito» (Esodo 15:17). Il desiderio di Dio era di abitare in mezzo al suo popolo e rendere questo popolo perfettamente felice intorno a Lui. Per rendere possibile la realizzazione di un simile piano d’amore, Dio nel corso del tempo ha utilizzato tutti i mezzi possibili; e alla fine, duemila anni fa, ha inviato il suo proprio Figlio. Purtroppo, tutto sembra essere stato vano: la legge data da Mosè è stata violata, i profeti che vennero successivamente non sono stati ascoltati, e il Figlio fu messo a morte!
Cosa farà Dio? Manterrà le sue promesse? La costante ribellione del suo popolo distoglierà per sempre i progetti di Dio a suo riguardo? L’unica risposta a queste domande è basata sulla misericordia divina, come leggiamo in Romani 11:29-32: «I doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento. Poiché, siccome voi siete stati in passato disubbidienti a Dio ma ora avete ottenuto misericordia… così anch’essi (Israele) sono stati disubbidienti, onde ottengano misericordia. Poiché Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per fare misericordia a tutti». Il profeta Michea l’aveva già dichiarato alla fine del suo messaggio: «Qual Dio è come te, che perdoni l’iniquità e passi sopra alla trasgressione del residuo della tua eredità? Egli non serba l’ira sua in perpetuo, perché si compiace d’usar misericordia. Egli tornerà ad aver pietà di noi, si metterà sotti i piedi le nostre iniquità e getterà nel fondo del mare tutti i nostri peccati. Tu mostrerai la tua fedeltà a Giacobbe, la tua misericordia ad Abrahamo, come giurasti ai nostri padri, fino dai giorni antichi» (Michea 7:18-20).
Sì. Dio benedirà il suo popolo, in un tempo futuro ma non lontano, quando si sarà rivolto al Signore Gesù, colui che hanno trafitto, e con profonda umiliazione confesseranno il loro delitto (vedere Zaccaria 12:10-14). Allora il Signore apparirà in gloria agli sguardi sorpresi dei fedeli di quel tempo che gli diranno: «Che son quelle ferite che hai nelle mani? Ed Egli risponderà: Son le ferite che ho ricevuto nella casa dei miei amici» (Zaccaria 13:6). Allora verrà stabilito il Regno di mille anni, regno di giustizia e di pace al quale tutto il mondo aspira e che porterà Israele a godere finalmente delle promesse fatte ad Abrahamo quattro millenni fa.
5.4 Il privilegio di questo popolo
Attualmente Israele è in stato di disgrazia. Già il profeta Osea l’annunciava dicendo: «Mettigli nome Lo-ruhama (che significa «che non ottiene misericordia») perché io non avrò più compassione della casa d’Israle… Mettigli nome Lo-ammi (che significa «non più mio popolo») perché voi non siete mio popolo, e io non sono vostro» (Osea 1:6,9).
Lo stato di Israele, tuttavia, non ostacola la bontà di Dio che si manifesta sempre attiva nei riguardi di chi si volge verso di Lui, tanto fra i Giudei quanto fra le altre nazioni. Ma il ripristino delle relazioni privilegiate dell’Eterno con Israele avrà luogo soltanto più tardi, dopo che i credenti dell’attuale periodo della grazia, che costituiscono la Chiesa del Signore, saranno riuniti nella casa del Padre. Paolo scrive che «un indurimento parziale si è prodotto in Israele, finché sia entrata la pienezza dei Gentili (con quest’espressione si intendono i salvati delle altre nazioni che non sono Israele); e così tutto Israele sarà salvato… Per quanto concerne l’Evangelo, essi sono nemici…; ma per quanto concerne l’elezione, sono amati per via dei loro padri; perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento» (Romani 11:25-29).
Questo popolo, posto sotto il castigo di Dio a causa della sua disubbidienza, rimane tuttavia un popolo privilegiato: «Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? O qual è l’utilità della circoncisione? Grande per ogni maniera; prima di tutto, perché a loro furono affidati gli oracoli di Dio» (Romani 3:1-2). Di loro è ancora detto: «Ai quali appartengono l’adozione e la gloria e i patti e la legislazione e il culto e le promesse; dei quali sono i padri, e dai quali è venuto, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno» (Romani 9:4-5).
Le promesse riguardanti Israele riempiono la Parola di Dio. Sono state pronunciate fin dai tempi antichi, sia da Dio stesso, quando s’è rivolto ai patriarchi, sia da Giacobbe nel magnifico capitolo 49 della Genesi, sia, anche se involontariamente, dall’indivino Balaam nei capitoli 23 e 24 dei Numeri in cui leggiamo espressamente: «Ecco, è un popolo che dimora solo, e non è contato nel novero delle nazioni» (Numeri 23:9). Il fatto che questo popolo abbia mantenuto la propria identità, nonostante la sua dispersione nel mondo e le innumerevoli persecuzioni subite, rimane un mistero e conferma la veridicità della Parola di Dio. È straordinario leggere nella Bibbia descrizioni profetiche scritte più di duemila anni fa riguardo ad Israele e che corrispondono esattamente a quanto gli è accaduto, e a quanto gli accade oggi e gli accadrà ancora.
La caratteristica del popolo giudeo, che ha attirato su di sé molto odio e che suscita pure la gelosia di molti popoli vicini, corrisponde esattamente alla sua storia come ci è rivelata nella Parola di Dio. Accecato com’è per aver rifiutato Cristo, e sotto l’influenza di Satana che gli ha oscurato il cuore, questo popolo ha sempre usato la propria ingegnosità per soddisfare il suo orgoglioso desiderio di dominio. Quando, con sincero pentimento, si volgerà verso il Signore e gli si sottometterà, allora ci sarà per lui una completa riabilitazione.
5.5 Le tribolazioni d’Israele
Già anticamente, in Egitto, i figliuoli d’Israele conobbero la tribolazione. Quando sorse nel paese un nuovo Faraone che non aveva conosciuto Giuseppe, essi furono sottomessi ad una terribile schiavitù. Un Faraone decretò persino di uccidere tutti i neonati di sesso maschile (Esodo 1:15-20), pensando di annientare così per sempre quella razza che gli faceva paura. In Faraone possiamo discernere l’opera di Satana stesso, intento con tutti gli sforzi possibili ad impedire che da Israele nascesse il Messia, il Salvatore, secondo la promessa di Dio. Ricordiamo infatti che già ad Eva l’Eterno aveva promesso che la sua discendenza (Cristo) avrebbe schiacciato la testa del serpente (Satana). Poi aveva precisato che il Cristo sarebbe venuto dal popolo di Israele. Così Satana ha ripetutamente cercato di impedire che questo avvenisse; ma Dio non ha mai permesso che si realizzassero i suoi diabolici disegni.
Il rinnegamento del Messia, Gesù Cristo, da parte di Israele e la sua crocifissione hanno attirato su questo popolo un terribile giudizio. L’espugnazione di Gerusalemme e la dispersione dei Giudei fra le nazioni, avvenuta nel 70 d.C. per opera dei Romani, sono state le conseguenze dirette di quell’atroce delitto. Son quasi duemila anni che il popolo Giudeo soffre tribolazioni sconosciute a qualunque altra nazione. I ghetti, le razzie e i campi di sterminio sono nella memoria di tutti. Satana sta dietro la scena, non c’è dubbio, sempre con lo scopo di nuocere al compimento dei piani divini. Ma, nonostante ciò, essi si realizzeranno per la gloria del Signore e Salvatore Gesù Cristo, per la completa riabilitazione d’Israele e per la benedizione di tutto il mondo. Ma fino a quel momento ci sarà ancora un terribile tempo di prova per i Giudei, «un tempo di distretta per Giacobbe; ma pure ei ne sarà salvato» (Geremia 30:7). Questa tribolazione senza precedenti, limitata a tre anni e mozzo è preannunciata sia dai profeti che dal Signore Gesù e dagli apostoli. Ci sarà fra poco e, alla fine, il Signore apparirà in gloria (*).
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(*) In quel momento sarà anche distrutto l’Anticristo, un personaggio sinistro che, con la potenza e l’astuzia di Satana, si farà ricevere dai Giudei dicendo di essere il Messia promesso, e parecchi lo seguiranno. Tuttavia un residuo fedele, attaccato al suo Dio, resterà nella vigile attesa della venuta gloriosa di Cristo. Preservati dalla morte, durante questo terribile periodo, questi Giudei fedeli, rappresentati dai centoquarantaquattromila suggellati del cap. 7 dell’Apocalisse, costituiranno il nucleo dell’Israele futuro che con Cristo regnerà mille anni, e che sarà, sotto l’egida del Re di gloria una benedizione per tutta la terra.
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6. La chiesa
6.1 Il suo fondamento
La Chiesa, o Assemblea (il termine Ecclesia in greco significa assemblea) è menzionata per la prima volta nell’evangelo di Matteo dove il Signore dice: «Su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» (Matteo 16:18). Il Signore Gesù è dunque Egli stesso il costruttore. L’«edificio» fatto di «pietre viventi», che sono i credenti in Cristo, era ancora da costruire quando Pietro ha pronunciato quella bella dichiarazione: «Tu sei il Cristo, il figlio dell’Iddio vivente» (Matteo 16:16). Il solido fondamento su cui doveva poggiare la Chiesa era la verità detta dall’apostolo, ed egli stesso fu designato dal Signore per riunire i primi elementi di questa «costruzione» e stabilirli sul fondamento irremovibile, sulla «pietra» che è Gesù Cristo. Anche l’apostolo Paolo dice: «Secundo la grazia di Dio che m’è stata data, come savio architetto, ho posto il fondamento… Poiché nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Gesù Cristo» (1 Corinzi 3:10-11).
Questo fondamento è stato insegnato agli apostoli, e posto da loro stessi, sia nelle parole del discorso di Pietro all’inizio degli Atti, sia nelle sue epistole e in quelle di Paolo. L’epistola agli Efesini, il cui soggetto è l’unione di Cristo e della Chiesa, dice: «Siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio, essendo stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare» (Efesini 2:19-20).
Così stabilita, fondata su Cristo e costruita da Lui, la Chiesa non è dunque un’organizzazione umana, ma un’opera divina.
6.2 Chi è membro della Chiesa?
All’inizio del libro degli Atti è detto che «il Signore aggiungeva alla chiesa ogni giorno coloro che erano salvati» (Atti 2:47 vers. Diodati). Anche se sono i membri dell’assemblea a predicare l’evangelo e ad annunciare Cristo alle anime, l’opera è poi tutta di Dio. I peccatori salvati per grazia sono aggiunti da Gesù Cristo stesso a quest’edificio in formazione, come tante «pietre viventi», secondo quanto leggiamo: «Anche voi, come pietre viventi, siete edificati qual casa spirituale» (1 Pietro 2:5). Non appena uno si pente dei suoi peccati e crede all’opera redentrice di Cristo, diventa parte integrante della casa di Dio, che è la Chiesa dell’Iddio vivente. Forse lo ignora, per mancanza d’insegnamento a questo riguardo, ma nondimeno è quello che il Signore ha voluto fare di lui.
Questo «edificio» è ancora in costruzione, ma è in via di compimento, poiché presto il Signore verrà a prendere con sé i suoi riscattati per riunirli tutti nella casa del Padre. Non ne sarà dimenticato alcuno; ma nessuno potrà far parte di questi beati se non ha risposto personalmente alla chiamata di grazia del Salvatore.
6.3 Chiesa e cristianità
Per l’opera di formazione della sua Chiesa il Signore Gesù impiega quelli che già ne fanno parte. Essi sono tanti «ambasciatori» mandati nel mondo per portare delle anime a Cristo; sono dei collaboratori di Dio, operai ai quali è affidata un’opera nella costruzione dell’edificio. Ma non appena si affida all’uomo una responsabilità, questi si dimostra incapace. Nelle chiese, fin dall’inizio, si sono introdotti dei falsi fratelli e anche dei falsi dottori. Così si è costituita la cristianità dove, accanto ai veri figli di Dio, membri della Chiesa di Cristo, c’è gente che di cristiano ha soltanto il nome. Questo insieme, poi, si è frazionato in gruppi, che rivendicano, ognuno, il titolo di chiesa: chiesa romana, ortodossa, luterana, calvinista, anglicana, ecc… Si è persino giunti al punto di dare il nome di chiesa agli edificio ai locali in cui si celebrano le funzioni religiose.
6.4 Il ruolo della Chiesa sulla terra
Ma torniamo alla Chiesa del Signore, composta da tutti i veri figli di Dio sparsi nella cristianità. «Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo» ha detto Gesù a suo Padre, aggiungendo: «Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo» (Giovanni 17:16,18). Ne risulta pertanto un duplice aspetto della posizione della Chiesa sulla terra: essa è straniera, perché la sua posizione è celeste, ma nello stesso tempo si trova sulla terra per rendere testimonianza alla verità del Vangelo. Per non aver compreso questo, certi credenti si sono rinchiusi nei chiostri ed, altri si sono immischiati nella politica del mondo. Separato moralmente dal mondo, tanto dalla sua politica quanto dal suo stato morale, il vero credente è responsabile di assolvere i compiti di testimone e di collaboratore al servizio del Signore, sia nei riguardi dei non credenti, sia in seno alla Chiesa stessa.
La Chiesa, paragonata ad un corpo in parecchie parti della Parola di Dio, è formata da tutte «le membra» di questo corpo. Ogni credente è uno di queste «membra». Lo Spirito di Dio è la potenza vitale che le anima ed ognuno ha una funzione particolare, a somiglianza delle varie membra e degli organi del corpo umana. «Iddio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto» (1 Corinzi 12:18). Gli uni hanno un’attività visibile, altri nascosta. Gli uni svolgono il loro compito all’esterno del corpo, nel mondo, e gli altri hanno delle funzioni interne, nell’ambito della Chiesa. Le funzioni più importanti non sono quelle più in vista, ma ognuno svolge il suo ruolo là dove Dio l’ha posto. Nonostante la mescolanza con elementi estranei, causa della sua rovina, la vera Chiesa compie ancora la sua funzione nel mondo. Con la diffusione del Vangelo, con gli aiuti agli infelici, con la preghiera e l’intercessione in favore di tutti gli uomini, ogni membro del corpo di Cristo contribuisce alla testimonianza di Dio sulla terra.
6.5 La chiesa locale
Quando la Parola di Dio fu scritta, vi erano delle chiese, o assemblee, in parecchie località. L’apostolo Paolo è stato il mezzo per formare molti di questi radunamenti durante i suoi viaggi in Asia e in Europa. A questi egli si rivolge con le sue epistole riconoscendo loro il titolo di «chiesa di Dio». Questi radunamenti avevano una responsabilità nella città in cui si erano formati; essi rappresentavano la testimonianza del Signore e dovevano farne brillare la luce. Non è mal indicato il numero di coloro che ne facevano parte, poiché, fossero pur stati soltanto due o tre (Matteo 18:20), la presenza del Signore in mezzo a loro era ciò che contava.
In parecchi luoghi vi sono stati disordini fin dai primi tempi, e lo Spirito di Dio ha guidato gli apostoli a scrivere delle lettere per dare anche a noi, oggi, indicazioni quanto al nostro comportamento in circostanze analoghe. Vediamo pure come veniva riconosciuta l’autorità apostolica. Oggi non ci sono più gli apostoli, ma rimangono i loro scritti che fanno parte della Parola di Dio, unica referenza per risolvere ogni problema.
Nei capitoli 2 e 3 dell’Apocalisse, il Signore Gesù stesso manda una lettera a sette chiese dell’Asia. Questi radunamenti nelle località citate avevano ognuno la propria responsabilità, pertanto il Signore dichiara ad ognuno di essi: «Io conosco le tue opere…» (*). I rimproveri rivolti a cinque di questi si accompagnano a vere e proprie minacce quando dice loro: «Rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto» o ancora: «Io ti vomiterò dalla mia bocca». Invitato al pentimento, ognuno di essi riceve pure una promessa di benedizione se l’avvertimento è ascoltato. Con questo possiamo vedere che la chiesa locale è riconosciuta nella sua propria responsabilità e che è formata da tutti i veri credenti che si trovano in quella località.
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(*) o «Io conosco la tua tribolazione…», o «Io so dove abiti…».
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La realizzazione concreta del piano del Signore per la Chiesa non è durata a lungo poiché sopraggiunsero presto gravi disordini. Ora, la lampada della testimonianza collettiva fa poca luce a causa delle molteplici divisioni. Tuttavia, rimane aperta una possibilità, perché il Signore è fedele alla sua promessa. Quando dei credenti si riuniscono nel nome di Gesù, nell’ubbidienza alla Parola e sotto la sola direzione dello Spirito Santo, e testimoniano di Cristo in quel luogo, essi sono l’espressione visibile della Chiesa di Dio in quella località, con le sue responsabilità ed i suoi privilegi. Tale radunamento è investito di un’autorità risultante dalla presenza del Signore, secondo le istruzioni e le promesse di Matteo 18:17-20.
6.6 Il destino della Chiesa
«Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei… affin di fare egli stesso comparire dinanzi a sé questa Chiesa, gloriosa» (Efesini 5:25-27).
«Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dato» (Giovanni 17:24).
Acquistata dal Signore Gesù al prezzo delle sue sofferenze, la Chiesa gli è data dal Padre per essere sempre con Lui. Egli la ama. Sia nelle figure dell’Antico Testamento, sia nella rivelazione del Nuovo, essa è rappresentata con la figura di una sposa. Apocalisse 19:7-9 ci descrive le nozze celebrate nel cielo che consacreranno per l’eternità l’unione indissolubile di Cristo e della sua Chiesa.
Il Signore cerca, nel cuore di quelli che gli appartengono, dei sentimenti d’amore rispondenti ai suoi. Il desiderio della loro anima, quando corrisponde a quello del Signore Gesù, li porta a dire insieme, guidati dallo Spirito: «Vieni, Signore Gesù» (Apocalisse 22:20). «E lo spirito e la sposa dicono: Vieni. E chi ode dica: Vieni» (Apocalisse 22:17).
7. La profezia
Dobbiamo distinguere, prima di tutto, vari tipi di profezia, per non sviarci nella sua interpretazione. Poiché lo scopo della profezia è sempre quello di parlare al cuore e alla coscienza, essa avverte, incoraggia, consola. Questi vari aspetti possono essere riassunti da quanto segue:
1. Parole rivolte a Israele, alcune delle quali sono già realizzate ed altre future, anche se hanno già avuto un compimento parziale.
2. Parole rivolte al mondo, sia ad ogni individuo personalmente, sia ad una nazione particolare o all’insieme dei popoli.
3. Parole che si riferiscono al Messia, alle sue sofferenze e alla sua morte da un lato, alla sua gloria ed al suo regno dall’altro.
4. La parte storica delle Sacre Scritture che ha pure un senso profetico, meno facile da discernere, ma che spesso ci dà un quadro delle vie di Dio verso il suo populo o verso il mondo.
7.1 La sorgente della profezia
«Lo Spirito dellEterno a parlato per mezzo mio, e la sua parola è stata sulle mie labbra» (2 Samuele 23:2). Usando vari mezzi per comunicare il suo pensiero, Dio ha voluto far conoscere agli uomini il senso e lo scopo degli avvenimenti futuri, sia con un sogno o una visione, sia per rivelazione diretta in una specie di conversazione amichevole. Abramo ne è un esempio in Genesi 15:1-16 c ancora in Genesi 17:1-22 e 18:1-33. Anche Mosé fu introdotto in questa dolce prossimità con Dio per ricevere la comunicazione dei suoi pensieri. Anch’egli infatti, come Abramo, fu chiamato amico di Dio. «L’Eterno parlava con Mosé faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico» (Esodo 33:11).
Dio a volte comunicava inviando un angelo, come ha fatto con Daniele, Ezechiele ed anche con l’apostolo Giovanni, quando gli ha fatto vedere le visioni dell’Apocalisse. Tuttavia, in modo generale, la parola di Dio era rivolta ai profeti tramite lo Spirito Santo, secondo ciò che dice Pietro: «I santi uomini di Dio hanno parlato perché spinti dallo Spirito Santo» (2 Pietro 1:21). Questi poi la proclamavano o la scrivevano per comunicarla al popolo.
7.2 Il piano della profezia
Dio, fin dai giorni di Abramo, si è scelto un popolo per farne il suo testimone sulla terra; ha stabilito con lui un patto perpetuo, incondizionato, garantito dalla fedeltà di Dio alle sue promesse. Il patto del Sinai, la legge, aggiunto quattrocento anni più tardi, non annullò le promesse anteriori, benché la ribellione del popolo costringesse Dio a prorogarne la realizzazione. Occorreva l’opera di Gesù, la sua morte sul Calvario e la sua risurrezione, per rendere realizzabili le promesse divine nonostante il peccato dell’uomo, che Egli ha portato sulla croce.
La profezia ha così in vista la restaurazione del popolo di Dio, il suo pentimento, la sua umiliazione e la sua benedizione finale. Oltre i confini del popolo d’Israele, tutte le nazioni parteciperanno a queste benedizioni promesse quando si volgeranno verso il Re dei re e il Signore dei signori, con sincera umiliazione.
«Ecco, egli viene colle nuvole, ed ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno cordoglio per lui» (Apocalisse 1:7).
«Molte saranno le nazioni di cui desterà l’ammirazione; i re chiuderanno la bocca dinanzi a lui, poiché vedranno…» (Isaia 52:15)
La profezia, dunque, è centrata su Israele. «La parte dell’Eterno è il suo popolo, Giacobbe è la porzione della sua eredità» (Deuteronomio 32:9). Le parole che Dio rivolge alle nazioni sono tutte in rapporto con Israele, poiché è in relazione con lui che tutti i popoli parteciperanno alla benedizione recata dal Messia.
7.3 Il soggetto centrale della profezia
Fin dalla prima promessa fatta da Dio all’uomo, è in vista Gesù Cristo: «Ella (la progenie della donna) ti schiaccerà il capo e tu (Satana) le ferirai il calcagno» (Genesi 3:15). Durante tutta la storia d’Israele, Dio ha manifestato, con tipi, figure ed anche con dichiarazioni dirette, che il Messia era al centro dei suoi pensieri. Un Messia glorioso, potente Redentore per il suo popolo e per tutta la terra, ma anche un Messia sofferente, rigettato dal suo popolo e messo a morte. La porzione della profezia più significativa a questo riguardo è il capitolo 53 del profeta Isaia. Vi vediamo la nascita del Salvatore nella più umile delle condizioni, la sua vita di sofferenza, incompreso e disprezzato da tutti, la sua morte sotto il giudizio di Dio a causa dei nostri peccati e la sua sepoltura, la sua vita al di là della tomba e la sua glorificazione.
Anche numerosi Salmi parlano della sua sofferenza e della sua gloria. Potremmo moltiplicare le citazioni che lo riguardano. Esse, dalla sua nascita da una vergine (Isaia 7:14), alla sua elevazione alla destra di Dio (Salmo 110:1), ci descrivono Colui che, in ogni tempo e per sempre, è al centro dei consigli divini. Inoltre, l’Apocalisse, principale profezia del Nuovo Testamento, proclama la gloria del Figlio dell’uomo, Gesù, l’Agnello di Dio. Dal primo all’ultimo capitolo vediamo, Lui, il primo e l’ultimo, l’inizio e la fine (vedere Apocalisse 1:17 e 22:13).
7.4 Lo scopo della profezia
Quando i discepoli di Gesù lo interrogano dicendo: «Dicci, quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta», Gesù risponde innanzi tutto: «Guardate che nessuno vi seduca» (Matteo 24:3-4). In seguito dà loro numerosi particolari riguardanti le tribolazioni che il popolo giudeo dovrà subire, ma termina il suo discorso ripetendo: «Vegliate, dunque, perché non sapete in qual giorno il vostro Signore stia per venire» (24:42).
Dio non vuole che siamo all’oscuro delle cose che stanno per accadere, e questo per ercitarci alla vigilanza. L’effetto della parola profetica sulle nostre anime deve essere salutare producendo pentimento a salvezza in chi non ha ancora aperto il suo cuore all’amore del Salvatore, e producendo un effetto santificante sulla condotta del cristiano. La profezia, avendo in vista la gloria di Gesù Cristo, attaccherà i nostri cuori alla sua persona ed accrescerà in noi il desiderio di vederlo. La promessa della sua venuta ci spingerà a dire con fervore: «Amen! Vieni, Signore Gesù!» (Apocalisse 22:20).
Non è nel periodo attuale che avviene il compimento totale delle profezie, poiché queste riprenderanno a realizzarsi soltanto dopo la fine della storia della Chiesa sulla terra. Possiamo tuttavia già discernere la preparazione degli elementi necessari al loro compimento, il che dimostra l’imminenza della venuta del Signore per prendere con Sé i suoi. Infatti il Signore Gesù ci ha lasciato questa promessa: «E quando sarò andato e v’avrò preparato un luogo, tornerò, e v’accoglierò presso di me, affinché dove son io siate voi» (Giovanni 14:3). Anche l’apostolo Paolo lo conferma: «Questo vi diciamo per parola del Signore… Il Signore stesso… scenderà dal cielo… e i morti in Cristo risusciteranno i primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo insieme con loro rapiti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore» (1 Tessalonicesi 4:5-17).
Questa speranza era molto reale nel cuore dei cristiani di Tessalonica; infatti l’apostolo rende loro testimonianza che si erano «convertiti dagli idoli a Dio… per aspettare dai cieli il suo Figliuolo, il quale Egli ha risuscitato dai morti: cioè Gesù che ci libera dall’ira a venire» (1 Tessalonicesi 1:10).
Prestare attenzione alla profezia non è senza profitto per noi; l’apostolo Pietro dice che essa è «come una lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori» (2 Pietro 1:19). Questa stella mattutina, Cristo stesso, speranza celeste, illuminerà i nostri cuori con i suoi raggi ristoratori e ci guiderà a dire con lo Spirito: «Amen! Vieni, Signore Gesù» (Apocalisse 22:20).
7.5 La realizzazione della profezia
Non c’è nessuna necessità, per la fede, di vedere il compimento delle cose previste per porre la nostra fiducia nella Parola di Dio. Tuttavia Dio ha ritenuto opportuno riferirci parecchi avvenimenti che si sono svolti esattamente secondo l’annuncio profetico che ne era stato fatto. Basteranno tre esempi per dimostrarlo:
1. In Genesi 15:13-14:
Dio dice ad Abramo che i suoi discendenti avrebbero soggiornato in un paese straniero per quattrocento anni, dove sarebbero stati oppressi finché ne sarebbero usciti con grandi ricchezze per andare ad abitare in Canaan. L’inizio del libro dell’Esodo conferma questa profezia.
2. In Geremia 29:10-14:
L’Eterno manda a dire ai prigionieri di Babilonia che era stato determinato un periodo di settant’anni per la potenza dei re caldei, dopo di che il popolo d’Israele, là deportato, avrebbe potuto ritornare nella sua terra. E fu proprio settant’anni dopo l’inizio del regno di Nebucadnetsar che Ciro proclamò l’editto in cui invitava il popolo giudeo a ritornare in Palestina.
3. In Isaia 7:14; 9:5; 11:1; 53:1-12:
Circa settecentotrent’anni prima di Gesù Cristo, Isaia ha profetizzato la nascita del Messia. Al capitolo 7 v. 14 annuncia il suo concepimento nel seno di una vergine e gli dà nome Emmanuele (che significa: «Dio con noi»); all’inizio del cap. 9 dice in quale contrada sarebbe vissuto; all’inizio del cap. 11 troviamo che questo Messia è un discendente di Isai; al cap. 53 già citato è fatta menzione della sua sepoltura per opera di un uomo ricco, benché egli sia stato posto al livello dei malfattori. Tutti gli Evangeli dimostrano l’esattezza di queste testimonianze.
Se dunque la parte delle profezie già realizzate si sono avverate con un’ esattezza perfetta, sarà lo stesso di quella ancora futura. Alcuni particolari possono essere poco chiari per noi oggi, ma quelli che vivranno in quell’epoca conosceranno il modo con cui Dio ne otterrà la realizzazione, poiché «la conoscenza aumenterà» e «capiranno i savi» (Daniele 12:4-10).
Lo stesso Daniele non comprese quello che gli veniva annunziato; non ne aveva nessuna necessità e Dio glielo dice. Quando si realizzeranno gli avvenimenti, lo spirito di Dio indicherà chiaramente in che modo il loro corso corrisponderà alle profezie, pertanto i credenti di quel tempo ne potranno interpretare il senso esatto in tutti i particolari, senza nessuna difficoltà. A noi oggi basta conoscere il piano generale delle profezie per non lasciarci sviare da false applicazioni.
Aspettiamo il Signore! La sua venuta è imminente per prendere con sé la sua Chiesa. Il corso degli avvenimenti profetici riprenderà soltanto in seguito, e nessuno dei veri credenti sarà sulla terra per subirli, come abbiamo visto sopra. Ci sarà una tale distretta per quelli che oggi non avranno risposto alla chiamata del Signore, che siamo spinti a sollecitarli ancora, perché il loro cuore si apra all’Evangelo finché c’è ancora tempo. «Eccolo ora il tempo accettevole; eccolo ora il giorno della salvezza» (2 Corinzi 6:2). «Oggi, se udite la sua voce, non indurate i vostri cuori» (Ebrei 3:7).
8. Il mondo
L’espressione «il mondo» ha parecchi significati nella Parola di Dio; pertanto è necessario considerare ogni volta il contesto nel quale si trova per non essere indotti in errore.
8.1 Il mondo creato
Parecchi passi della Parola di Dio ci parlano del mondo nel senso del pianeta terra, creato dalla potenza di Dio. «Per fede intendiamo che i mondi sono stati formati dalla Parola di Dio» (Ebrei 11:3). «Egli, con la sua potenza, ha fatto la terra, con la sua sapienza ha stabilito fermamente il mondo; con la sua intelligenza ha disteso i cieli» (Geremia 10:12; 51:15). La terra, questo minuscolo granello nell’immenso universo, è stata preparata da Dio per essere l’abitazione dell’uomo, creatura intelligente e dotata della capacità di intrattenere una relazione con il suo Creatore. L’uomo, dopo essersi ribellato contro Dio, è ancora visitato in grazia dal Figlio di Dio stesso: «Certa è questa parola… che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori» (1 Timoteo 1:15). Meraviglioso mistero dell’amore divino: il Figlio dell’Iddio onnipotente, creatore di tutto l’universo, che si sottomette volontariamente alle stesse nostre leggi fisiche, per mettersi al livello di coloro che è venuto a salvare. «Grande è il mistero della pietà: Dio è stato manifestato in carne» (1 Timoteo 3:16).
8.2 Il mondo come umanità
La parola «mondo» indica anche l’umanità. La magnifica parola di Gesù si esprime molto bene quando dice: «Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3:16). È infatti a favore di tutti gli uomini che Gesù è venuto quaggiù. Nonostante l’innegabile privilegio riconosciuto al suo popolo Israele, l’amore di Dio non conosce i limiti di nazioni, di lingue o di razze. Dio ha amato il mondo, l’intera umanità. Per ogni individuo che la compone, Egli fa proclamare l’Evangelo della grazia, la buona notizia della salvezza per mezzo di Gesù Cristo. Il nostro prezioso Salvatore, con la sua morte sulla croce «è la propiziazione (colui che ci rende Dio propizio) per i nostri peccati; e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1 Giovanni 2:2). Gesù dice ai discepoli: «Andate per tutto il mondo e predicate l’Evangelo ad ogni creatura» (Marco 16:15).
È questo il servizio affidato ai cristiani. I primi cristiani l’hanno adempiuto con zelo e coraggio, anche a dispetto delle minacce che pesavano su di loro. Benché ci sia rivelato poco sulla diffusione dell’Evangelo, vediamo Paolo venire fino a Roma ed esprimere il desiderio di recarsi in Spagna. Altri fedeli servitori hanno preso la via dell’Africa o dell’Asia; ma Dio non ha ritenuto opportuno darcene il resoconto. Nel corso dei secoli, l’Evangelo si è diffuso nel mondo e oggi non esiste nessuna lingua scritta in cui non sia stata tradotta la Bibbia. Tutto il mondo è invitato dall’Iddio di grazia: io, voi, ognuno. Come vi avete risposto?
8.3 Il mondo, sistema organizzato
Il significato più frequente della parola «mondo» nella Parola di Dio è quello di un sistema organizzato dall’uomo senza Dio. A partire dall’entrata del peccato sulla terra, con la disubbidienza di Adamo ed Eva, una famiglia si distingue per la ricerca di un’organizzazione da cui Dio è escluso: è la famiglia di Caino, secondo Genesi 4:17-24. Essi inventarono tutto quello che può rendere piacevole la vita, nell’intento di cancellare la maledizione pronunciata sulla terra e alleviare i castighi conseguenti al peccato dell’uomo. Il quadro succinto che ci offre questo breve racconto di Genesi 4 corrisponde molto bene allo stato del mondo di oggi. Il capofila è Caino, assassino del fratello, e lo sviluppo di questa società, nonostante l’apporto delle arti e dell’industria, porta alla violenza e al rovesciamento delle istituzioni divine (leggere Genesi 4:19 e 23).
I «capi di questo secolo» ci dice la Scrittura, hanno crocifisso il Signore di gloria (1 Corinzi 2:8). È il punto di partenza di ciò che caratterizza il mondo. Da quel momento è costante la sua inimicizia nei confronti di Cristo e di quelli che seguono il Signore. Gli scritti di Giovanni sono particolarmente ricchi di insegnamenti riguardo al mondo sotto questo aspetto. Leggete in particolare Giovanni 7:7; 15:18-19; 17:14; 1 Giovanni 2:15-16; 3:1-13; 4:5; 5:4-5. Tutte queste citazioni sottolineano la distinzione assoluta tra il credente, chiamato figlio di Dio per grazia, per la fede nell’opera di Gesù, e il mondo che ha rigettato Cristo e che si è organizzato senza di Lui. Ancora più incisivo è Giacomo quando dichiara: «O gente adultera, non sapete voi che l’amicizia del mondo è inimicizia contro Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio…» (Giacomo 4:4-5).
Nella sua esperienza personale l’apostolo Paolo non aveva fatto gran caso di tutto quello che il mondo gli poteva offrire; i suoi privilegi nazionali e religiosi li aveva considerati come «spazzatura» (Filippesi 3:8). Egli dice: «Non sia mai che io mi glori d’altro che della croce del Signor nostro Gesù Cristo, mediante la quale il mondo per me è stato crocifisso ed io sono stato crocifisso per il mondo» (Galati 6:14).
Facendo parte della società umana, le siamo legati da tutti gli impegni della vita. Dio non ci chiede di isolarci dal mondo, ma di esserne moralmente separati. La posizione data al riscattato del Signore è al di fuori del mondo, è in Cristo. La separazione morale del credente dal mondo sarà tanto più grande quanto maggiore è l’attaccamento del suo cuore a Cristo; non sarà mai sufficiente, è vero, ma la si ottiene per l’effetto della Parola di Dio e grazie all’intercessione del nostro Salvatore, secondo l’esempio datoci nel capitolo 17 dell’Evangelo di Giovanni. Sarà interesse di ognuno leggere tutto quel capitolo. È una delle pagine più elevate della Parola di Dio.
8.4 Il governo del mondo
Per ben due volte Dio ha affidato all’uomo un’autorità di dominio sulla creazione. In Genesi 1, Egli dice ad Adamo ed Eva: «Riempite la terra, e rendetevela soggetta e dominate… sopra ogni animale che si muove sulla terra» (v.28). La stessa cosa dopo il diluvio; Dio benedice Noè e la sua famiglia, consegnando nelle loro mani tutto quello che si muove sulla terra (Genesi 9:6).
Ma Satana voleva usurpare questa posizione tanto ambita. E c’è riuscito! Facendo cadere l’uomo nel peccato, lo ha posto sotto il suo dominio e così ha avuto accesso alla dominazione sulla terra. Il Signore stesso lo chiama il «principe di questo mondo»: «Viene il principe di questo mondo ed esso non ha nulla in me… Il principe di questo mondo è stato giudicato» (Giovanni 14:30; 16:11). Ma le redini del potere non rimarranno nelle mani di Satana, perché Gesù Cristo, con la sua morte, ha vinto questo temibile nemico. Presto sarà manifestato pubblicamente il trionfo del Salvatore e la dominazione del diavolo avrà fine.
L’apparizione gloriosa del Signore e Salvatore Gesù Cristo stabilirà su questo mondo un regno di giustizia e di pace da cui Satana sarà bandito. Il «regno del cieli» sarà stabilito in potenza e in gloria per la benedizione universale. Questo regno durerà mille anni prima di lasciare il posto ai «nuovi cieli e alla nuova terra» dove la morte non sarà più; la giustizia vi abiterà in un’atmosfera di riposo e di pace ininterrotta (vedere 2 Pietro 3:13; Apocalisse 21:1-5).
L’accesso a questa eterna felicità sarà data a tutti quelli che avranno posto la loro fiducia nel Signore Gesù e nella sua opera alla croce. Come anche nella Nuova Gerusalemme, «niente d’immondo e nessuno che commetta abominazione o falsità v’entreranno, ma quelli soltanto che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello» (Apocalisse 21:27), soltanto quelli i cui peccati sono stati lavati dal sangue di Cristo e che «oggi» hanno accettato il perdono offerto loro gratuitamente.
9. Satana
Benché l’argomento di questo capitolo non produca arricchimento spirituale, è tuttavia necessario conoscere cosa ci dice su Satana la Parola di Dio. Resi consapevoli della sua astuzia, della sua potenza e della sua costante attività, dobbiamo stare in guardia per non essere presi nei suoi lacci. Sapendo pure che questo nemico è stato vinto dal Signore Gesù, il nostro Salvatore, saremo rafforzati per resistergli, senza tuttavia tentare di affrontarlo perché è più forte di noi. Con Gesù saremo vittoriosi!
9.1 La sua origine
La Parola di Dio ci dà pochissime informazioni sull’origine di Satana. I rari testi che ne parlano lo fanno spesso con termini velati. Sotto la figura del re di Babilonia, in Isaia 14, Satana ci è descritto così: «Come mai sei caduto dal cielo, o astro mattutino (o Lucifero), figliuolo dell’aurora?» (v. 14). Sotto la figura del re di Tiro, Ezechiele dice qualcosa di più di lui: era stato creato di una perfetta bellezza, ma il suo orgoglio l’ha fatto cadere: «Tu mettevi il suggello alla perfezione, eri pieno di saviezza, di una bellezza perfetta; eri in Eden il giardino di Dio; eri coperto d’ogni sorta di pietre preziose… Eri un cherubino dalle ali distese, un protettore. Io t’avevo stabilito, tu stavi sul monte santo di Dio… Tu fosti perfetto nelle tue vie dal giorno che fosti creato, finché non si trovò in te la perversità» (Ezechiele 28:12-15).
Questi passi, nonostante il mistero da cui sono avvolti, ci fanno sapere che Satana era un angelo glorioso quando fu creato. La dignità che gli fu conferita proibisce anche agli angeli fedeli a Dio di ingiuriarlo (vedere 2 Pietro 2:11 e Giuda 8-9). Le capacità che gli sono state date all’inizio le ha tuttora, il che rende ancora più pericolosa la sua attività perversa.
9.2 La sua caduta
La caduta di Satana, così come la sua origine, ci è descritta vagamente. Avvertendo Timoteo riguardo all’istituzione degli anziani, l’apostolo Paolo dice: «Che non sia novizio, affinché, divenuto gonfio d’orgoglio, non cada nella condanna del diavolo» (1 Timoteo 3:6). Quale fu dunque la colpa che ha fatto, di quell’angelo glorioso, un essere profano, abietto e abominevole? I passi stessi di Isaia e di Ezechiele, qui sotto riportati, rispondono a questa domanda: «Il tuo cuore s’è fatto altero, e tu dici: Io sono un Dio! Io sto assiso sopra un trono di Dio… Perciò così parla il Signore l’Eterno: Poiché tu ti sei fatto un cuore come un cuore di Dio… Il tuo cuore si è fatto altero per la tua bellezza; tu hai corrotto la tua saviezza a motivo del tuo splendore; io ti getto a terra» (Ezechiele 28:2-17). «Tu dicevi in cuor tuo: Io salirò in cielo, eleverò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio…; salirò sulla sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo. Invece, t’han fatto scendere nel soggiorno dei morti, nelle profondità della fossa» (Isaia 14:13-15).
Molti angeli si schierarono dalla sua parte e seguirono la stessa ribellione. Allo scopo di trascinare i nostri progenitori nella sua stessa condanna, Satana, chiamato anche «il serpente antico», ha detto loro: «Sarete come Dio» (Genesi 3:5). Quante volte, da allora, ha soffiato nelle orecchie degli uni e degli altri questo pensiero di orgoglio, di esaltazione e di presunzione! Che Dio ci dia il discernimento per resistere alle sue insinuazioni!
La nozione di «tenebre» si lega al nome di Satana. Quante tenebre morali ha portato il peccato nel mondo! Lo stato caotico della società, dal punto di vista morale, è proprio un risultato del lavoro di Satana e dei suoi ministri, che cercano di trascinare le anime alla perdizione eterna.
9.3 La sua attività sulla terra
«E l’Eterno disse a Satana: Donde vieni? E Satana rispose all’Eterno: Dal percorrere la terra e dal passeggiare per essa» (Giobbe 1:7; 2:2). L’attività incessante del nemico delle nostre anime è proprio quella di andare «attorno a guisa di leone ruggente cercando chi possa divorare» (1 Pietro 5:8). È anche paragonato a un serpente, secondo la forma da lui stesso assunta per sedurre Eva, che agisce astutamente e insidiosamente. Seduzione, concupiscenza, attrattive ingannatrici e bugiarde sono le sue armi preferite. Le usa per tutti quelli che tiene ancora solto il suo dominio, ma anche per coloro che sono stati riscattati dal Signore Gesù, per farli cadere nei suoi tranelli; e a volte, purtroppo, ci riesce, gettando così disonore sulla testimonianza del Signore e sul nome di Gesù.
Tuttavia, la vittoria del Signore su questo nemico è una vittoria completa e quelli che sono salvati per la fede in Cristo non saranno trascinati alla perdizione; essi sono «pecore» di Gesù, il buon Pastore, e nulla può rapirli dalla sua mano (Giovanni 10:28-29). Per un credente, una caduta nel peccato è un triste incidente, e occorre il pentimento e un’opera di riabilitazione compiuta dallo Spirito, per mezzo della Parola di Dio e con l’intervento del Signore stesso, nostro Avvocato presso il Padre (1 Giovanni).
L’attività di Satana sulla terra si spiega poi, sempre di più ai nostri giorni, nei campi occulti che invadono il mondo, dall’astrologia alla magia nera, dalle religioni orientali al satanismo vero e proprio. Dobbiamo tutti evitare in modo assoluto di avere a che fare con quelle cose.
9.4 La sua attività nei luoghi celesti
Per quanto ci possa sembrare strano, Satana e i suoi angeli sono tuttora «le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti» (Efesini 6:12). La citazione fatta del primo capitolo di Giobbe ci fa vedere Satana che, davanti a Dio, è sottoposto a un interrogatorio. È chiamato «il principe della podestà dell’aria… lo spirito che opera al presente negli uomini ribelli» (Efesini 2:2). Egli stesso e i suoi angeli sono pure chiamati «i dominatori di questo mondo di tenebre» (Efesini 6:12).
Satana cerca di impedire al credente di godere dei suoi privilegi in Cristo, di farlo dubitare della sua salvezza, di intaccarne la testimonianza e paralizzarne l’attività: questo per danneggiare lui e la collettività. Nei versetti 10 a 18 del capitolo 6 dell’epistola agli Efesini, ci è data la risorsa messa a nostra disposizione: «Fortificatevi nel Signore… State dunque saldi»; ma come realizzarla? Con le doti morali di giustizia e di fede rappresentate dalle varie parti dell’armatura «spirituale» (Efesini 6:11). Dio mette a nostra disposizione la sua Parola e la preghiera, che rimangono sempre i mezzi più adatti per mettere in fuga il Nemico. Il nostro Salvatore li ha impiegati durante la tentazione nel deserto. Egli ci indica come si può riportare la vittoria nella dipendenza e nell’ubbidienza a Dio.
Satana accusa continuamente i credenti davanti a Dio; questo ci è rivelato nel libro dell’Apocalisse in cui leggiamo: «Il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato Diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù; fu gettato sulla terra, e con lui furono gettati gli angeli suoi. E io udii una gran voce nel cielo che diceva: Ora è venuta la salvezza e la potenza e il regno dell’Iddio nostro, e la potestà del suo Cristo, perché è stato gettato giù l’accusatore dei nostri fratelli, che li accusava dinanzi all’Iddio nostro, giorno e notte. Ma essi l’hanno vinto a cagione del sangue dell’Agnello e a cagione della Parola della loro testimonianza» (Apocalisse 12:9-11). Seduzione, tentazione, poi accusa nei riguardi di quelli che ha fatto cadere, ecco il cinico lavoro a cui si dedica il grande nemico di Cristo. Egli ha pure degli imitatori sulla terra, perché sono numerosi coloro che agiscono così. Anche noi dobbiamo fare molta attenzione per non abbandonarci ad un simile comportamento; può essere più facile di quanto si pensi. Ce ne preservi la grazia di Dio!
9.5 Il suo destino
«Il fuoco eterno» è «preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Matteo 25:41). «Il diavolo… fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo» (Apocalisse 20:10). Per lui è stato preparato quel luogo terribile rappresentato dal fuoco eterno, lo stagno di fuoco e di zolfo, la morte seconda. Dio non vi aveva destinato l’uomo, ma se lui, creatura intelligente e responsabile, si sottomette a Satana e non a Dio, sarà trascinato al seguito del padrone che si è scelto. Eppure, Dio ha fatto tutto per la salvezza della sua creatura. La buona notizia della grazia è ancora pubblicata oggi ed è sufficiente prestarle fede. L’opera perfetta di Gesù Cristo alla croce del Calvario è sufficiente per la salvezza di chiunque crede. Disprezzare questo dono dell’amore divino è escludersi da ogni possibilità di salvezza. Cosa poteva dare Dio di più del suo unico Figlio?
Con i versetti citati in Apocalisse 20, abbiamo l’indicazione dell’ultima fase della storia dell’umanità. Trascinata da Satana al peccato e alla rivolta fin dai primordi della sua storia, l’umanità ha conosciuto molte tragedie, tutte conseguenze dirette o indirette del peccato, essendo Satana il grande istigatore. Tuttavia, al di sopra della scena, Dio agisce nella sua sovranità e trae il bene dal male. Quante volte, per produrre il pentimento nel cuore, è stata necessaria una prova particolare che ha condotto un’anima alla conoscenza della salvezza per mezzo di Gesù! La vittoria finale appartiene a Cristo. L’ha già riportata con la sua morte e la sua risurrezione. Questa vittoria sarà pienamente manifestata quando sarà abolito l’ultimo nemico, la morte, e saranno stabiliti i nuovi cieli e la nuova terra dove abita la giustizia e dai quali il diavolo sarà escluso per sempre.
10. La morte
Se c’è un argomento di cui eviteremmo volentieri di parlare, è proprio questo. Qualcuno dirà: Perché cercare di conoscere la morte? Sarà anche troppo presto quando si presenterà! Eppure le stiamo continuamente vicino; e non sarà sempre di quella degli altri… È molto meglio, quindi, guardare le cose in faccia e accettare seriamente questa ineluttabile scadenza. Ma come conoscere cos’è la morte se non per mezzo della Parola di Dio e di Colui che vi è entrato di persona, il Signore Gesù Cristo, uscendone poi glorioso e vincitore?
10.1 La sua origine
«Per mezzo d’un uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato è entrata la morte… e la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato» (Romani 5:12). La morte è stata la conseguenza del peccato dell’uomo. Dio aveva detto ad Adamo: «Nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai» (Genesi 2:17). Per istigazione di Satana, i nostri progenitori hanno trasgredito l’unico comandamento elle era stato dato loro. La morte per loro è stata di ordine morale, prima che fisico. La vera vita, per l’uomo, è la relazione con l’Autore di questa vita. Dal momento che questa relazione è interrotta, la morte diventa per ogni uomo la conseguenza inevitabile. Satana aveva inaugurato l’avvento della morte con la sua stessa caduta e l’abbiamo considerato nei testi che parlano di lui. Il suo desiderio era di trascinarvi l’uomo per porlo sotto il suo dominio. La Bibbia parla di lui come di «colui che aveva l’imperio della morte, cioè il diavolo» (Ebrei 2:14). In un linguaggio simbolico, il Signore Gesù parla di Satana raccontando la parabola dell’uomo forte che sorveglia l’ingresso della sua casa; e di uno (Gesù stesso) più forte di lui che sopraggiunge e lo vince, gli toglie tutta l’armatura… e «ne spartisce le spoglie» (Luca 11:21-22). È un’allusione alla sua morte ed alla sua risurrezione con la quale ha trionfato su Satana rendendolo impotente.
La morte ha dunque la sua origine nel peccato dell’uomo, e le devastazioni psichiche e affettive che produce fra gli uomini hanno fatto piangere il nostro Salvatore. Davanti alla tomba di Lazzaro, a Betania, Gesù «fremè nello Spirito, si conturbò… E Gesù pianse» (Giovanni 11:33-35). Il verbo fremere esprime della pena profonda, unita all’indignazione prodotta nell’anima del Salvatore dalla vista del potere della morte sull’uomo. La morte è il salario del peccato (Romani 6:23) ed in essa è entrata l’anima del nostro diletto Signore e Salvatore quando ha «portato Egli stesso i nostri peccati nel suo corpo, sul legno» (1 Pietro 1:24). L’opera della croce è la risposta di Dio alla sfida di Satana; con essa il Signore «ha distrutto la morte e ha prodotto in luce la vita e l’immortalità mediante l’Evangelo» (2 Timoteo 1:10).
10.2 Cos’era la morte per i credenti prima di Gesù Cristo
A parte quella lugubre ripetizione della frase «poi morì» che troviamo nel capitolo 5 della Genesi (la sola eccezione fu Enoc, rapito senza passare per la morte dopo aver camminato con Dio trecento anni), la storia degli inizi passa sotto silenzio i sentimenti degli uomini che terminano la loro vita. Dalla storia di Abrahamo in avanti assistiamo alla tranquilla morte dei patriarchi che avevano posto in Dio la loro fiducia. Il desiderio che il loro corpo fosse riposto nella caverna di Macpela, nel centro della terra promessa, lascia intravedere la loro fede nella risurrezione. L’Epistola agli Ebrei ci dice che sono morti nella fede e che aspettavano la città il cui architetto e costruttore è Dio. Una fine serena e gloriosa è anche quella di Giacobbe: «Giacobbe… adorò, appoggiato in cima al suo bastone» (Ebrei 11:21).
Mosé, Giosué, Samuele e Davide hanno parlato tutti della loro morte con grande serenità. Essi ponevano la loro fiducia in Dio che giustifica l’empio e risuscita i morti (Salmo 32; Romani 4; Salmo 17:15). La loro fede li rendeva capaci di discernere le cose future, e le loro ultime parole sono ricche di insegnamenti profetici. Ma non è sempre stato così. Ezechia, per esempio, mette in evidenza il buio che per lui c’era nell’aldilà, come si vede dalla sua preghiera al cap. 38 di Isaia: «Fra gli abitanti del mondo dei trapassati non vedrò più alcun uomo… Quelli che scendono nella fossa non possono più sperare nella tua fedeltà» » (v. 11 e 18). È stata necessaria la venuta di Cristo con i suoi insegnamenti per abolire un po’ quest’oscurità; lo Spirito santo ci dà, per mezzo degli scritti degli apostoli, una veduta più chiara su questo misterioso aldilà.
10.3 Cos’è la morte per il vero cristiano
Il Signore Gesù apre un po’ la porta sull’aldilà nella parabola del ricco e di Lazzaro (Luca 16:19-31), ma è agli apostoli che è dato il compito di rivelare con maggiore ricchezza di particolari quello che riguarda tale dominio. Già in questa parabola di Luca 16 vediamo una distinzione assoluta tra il luogo di benedizione dove vanno i credenti e il luogo di tormenti dove vanno gli increduli. La scelta fra queste due destinazioni è lasciata all’uomo durante la sua vita, in quanto la Parola di Dio gli indica quale sia il mezzo di salvezza. A partire dal compimento dell’opera del Signore, la rivelazione si fa più chiara. Già sulla croce il Signore dichiara al brigante pentito: «Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso» (Luca 23:43).
Considerando l’avvicinarsi del termine della sua vita, l’apostolo Paolo dice: «Abbiamo molto più caro di partire dal corpo e di abitare col Signore» (2 Corinzi 5:8); e ancora: «Morire è un guadagno… Ho il desiderio di partire e d’essere con Cristo, perché è cosa di gran lunga migliore» (Filippesi 1:21-23). Il corpo ritorna alla polvere, si disgrega durante gli anni, ma lo spirito ritorna a Dio che lo ha dato, perché la sua esistenza non dipende dalla materia. Già l’Ecclesiaste aveva detto: «L’uomo se ne va alla dimora eterna… la polvere torna alla terra com’era prima e lo spirito torna a Dio che l’ha dato» (Ecclesiaste 12:7-8).
Numerosi credenti ebbero il privilegio di rimanere lucidi fino all’ultimo respiro. Commovente è la testimonianza riferita da coloro che hanno assistito alla loro dipartita; quelli che rimangono sono confortati poiché hanno visto la gioia illuminare il viso del morente e l’hanno sentito pronunciare il nome del Signore Gesù come loro ultima parola. Che grande consolazione pensare alla parte benedetta di chi non è più con loro ma ha raggiunto il suo amato Signore e Salvatore!
La morte, separazione dell’anima dal corpo, è soltanto un passaggio, uno stato transitorio, perché la Parola di Dio afferma con forza la verità della risurrezione: «Ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti» (Atti 24:15). Il capitolo 15 della prima epistola ai Corinzi tratta tutta la verità della risurrezione, considerando soprattutto quella dei credenti; ma questo sarà l’argomento del prossimo capitolo.
10.4 La morte per l’incredulo
La sorte definitiva dell’uomo peccatore, che non si sarà convertito a Cristo prima della sua morte, è già fissata, purtroppo; ma egli dovrà attendere il giudizio finale descritto in Apocalisse 20:12-15. Finché l’uomo è ancora in vita sulla terra, gli è offerta, ed anche con insistenza, la possibilità di salvezza: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori» (Ebrei 3:7). Dio non si compiace della morte del peccatore, ma del suo perdono e della sua salvezza. Ha sostenuto Egli stesso le spese della riconciliazione, avendo sacrificato il suo proprio Figlio. Credere nella sua Parola, ricevere il suo perdono, dire di sì a Dio, non è difficile, ed è pienamente sufficiente per la salvezza. Guai a chi si rifiuta!
Nella parabola già citata di Luca 16, il ricco, dopo morto, va in un luogo di tormenti, serbando una piena consapevolezza di quello che avverrà ai suoi cinque fratelli ancora in vita se non ascoltano la Parola di Dio. Alla loro morte, quindi, i peccatori saranno separati per sempre dall’Iddio di cui non avranno voluto sapere durante la loro vita. Nell’attesa della risurrezione che li condurrà davanti al trono del giudizio per udire la loro condanna ai tormenti dell’inferno, rappresentato dal «verme che non muore e dal fuoco che non si spegne» (Marco 9:48), gli impenitenti realizzano la disperazione della loro sorte eterna. La compagnia con Satana, che hanno voluto seguire, non farà altro che aumentare il loro tormento. La felicità non può essere gustata se non con l’Iddio beato, mentre Satana non può dar nulla all’anima che l’ha seguito.
Queste considerazioni ci fanno fremere, ma sono la verità rivelata nella Parola di Dio. Possano esse farci raddoppiare gli sforzi per proclamare l’Evangelo della grazia di Dio, finché la porta della salvezza è ancora aperta. Possano anche produrre un salutare timore in colui che avesse, fino ad oggi, chiuso il suo cuore alla chiamata del Signore Gesù!
10.5 La morte sarà abolita
«L’ultimo nemico che sarà distrutto, sarà la morte» (1 Corinzi 15:26).
«E la morte e l’Ades furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte» (Apocalisse 20:14).
Un luogo definitivo, lontano dalla presenza di Dio, è stato preparato per il diavolo e per i suoi angeli (vedere Matteo 25:41). Tutto quello che è stato introdotto dal principe delle tenebre lo seguirà in quel luogo oscuro, affinché il nuovo dominio inaugurato da Gesù sia stabilito per l’eternità. «La morte non sarà più; né ci sarà più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di prima sono passate. E colui che siede sul trono disse: Ecco, io faccio ogni cosa nuova, ed aggiunse: Scrivi, perché queste parole son fedeli e veraci» (Apocalisse 21:4-5).
Il regno eterno del nostro Signore Gesù Cristo, annunciato da Lui stesso durante il suo ministerio, sarà stabilito in gloria sulla terra all’apparizione di Cristo in un prossimo futuro. Esso avrà una durata di mille anni, secondo il capitolo 20 dell’Apocalisse. Durante questo periodo benedetto, la morte colpirà ancora ma solo i ribelli. E al termine di quei mille anni, nei quali tutte le cose saranno state assoggettate al Figlio di Dio, Egli stesso rimetterà il regno nelle mani di Dio Padre, affinché, nell’eternità, «Dio sia tutto in tutti (1 Corinzi 15:24-28). Ma il regno del Signore ha anche un aspetto definitivo e immutabile, dove nulla si opporrà più alla piena gioia di Dio. Egli, e detto, «si acqueterà nell’amore suo» (Sofonia 3:17) e si compiacerà nella felicità di quelli che aveva già amato prima della fondazione del mondo e per i quali ha sacrificato il suo santo Figlio alla croce del Golgota.
«A Lui sia la gloria, ora e in eterno» (2 Pietro 3:18).
11. La risurrezione
«Dio è per noi l’Iddio delle liberazioni; e all’Eterno, al Signore, appartiene il preservare dalla morte» (Salmo 68:20).
Benché la dottrina della risurrezione non faccia parte della rivelazione data sotto l’antico patto, questa verità non è nuova per il Vecchio Testamento. È chiaramente sottintesa in parecchi passi, ed era materia di fede per molti uomini di Dio. Giobbe stesso dimostra di conoscerla quando dice: «Quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio… Lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d’un altro» (Giobbe 19:26-27).
11.1 Cristo, la primizia
Nella Scrittura sono menzionati parecchi casi di risurrezione. In ognuno di essi si è trattato di persone riportate temporaneamente alla vita materiale e poi morte di nuovo. Essi sono stati soltanto una dimostrazione della potenza della vita che è in Dio. Ma la vera risurrezione è uscire dalla morte per non morire mai più. E il primo che è risorto in questo modo è stato il nostro Salvatore, «affinché in ogni cosa abbia il primato» (Colossesi 1:18). Con la sua morte ha trionfato sul principe della morte (Satana), ha attaccato questa fortezza inespugnabile e ne ha prese le chiavi. Egli dice di sé: «Io sono il primo e l’ultimo, e il vivente; e fui morto, ma ecco son vivente per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades» (Apocalisse 1: 17-18).
La risurrezione del nostro Salvatore è la dimostrazione evidente della sua vittoria su Satana e sulla morte. Non c’è quindi da stupirsi del fatto che il diavolo faccia tutti gli sforzi per negare questa verità. Ma essa è la chiave di volta dell’Evangelo, come ne è pure il fondamento.
Della risurrezione del Signore Gesù sono state fornite numerose ed irrefutabili prove: la tomba vuota, la testimonianza delle donne che erano recate al sepolcro, quella degli apostoli che hanno visto il maestro risorto in parecchie riprese, la testimonianza stessa delle guardie, comprate col denaro per divulgare una grossolana menzogna, le diverse apparizioni del Signore a singoli e a gruppi di persone. Tutte concordano nell’affermare con la Parola: «Ora Cristo è risuscitato dai morti» (1 Corinzi 15:20).
11.2 Due risurrezioni
Ci sarà una «risurrezione dei giusti» e una «degli ingiusti» (Atti 24:15). «L’ora viene in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne verranno fuori: quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita; e quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio» (Giovanni 5:28-29). Già Daniele, nel capitolo 12 del suo libro, dice: «Molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni per la vita eterna, gli altri per l’obbrobrio, per un’eterna infamia» (v.2). L’Apocalisse precisa maggiormente la cosa: «Essi tornarono in vita e regnarono con Cristo mille anni. Il rimanente dei morti non tornò in vita prima che fossero compiti i mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su loro non ha potestà la morte seconda» (Apocalisse 20:4-6).
L’idea di una risurrezione generale, seguita da una separazione fra i giusti e gli ingiusti, è nata da un’erronea interpretazione dei versetti 31 a 46 di Matteo 25. In questo passo si tratta del giudizio che precederà e, per così dire, inaugurerà l’insediamento di Cristo come Re sulla terra. Allora, le nazioni del mondo saranno giudicate in base all’accoglienza che avranno riserbata ai messaggeri del Re, atrocemente perseguitati dai nemici del Signore. Per quanto riguarda, invece, il giudizio finale, soltanto i morti si troveranno lì, davanti al trono del Signore (chiamato il «grande trono bianco» in Apoc. 20:11) per essere giudicati «secondo le loro opere». Notiamo che continuano ad essere chiamati «morti» anche se hanno avuto parte alla risurrezione, «la risurrezione di giudizio». Chi non ha Cristo, è «morto» e basta.
11.3 La risurrezione di vita (o in vista di vivere per sempre)
L’espressione «quelli che sono di Cristo, alla sua venuta» (1 Corinzi 15:23) indica tutti quelli che saranno stati messi al beneficio dell’opera di Cristo alla croce. Anche i credenti dell’antico patto, poiché sono salvati in virtù del sangue del Calvario, essendo loro stato imputato per anticipazione il valore di quel sangue. La risurrezione farà loro raggiungere la perfezione, secondo l’espressione dell’ultimo versetto del capitolo 11 dell’Epistola agli Ebrei. Essi hanno nutrito questa speranza durante la loro vita, ne avevano persino la certezza (vedere Giobbe 19 già citato e Davide al Salmo 17:15).
La fede nella risurrezione era accompagnata da molta ignoranza, poiché la rivelazione non era data. Marta, alla morte di suo fratello Lazzaro, quando il Signore le dice: «Tuo fratello risusciterà», gli risponde: «Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell’ultimo giorno», esprimendo così quanto era generalmente ammesso dai credenti giudei. Gesù le rivela allora una parola che, oggi ancora, conforta quelli che sono nel lutto: «Io son la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morrà mai» (Giovanni 11:23-26).
Nel giorno in cui il Signore Gesù verrà per riunire i suoi presso di sé, chiamerà quelli che sono nella tomba come ha chiamato un tempo Lazzaro: «Gridò con gran voce: Lazzaro, vieni fuori! E il morto uscì» (Giovanni 11:43). Questo straordinario avvenimento avrà luogo congiuntamente alla trasmutazione dei viventi che, alla somiglianza di Enoc, saranno portati via, senza passare per la morte: «Ecco, io vi dico un mistero: Non tutti morremo, ma tutti saremo mutati, in un momento, in un batter d’occhio… i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo mutati» (1 Corinzi 15:51-52). I cristiani di Tessalonica aspettavano il Signore (1 Tessalonicesi 1:10). Temendo per i fratelli morti nella fede, pensavano che costoro sarebbero mancati all’appuntamento.
L’apostolo li rassicura dicendo loro queste magnifiche parole: «Questo vi diciamo per parola del Signore: che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati; perché il Signore stesso, con potente grido, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e i morti in Cristo risusciteranno i primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo insiem con loro rapiti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore. Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole» (1 Tessalonicesi 4:15-18).
Il periodo che seguirà il rapimento della Chiesa e che precederà il regno universale di Cristo sarà un periodo terribile. Nel suo corso, che deve durare sette anni, i giudizi precipiteranno su un mondo in cui l’empietà andrà sempre aumentando. La potenza occulta dell’Anticristo infierirà atrocemente contro tutti quelli che non si sottometteranno alla sua diabolica autorità. Numerosi saranno i martiri di quell’epoca. L’Apocalisse ne parla al capitolo 7:9-17, al capitolo 14:1-5 e al capitolo 15:2-4. Tutti costoro, messi a morte per la fedeltà della loro testimonianza, avranno anche parte alla risurrezione di vita nella sua seconda fase, indicata in Apocalisse 20:4-6, già citata. Ma saranno gli ultimi credenti che parteciperanno alla prima risurrezione perché, durante il regno di mille anni che seguirà, soltanto il malvagio sarà colpito dal giudizio che ogni mattina si eserciterà sotto il governo del Re dei re.
11.4 La risurrezione di giudizio (o per essere giudicati e condannati per sempre)
La risurrezione di giudizio, menzionata dal Signore Gesù in Giovanni 5:29 e dall’apostolo Paolo in Atti 24:15, si svolgerà al momento della dissoluzione di tutte le cose create, prima dell’introduzione dei nuovi cieli e della nuova terra. Il testo di Apocalisse 20:11-15 descrive questa scena solenne. Dovunque sia deposto il corpo del non credente, anche se le sue ceneri sono state disperse, egli risorgerà dalla morte per comparire davanti a Colui «che da Dio è stato costituito giudice dei vivi e dei morti» (Atti 10:42). Allora sarà chiusa ogni bocca, quando la vita di ognuno sarà messa in evidenza e tutti saranno giudicati secondo le loro opere. Il giudice di quel momento sarà lo stesso che oggi è presentato come Salvatore; colui il cuo amore per il peccatore l’ha spinto fino alla morte della croce. È l’unico che ci possa salvare dalla morte eterna, poiché Lui solo ha potuto sopportare il giudizio al posto del colpevole.
Nessuno esiti ad affidarsi a Lui ed a credere nella sua Parola! «In verità, in verità, io vi dico: Chi ascolta la mia Parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, nia è passato dalla morte alla vita» (Giovanni 5:24).
11.5 Il Signore Gesù è la risurrezione e la vita
Quando parliamo di vita, il nostro pensiero va a Colui che ne è l’autore: il Dio Creatore. Ogni forma di vita è nata dalle mani del Creatore, e l’Evangelo di Giovanni dice che Colui che è chiamato «la Parola», il Figlio di Dio, Gesù Cristo, è stato l’autore di tutte le cose create. La conferma di questa verità si trova in Giovanni 1:3, in Colossesi 1:16 e in Ebrei 1:10. La preminenza del Figlio sulla creazione la rileviamo dall’espressione «il primogenito di ogni creatura» del versetto 15 di Colossesi 1.
Del cap. 1 di Colossesi abbiamo già citato il passo (v.18) che dice che Cristo è il «primogenito dai morti, onde in ogni cosa abbia il primato». Con la propria risurrezione, Gesù ha inaugurato la «nuova creazione» in cui il credente viene introdotto per fede: «Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura (o una nuova creazione)» (2 Corinzi 5:17). Questa nuova creazione, di ordine spirituale, non soggiace alle conseguenze delle cose materiali. La vita che la caratterizza non ha fine con la morte del corpo, poiché la sua sorgente e la sua potenza sono in Gesù risuscitato. Unito a un Cristo vivente, il credente aspetta il ritorno del suo Salvatore, anche se dovesse morire. Egli sa che, lasciato questo corpo, è presente con il Signore, ma sa anche che, se il Signore venisse a prendere i suoi prima di questa scadenza, non passerà per la morte. La fiducia che il credente ha a questo riguardo è fondata sulla Parola di Dio.
Al momento della risurrezione di Gesù, la morte è stata vinta, ma l’effetto completo di questa vittoria si manifesterà quando i corpi risuscitati dei riscattati del Signore usciranno dalla morte: «Allora sarà adempiuta la Parola che è scritta: la morte è stata sommersa nella vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo dardo?» (1 Corinzi 15:54-55). Quando il nostro Salvatore Gesù Cristo è venuto quaggiù, con la sua opera «ha distrutto (o annullato) la morte e ha prodotto in luce la vita e l’immortalità mediante l’Evangelo» (2 Timoteo 1:10). Pertanto, gli effetti della morte sul credente non sono che parziali e provvisori. Soltanto il suo corpo può subirli, se il Signore non viene prima; e se li subirà, risorgerà alla venuta del Signore.
Gesù è la risurrezione e la vita. Tutto è in Lui, tutto si basa su Lui, sulla sua opera al Golgota, sulla sua morte e la sua risurrezione. Come non ci sarebbe stata vita senza l’opera del Creatore, così non ci sarebbe che morte senza l’opera del Redentore.
«In lui (Gesù), si compiacque il Padre di far abitare tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della croce d’esso; per mezzo di lui, dico, tutte le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli» (Colossesi 1:19-20).
Nella gloria celeste, il coro dei riscattati, degli angeli e di tutta la creazione darà gloria e onore all’Agnello che è stato immolato, che è seduto in mezzo al trono, e attira su di Sé gli sguardi e l’affetto di tutti (vedere Apocalisse 5:6-14).
12. La via della salvezza
Negli studi precedenti abbiamo considerato diversi soggetti biblici in rapporto con le Persone divine, con l’uomo e con Satana. Abbiamo considerato il popolo di Dio, che prima di Gesù Cristo era Israele, e ora è la Chiesa. Abbiamo visto anche dei concetti astratti, come la profezia, la morte e la risurrezione. Ma non è ancora stato esaminato un argomento di fondamentale importanza, benché ad esso sia stato fatto allusione a più riprese: è la salvezza dell’uomo. L’uomo è responsabile davanti al suo Creatore, ma poiché non ha risposto a questa responsabilità, si pone una domanda quanto mai pertinente: «Come può dunque l’uomo essere giusto dinanzi a Dio?» (Giobbe 25:4).
Una vera salvezza non è solo un perdono temporaneo e ancora meno una cancellazione pura e semplice di colpevolezza. Dio è perfettamente giusto e non può ammettere alla sua presenza chi non è giustificato. È proprio a questa giustificazione che ci conduce la via della salvezza che la Parola di Dio ci fa conoscere.
12.1 La grazia
Contrariamente a ciò che le religioni umane propongono, il punto di partenza della via della salvezza non è negli sforzi dell’uomo. È Dio che ha preso l’iniziativa, per pura grazia, per amore. Ancora prima che il mondo fosse creato, nella sua perfetta conoscenza aveva concepito il piano della nostra salvezza. Dio, oltre che giusto e santo, è anche amore. Non voleva dunque che la sua creatura se ne andasse alla perdizione eterna senza offrirle il mezzo con il quale potesse ottenere la salvezza. Questo mezzo è il dono del suo Figlio che, subendo il suo giudizio sulla croce, ha preso su di sé la colpa dell’uomo. Vedremo questo più da vicino in un paragrafo successivo.
La grazia è dunque questa disposizione del cuore di Dio che vuol fare tutto per salvare l’uomo dalla situazione nella quale lo ha posto la sua disubbidienza. Dio non può essere preso alla sprovvista, per cui è «avanti i secoli» che la sua grazia» ci è stata data in Cristo Gesù» (2 Timoteo 1:9) prima ancora che noi fossimo creati e cadessimo nel peccato. La manifestazione evidente di questa grazia di Dio è avvenuta il giorno della morte di Cristo sulla croce del Calvario, e ogni volta che l’Evangelo è annunciato questa grazia è offerta a chiunque crede. Basata sull’opera di Gesù Cristo che ha portato i nostri peccati nel suo corpo sulla croce, la grazia di Dio non contraddice per nulla la sua giustizia e la sua santità. Anzi, essa testimonia della piena sufficienza di quest’opera e della perfetta giustizia del Dio santo che ha fatto cadere il castigo contro il peccato sul suo stesso Figlio, quando si è caricato delle nostre colpe.
Molto prima della venuta di Gesù Cristo, lo Spirito di Dio lasciava intuire al credente che la grazia un giorno sarebbe stata offerta all’umanità colpevole. Elihu, nel racconto del libro di Giobbe, può dire a questo patriarca: «Se, presso all’uomo, v’è un angelo, un interprete… Iddio gli farà grazia e gli dirà: Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto» (Giobbe 33:23-24). Persino nel momento in cui dà la legge, l’Eterno lo proclama davanti a Mosè: «L’Eterno! l’Eterno! l’Iddio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà» (Esodo 34:6). La grazia è dunque uno dei caratteri di Dio stesso, carattere che ha trovato nel peccato dell’uomo l’occasione per manifestarsi.
12.2 La fede
«È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi, è il dono di Dio» (Efesini 2:8). Se la grazia è la mano che dona, la fede è quella che riceve. Quando queste due mani si incontrano, la salvezza è ottenuta. È ottenuta come un dono di Dio per il quale il peccatore salvato non può far altro che lodarlo e ringraziarlo. Molte domande sono state poste riguardo alla fede. Se ne possono dare varie definizioni, ma solo la Parola di Dio può fornire delle risposte soddisfacenti. Cerchiamo dunque in essa la vera risposta riguardo alla fede.
Premettiamo che la fede non ha nulla a che vedere con l’essere creduloni e che non è nemmeno una potenza che ci permetterebbe di far agire Dio secondo la nostra volontà. Qual è dunque la definizione della fede secondo le Scritture? Il versetto che ne esprime il concetto in modo più conciso è forse questo: «Chi ha ricevuto la sua testimonianza (cioè la testimonianza di Gesù) ha suggellato che Dio è verace» (Giovanni 3:33).
Un altro versetto sovente citato per dare una definizione della fede è: «La fede è la certezza delle cose che si sperano, dimostrazione (o, secondo una traduzione più letterale, convizione) delle cose che non si vedono» (Ebrei 11:1). Qui è messa in evidenza la fiducia nelle promesse di Dio, promesse il cui compimento non è ancora visibile. Quando la Parola di Dio dichiara una cosa, siamo tenuti a considerala vera. La nostra capacità è limitata, per cui non possiamo capire tutto; se però crediamo, un giorno capiremo.
Quest’ultimo pensiero ci porta a considerare la contrapposizione che spesso si fa fra l’intellingenza e la fede. Interpretando in modo distorto la frase di Gesù: «Io ti rendo lode, o Padre,… perché hai nascoste queste cose ai savi e agl’intelligenti e le hai rivelate ai piccoli fanciulli» (Luca 10:21), si dice che bisognerebbe far tacere la propria intelligenza per poter accettare la Parola di Dio. Ma non è del tutto vero. La Parola si rivolge non solo al nostro cuore ma anche alla nostra mente; infatti ci dice: «Ascoltatemi tutti, ed intendete» (Marco 7:14). Agire come un «piccolo fanciullo» significa dare piena fiducia a chi ci parla, ricevere ciò che ci dà. Invece, chi fa dei ragionamenti basati sulla pretesa di sapere e poter capire, si pone al di sopra di Dio stesso, dunque al di fuori della sfera della sua grazia.
Il discepolo Pietro poteva dire a Gesù: «Noi abbiamo creduto ed abbiamo conosciuto che tu sei il santo Dio» (Giovanni 6:69). E ancora è scritto: «Per fede intendiamo…» (Ebrei 11:3). Così dunque la fede, anziché essere credulità, è proprio ciò che l’uomo, creatura intelligente, manifesta riguardo al suo Creatore. Come la recettività è una prova d’intelligenza da parte di un allievo, così lo è anche la fede da parte dell’uomo. L’allievo impegnato ascolta e riceve le lezioni del suo professore, allo stesso modo chi crede a Dio impara a conoscere ciò che il divino Maestro gli insegna.
12.3 La salvezza
Da questi due concetti, la grazia di Dio e la fede che la riceve, risulta la liberazione dell’uomo caduto sotto il dominio del male. Fin dai tempi più antichi, la via della salvezza passa per questi due punti inseparabili: la grazia da parte di Dio e la fede da parte dell’uomo. La cosa è ben evidente nella storia di Abrahamo quando è detto: «Egli credette all’Eterno, che gli contò questo come giustizia» (Genesi 15:6). Sotto il regime della legge data da Dio a Mosè al Sinai, benché l’ubbidienza a questa legge sia stata la condizione per essere accettato davanti a Dio, nessuno ha potuto soddisfarne le esigenze. All’Israelita pio era stata data la possibilità di avvicinarsi a Dio mediante il sacrificio di una vittima. Questo era già un’anticipazione del sacrificio perfetto di Gesù Cristo che avrebbe poi offerto se stesso come vittima espiatoria.
Il rituale istituito dalla legge di Mosè comportava numerosi sacrifici di animali. Tutti prefiguravano il sacrificio di Gesù Cristo alla croce del Calvario. Con questo Dio voleva già mostrare che il peccato nel quale l’uomo è caduto gli impediva totalmente di avere una relazione con Lui, unica sorgente di felicità e di vera vita; per cui era necessario che una vittima morisse al posto dell’uomo peccatore. Così dunque, nel corso degli anni, lo stesso rituale continuava, pur mostrando tutta la sua insufficienza.
Ma Cristo è venuto per compiere la legge. In effetti, tutto ciò che i riti dell’Antico Testamento rappresentavano è stato realizzato in modo perfetto dal Signore Gesù. Non soltanto la vita di Gesù è stata conforme alla legge divina, ma la punizione che la legge formulava è stata subita dal Signore quando ha preso su di sé la nostra colpevolezza. Nulla rende necessario la ripetizione dell’opera della croce e nulla può esserle aggiunto. «Noi siamo stati santificati mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre» (Ebrei 10:10).
Per essere consapevoli di avere bisogno di salvezza, dobbiamo prima di tutto accettare il fatto che siamo perduti. Se ci basiamo sui nostri sforzi per correggere i nostri difetti e migliorare la condotta, andremo incontro a un doloroso fallimento. Presto o tardi dovremo ricominciare senza mai arrivare a una vera liberazione. Chi ha fatto quest’esperienza deve dire come l’apostolo Paolo: «Misero me uomo, chi mi libererà?» (Romani 7:24). È allora che la mano soccorritrice del Salvatore potrà essere afferrata, quella mano trafitta alla croce. Allora il cuore riceverà la meravigliosa dichiarazione del Signore Gesù: «Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Giovanni 5:24). Sì, passato dalla morte alla vita, cioè salvato dallo stato di morte morale e dalla condanna eterna che ne è la conseguenza, e introdotto in una nuova sfera, quella della vita eterna.
12.4 Conclusione
Non è sufficiente conoscere una strada che porta a una certa località; se non la si percorre, non vi si arriverà mai; allo stesso modo, non basta conoscere la verità del Vangelo che riguarda la salvezza, ma bisogna accettarla con tutto il cuore. L’offerta della salvezza è per tutti, il prezzo è già stato pagato. Essa è assolutamente gratuita. Dio è amore e non vuole che l’uomo perisca; per questo fa proclamare l’Evangelo, questa «buona notizia» che ci dice: «Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unico Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3:16).
Molti trovano questa parola troppo semplice e non vogliono accettare una salvezza che costa così poco. Eppure il costo è stato altissimo: la vita di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Nessun essere umano avrebbe potuto riscattare se stesso e tanto meno riscattare il suo fratello, perché il riscatto è troppo prezioso e nessuno potrà mai pagarlo, come dice il Salmo 49:7-8. Ma ciò che l’uomo non avrebbe mai potuto fare, l’ha fatto Dio per mezzo di Gesù Cristo. Accettiamo semplicemente questa grande salvezza offerta ancora oggi, dicendo «Sì» a Gesù Cristo il Salvatore che Dio ci ha donato.
13. La Parola di Dio
A conclusione di questo breve panorama sui vari soggetti trattati nella Bibbia, ci sembra opportuno dire qualcosa sulla Bibbia stessa, sui libri che la compongono e su come si è andata formando nel corso dei secoli.
Ma perché una rivelazione «scritta» del pensiero di Dio? La nozione di un Dio supremo, creatore di tutte le cose, è presente anche tra i popoli non cristiani. Ma, come abbiamo visto, il vero Dio, il nostro Creatore, si è occupato della sua creatura dopo averla formata; non è rimasto in lontane sfere, senza alcuna relazione con l’uomo fatto alla sua immagine e secondo la sua somiglianza. Dio si è rivelato alla sua creatura!
Subito dopo il peccato di Adamo ed Eva in Eden, che portò alla rottura delle relazioni iniziali, Dio promise alla donna una «discendenza», una «progenie» liberatrice (Genesi 3:15-16), che noi sappiamo essere Gesù Cristo, e continuò a rivelarsi a quelli che si avvicinavano a Lui con fede e con umiltà. Abele, Enoc, Noè, Abramo, Isacco e Giacobbe furono beneficiari di particolari rivelazioni, sia tramite visioni o sogni, sia con la mediazione di angeli. Tuttavia, queste rivelazioni, trasmesse poi di generazione in generazione, non mantennero a lungo la loro integrità. Bisognava che gli insegnamenti divini fossero scritti; così Dio preparò dei suoi servitori per questo compito. Il primo a scrivere fu Mosè, uomo colto, istruito alla corte del faraone d’Egitto.
È soltanto lo Spirito Santo che ha reso capace sia Mosè sia tutti gli altri autori successivi, a scrivere questi testi. L’apostolo Pietro dice che «degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo» (2 Pietro 1:21).
La Bibbia è la Parola di Dio. Essa è composta da due parti: l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento.
13.1 L’Antico Testamento
L’ANTICO TESTAMENTO è formato da tre gruppi di Libri:
a. Il Pentateuco
Così chiamato perché composto da cinque libri (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), il Pentateuco è la base della rivelazione di Dio nel periodo anteriore a Gesù Cristo. Questi libri furono scritti da Mosè (ad eccezione dell’ultimo capitolo del Deuteronomio che ci racconta la sua morte sul monte Nebo). Fino all’epoca del re Davide il Pentateuco era la Parola per eccellenza; ad esso si aggiungevano soltanto alcuni libri storici. Questa Parola era la gioia di quelli che la ricercavano e se ne «nutrivano». Davide dice nel Salmo 19: «La legge dell’Eterno è perfetta, ella ristora l’anima; la testimonianza dell’Eterno è verace, rende savio il semplice. I precetti dell’Eterno sono giusti, rallegrano il cuore; il comandamento dell’Eterno è puro, illumina gli occhi… sono più desiderabili dell’oro, anzi, più di molto oro finissimo; sono più dolci del miele, anzi, di quello che stilla dai favi. Anche il tuo servitore è da essi ammaestrato; v’è gran ricompensa ad osservarli» (Salmi 19:7-8, 10-11).
Il lungo periodo che va da Mosè a Cristo è caratterizzato dal dono della «legge», data dall’Eterno al popolo d’Israele per mezzo di Mosè. Essa è composta dai dieci comandamenti e da tante altre prescrizioni e, fino alla venuta di Cristo, ha costituito la base delle relazioni di Israele con Dio. Poi venne Lui, il Figlio di Dio, il solo che l’ha veramente rispettata in tutte le sue esigenze. Egli solo poteva farlo, sia nella sua vita perfetta, sia nella sua morte in croce come vittima per il peccato.
b. I Salmi
A questa categoria appartengono tutti i libri poetici, sia i Salmi veri e propri sia gli altri libri scritti in poesia nella lingua originale (Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici).
I Salmi esprimono i sentimenti dei fedeli. Vi troviamo pensieri profondi, messi nel cuore degli autori dallo Spirito stesso, e che spesso oltrepassano le esperienze personali di coloro che li hanno scritti e assumono un evidente carattere profetico. Così vediamo in essi le gioie e i dolori del piccolo nucleo di Giudei fedeli dei tempi futuri (il «residuo»), ma soprattuto dei chiari riferimenti al Messia, sia nelle sue sofferenze, sia nella sua gloria presente e futura.
I credenti di tutti tempi hanno trovato nei Salmi conforto, gioia e un grande incoraggiamento alla fiducia in Dio. Le tante citazioni dei Salmi nel Nuovo Testamento ci confermano la ricchezza di questa porzione delle Sacre Scritture. Molte espressioni, tuttavia, non corrispondono ai princìpi di grazia e di misericordia che caratterizzano il Vangelo: in parecchi Salmi il fedele desidera e chiede la vendetta sui nemici, cosa che si trova d’altronde in tutto l’Antico Testamento.
I precetti morali del libro dei Proverbi sono utili in ogni tempo e le considerazioni del libro dell’Ecclesiaste hanno una portata pratica da non trascurare. Il linguaggio sublime del Cantico dei Cantici deve essere letto con rispetto, non perdendo mai di vista che la persona dell’«amico» rappresenta Cristo stesso, l’unico, l’incomparabile. Le espressioni fiorite e dolci di questo libro devono essere prese in senso simbolico per afferrarne il significato spirituale. I nostri cuori sono ravvivati dall’affetto di Colui che ci ha amati per primo e il cui amore è «forte come la morte» (Cantico dei Cantici 8:6).
c. I profeti
A questa categoria fanno parte non solo i libri dei profeti ma anche i libri storici. È la parte più cospicua delle Sacre Scritture. I racconti del passato, nei libri storici, riguardanti soprattutto la storia del popolo di Israele, hanno lo scopo di avvertire e di incoraggiare, e sono molto interessanti e utili anche pergli uomini del nostro tempo in quanto la storia si ripete.
Tramite i profeti, Dio si rivolgeva al suo popolo per avvertirlo, consolarlo, incoraggiarlo, ma spesso anche per biasimarlo. L’annuncio degli avvenimenti futuri è il carattere essenziale delle profezie dell’Antico Testamento. La profezia non è mai data per soddisfare la curiosità; se si tratta di una minaccia di giudizio, questa è fatta in anticipo per permettere ai colpevoli di umiliarsi e di pentirsi. Il richiamo alla coscienza del popolo risuona innumerevoli volte prima che il castigo venga eseguito, e questo è differito se il richiamo è ascoltato.
Il centro della profezia è Israele, ma sono pure considerate le altre nazioni (i cosiddetti Gentili, o le Genti), poiché la loro benedizione o il loro giudizio dipende dal tipo di relazione che esse hanno col popolo di Dio. L’oggetto centrale di ogni profezia e il suo scopo finale è la gloria del Messia, la sua sofferenza e la morte. Vi fanno allusione parecchi passi, ma soprattutto il capitolo 53 del profeta Isaia. Invitiamo il lettore a leggere attentamente questo meraviglioso brano.
13.2 Il Nuovo Testamento
IL NUOVO TESTAMENTO comprende:
a. Gli Evangeli
Gli evangeli sono quattro, e descrivono la vita del Signore Gesù. La ripetizione di certi fatti ne sottolinea l’importanza, mentre le varianti di alcuni racconti ci fanno scoprire degli aspetti differenti, che altrimenti sarebbero sconosciuti. Come una registrazione stereofonica rende più completa l’audizione di un branomusicale, così i diversi aspetti della vita, della persona e dell’opera del nostro diletto Salvatore ci sono riferiti sotto angolazioni diverse per permetterci di afferrare l’infinito del suo Essere. Le differenze non sono contraddizioni, ma sono volute dallo Spirito di Dio per rendere meglio visibili le glorie molteplici del Signore Gesù.
Possiamo notare brevemente il diverso carattere dei quattro vangeli:
— In Matteo il Signore Gesù è visto come re, Messia d’Israele, ma rigettato dal suo popolo.
— In Marco il Signore Gesù è il servitore di Dio, consacrato a Lui fino a dare la sua propria vita in perfetta ubbidienza.
— In Luca Gesù è visto come uomo, che assume la nostra stessa natura, escluso il peccato.
— In Giovanni, invece, è il Figlio di Dio che porta l’amore e la verità.
A questi quattro caratteri si ricollegano molti titoli dati a Gesù Cristo, come pure il significato simbolico di parecchi ordinamenti della legge.
b. Gli Atti degli apostoli
Il libro degli Atti (o dei Fatti), scritto da Luca e strettamente collegato al suo evangelo, è la narrazione della storia della Chiesa al suo inizio.
Il ministerio degli apostoli non fu che la continuazione di quello del Signore, come disse Egli stesso: «Chi crede in me farà anch’egli le opere che faccio io; e ne farà di maggiori, poiché io me ne vado al Padre» (Giovanni 14:12).
L’avvenimento principale di questo libro è il dono dello Spirito Santo. Fu proprio per mezzo della Sua potenza che gli apostoli, un tempo discepoli timorosi, hanno potuto predicare arditamente l’evangelo e compiere dei miracoli. Nei dodici primi capitoli ci è presentato soprattutto il ministerio di Pietro; a partire dal tredicesimo capitolo quello di Paolo.
Secondo l’ordine dato da Gesù, la Parola è presentata prima ai Giudei, poi ai Samaritani, poi alle altre nazioni. L’apostolo Paolo fu l’inviato del Signore per annunziare alle nazioni pagane la buona notizia della salvezza, e questo eccitò la collera dei Giudei che provocarono ovunque violente persecuzioni contro di lui.
Il carattere storico del libro degli Atti non è la cosa più importante. Oltre ai messaggi diretti, l’esempio della fede di quei primi credenti e la loro fedeltà sono un prezioso insegnamento per noi. Come nei Vangeli, parecchi racconti degli Atti hanno un senso simbolico, con il valore di istruzione e di avvertimento. Dio rivelerà al lettore attento quello che gli vuole insegnare con questo libro.
Anche se non viviamo più in quel periodo di sviluppo e di prosperità spirituale, rimangono sempre per noi le risorse di quel tempo; basta che vi attingiamo!
c. Le Epistole
Paolo scrive: «Come un savio architetto, ho posto il fondamento… Nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Cristo Gesù» (1 Corinzi 3:10-11). Lo Spirito di Dio ha guidato gli apostoli Paolo, Pietro, Giacomo, Giovanni e Giuda a scrivere lettere indirizzate ad assemblee, a individui, oppure, con carattere più generale, all’attenzione di tutta la famiglia di Dio. Queste lettere sono state conservate, e fanno parte delle Sacre Scritture, secondo quanto dice l’apostolo Pietro: «Il nostro caro fratello Paolo vi ha scritto secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue epistole… che gli uomini ignoranti e instabili torcono, come anche le altre Scritture, a loro propria perdizione» (2 Pietro 3:15-16).
Tutte queste epistole hanno lo scopo di confermare la fede cristiana, ponendo il solido fondamento sulla quale essa si basa, cioè Gesù Cristo, e valorizzare la persona e l’opera del nostro Salvatore.
— Le epistole di Paolo sviluppano la dottrina riguardante la Chiesa, la sua unione con Cristo, la sua vocazione celeste, le funzioni dei suoi membri e i rapporti fra di loro.
— L’Epistola agli Ebrei non è attribuata a un autore particolare; essa si indirizza agli ebrei diventati cristiani ni per far loro conoscere l’eccellenza della Persona di Gesù e il valore della sua opera.
— Le epistole di Pietro riguardano soprattutto la nostra vita e le nostre sofferenze sulla terra e ci danno molti incoraggiamenti.
— Le epistole di Giovanni trattano della famiglia di Dio e insistono sull’amore che vi deve regnare.
— L’epistola di Giacomo ci esorta ad una manifestazione visibile della fede.
— Quella di Giuda ci avverte del pericolo dell’abbandono della fede e della verità cristiana.
Ognuna di queste epistole ha un valore permanente e non limitato a quel tempo, benché le condizioni di oggi non siano più quelle di allora. La Parola di Dio «è vivente e permanente» (1 Pietro 1:23). Dio ha pure permesso determinate circostanze, che hanno richiesto direttive speciali, perché quelle istruzioni giungessero fino a noi.
Con le Epistole, l’insegnamento dottrinale è completo e non necessita di nessuna aggiunta. «Io sono stato fatto ministro — dice l’apostolo Paolo — secondo l’ufficio datomi da Dio per voi di annunziare nella sua pienezza la Parola di Dio» (Colossesi 1:25).
d. L’Apocalisse
Il libro dell’Apocalisse ha un carattere particolare: è un libro profetico, l’unico libro profetico del Nuovo Testamento. Tale «rivelazione» (questo è il significato del termine apocalisse) è stata data all’apostolo Giovanni quand’era in esilio nell’isola di Patmo.
Il punto di partenza di questo libro è la visione gloriosa di Dio descritta nel primo capitolo. Questa visione produsse un effetto tale sull’apostolo che egli cadde come morto: il Signore si rivelò quindi a lui dicendogli: «Non temere; io sono il primo e l’ultimo, e il Vivente; e fui morto, ma ecco sono vivente per i secoli dei secoli» (Apocalisse 1:17-18). Dopo queste parole confortanti, gli disse: «Scrivi dunque le cose che hai vedute, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito» (vers. 19). Questa dichiarazione è la chiave per la comprensione dell’Apocalisse: «le cose che hai vedute» sono quelle del primo capitolo; «quelle che sono» sono contenute nei capitoli 2 e 3, dove abbiamo le lettere indirizzate a sette assemblee dell’Asia, un quadro notevole della storia della Chiesa sulla terra; «Le cose che devono avvenire in seguito» è il resto del libro, a partire dal capitolo 4, in cui leggiamo al v. 1: «Sali qua ed io ti mostrerò le cose che debbono avvenire da ora innanzi».
Per non aver compreso questa divisione dell’ Apocalisse, parecchi commentatori si sono sviati nelle loro interpretazioni, applicando al periodo trascorso e all’epoca attuale quegli avvenimenti che sono invece annunciati per il tempo in cui la Chiesa non sarà più sulla terra, quindi un tempo che deve ancora venire.
I capitoli 4 e 5 descrivono simbolicamente le scene celesti che si svolgeranno dopo che, secondo la Sua promessa, i suoi riscattati saranno stati introdotti nel soggiorno glorioso della «casa del Padre suo». I capitoli 6 a 18 ci mostrano, con vari quadri simbolici, l’esecuzione dei giudizi divini sul mondo. Questo sarà allora il teatro di sconvolgimenti sociali, politici ed economici senza precedenti. A partire dal capitolo 19 abbiamo la descrizione della vittoria finale di Gesù Cristo e l’instaurazione di un regno di giustizia e di pace.
Con la menzione del giudizio finale, a partire dal capitolo 20, abbiamo l’inizio dello stato eterno, definitivo ed immutabile. Per i salvati ci saranno i nuovi cieli e la nuova terra, ma per i perduti ci sarà lo stagno di fuoco, la «seconda morte». Un appello solenne risuona ancora alla fina di questo libro, e rivolge oggi ad ogni uomo: «Chi ha sete venga: chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita» (Apocalisse 22:17).
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