Giovanni 1
P. E. Fuzier
Tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 10-2019
“La legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (v. 17).
Il contrasto fra quello che il popolo d’Israele aveva ricevuto per mezzo di Mosè – la legge – e quello che Cristo è venuto a portare al mondo – la grazia e la verità – si trova in tutto il Vangelo di Giovanni.
Il primo capitolo ci presenta diversi caratteri del Figlio di Dio che viene nel mondo. Mettendo in relazione quello che è detto di Lui con quello che è detto di Mosè, e in particolare con quello che Mosè stesso esprime nel Salmo 90, possiamo ammirare la grandezza di Colui che ci ha portato la grazia e la verità da parte del Padre.
La grandezza della persona di Gesù
Egli è “la Parola”, Colui che era dal principio presso Dio, il creatore di tutte le cose (v. 1-3). È dunque di Lui che Mosè rende testimonianza quando scrive: “Prima che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e l’universo, anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio” (Salmo 90:2). Davanti a Lui che cos’è l’uomo? Una creatura fragile ed effimera, polvere che torna alla polvere, e tuttavia Dio vuole benedirlo, far brillare su lui la Sua luce.
Questa luce divina manifesta quello che l’uomo è, il suo stato di peccato che attira l’ira di Dio; è questo che Mosè aveva già detto: “Tu metti le nostre colpe davanti a te e i nostri peccati nascosti alla luce del tuo volto” (v. 8). Per Mosè, tuttavia, questa luce evocava anche altre cose come si vede nelle parole della “benedizione” che ha insegnato ad Israele: “Il SIGNORE ti benedica e ti protegga! Il SIGNORE faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio! Il SIGNORE rivolga verso di te il suo volto e ti dia la pace!” (Numeri 6:24-26). Il Dio che è luce vuole benedire; ma in che modo l’uomo peccatore potrà godere di questa benedizione?
Colui che è la luce è venuto.
“La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo” (v. 9).
Purtroppo, la malvagità dell’uomo, la sua innata opposizione a Dio si è manifestata pienamente contro il Signore Gesù: “Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l’ha conosciuto. È venuto in casa sua, e i suoi non l’hanno ricevuto” (v. 10-11). Ma Dio agisce forse verso questi uomini increduli secondo le parole del Salmo 90 portandoli via come in una piena? La grazia sovrana di Dio ha una risposta diversa alla malvagità del cuore dell’uomo. Il Figlio di Dio viene a compiere un’opera nuova, ancora più grande di quella della creazione: dona la vita; dà a tutti coloro che lo ricevono “il diritto di diventare figli di Dio” (v. 12), i quali sono “nati da Dio”. La legge non aveva il potere di far vivere, ma nella Parola “era la vita” (v. 4), ed Egli ci ha dato questa vita, la vita in abbondanza, la vita eterna.
Ha abitato fra di noi!
“E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi” (v. 14).
Questa persona così grande e meravigliosa è venuta fino a noi. Il cammino della fede può portare degli uomini ad abbassare se stessi, ma nessun abbassamento è paragonabile a quello di Cristo. Mosè si è abbassato per associarsi al popolo di Dio; ha rinunciato alla sua gloria umana ed ha accettato l’obbrobrio. “Per fede Mosè, fattosi grande, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio che godere per breve tempo i piaceri del peccato, stimando gli oltraggi di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto” (Ebrei 11:24-26). Per fede ha abbandonato la sua posizione regale per unirsi ad un popolo schiavo, che il suo cuore riconosceva come suoi fratelli (Atti 7:23).
Ma il cammino del Figlio di Dio che viene a noi è incomparabilmente più bello. Colui che è grande nella Sua divinità eterna, ha abbassato Sé stesso per essere trovato “nell’esteriore come un uomo” (Filippesi 2:8); ha velato la Sua gloria divina per venire in mezzo a noi. Mosè associandosi con il popolo schiavo e disprezzato, perdeva la sua dignità regale, mentre il Figlio di Dio, venendo a noi come l’uomo Cristo Gesù, rimane sempre “il Figlio unico che è nel seno del Padre” (v. 18).
La pienezza della Sua Persona
“Infatti dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia” (v. 16).
Chi era Mosè quando è stato mandato a Israele ad annunziare il progetto di Dio? Aveva ottant’anni ed era consapevole della vanità della vita dell’uomo (Salmo 90:10). Da giovane era stato “istruito in tutta la sapienza degli Egiziani”; era divenuto “potente in parole e in opere” (Atti 7:22), ma ha dovuto imparare, facendo il pastore nel deserto per quarant’anni, ad essere spogliato di tutto questo. È ad un uomo vuoto del proprio io che l’Eterno ha potuto rivelarsi al Suo servitore e affidargli la sua missione.
Ma quando, il Figlio viene nel mondo, quando viene ad abitare in mezzo a noi, è nella pienezza della Sua Persona. In Lui e nel Suo stesso abbassamento, piacque al Padre di far abitare tutta la pienezza (Colossesi 1:19). In Lui dimora tutta la gloria ed è da questa pienezza, dalla gloria della Sua persona che noi “abbiamo ricevuto grazia su grazia”. Mosè, come ogni servitore, poteva portare solo quello che aveva ricevuto; il Figlio ci dà, in abbondanza, quello che ha in Se stesso. La Parola è stata in mezzo a noi “piena di grazia e di verità”
Ci ha fatto conoscere Dio
“Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Dio (altri Testi accreditati riportano: il Figlio unico), che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere” (v. 18).
Mosè aveva udito la voce di Dio ed era stato attratto dalla “grande visione” del pruno; aveva avuto la rivelazione del nome di Dio, quello che poteva fare conoscere al popolo d’Israele: “Io sono”, “Il SIGNORE, il Dio dei vostri padri … Tale è il mio nome in eterno; così sarò invocato di generazione in generazione” (Esodo 3:14-15). Più tardi aveva desiderato di vedere la gloria di Dio, e Dio gli aveva dovuto rispondere: “Tu non puoi vedere il mio volto, perché l’uomo non può vedermi e vivere” (Esodo 33:18-20).
Ma ora, il Figlio unico “che è nel seno del Padre” ci ha fatto conoscere Dio; in Lui noi abbiamo visto il Padre (Giovanni 14:7-10). Non è soltanto un riflesso della gloria divina che risplende sul Suo viso, come fu per Mosè (Esodo 34:29; 2 Corinzi 3:7), ma è il Figlio unico che è nel seno del Padre, nella più profonda intimità con Lui, un’intimità che non può conoscere nessuna alterazione. “Noi abbiamo contemplato la sua gloria” ci ricorda Giovanni (v. 14). Il Signore soltanto è Colui che può dire in verità: “Io sono” come testimoniano diversi versetti dell’Evangelo (Giovanni 6:35; 8:12, 58). Lui stesso è Dio.
La grandezza della Sua opera – L’Agnello di Dio
Perché questa pienezza di benedizione potesse essere versata su noi, occorreva l’opera della croce. Gesù è l’Agnello di Dio venuto per togliere il peccato.
La testimonianza resa da Giovanni il battista, rispondendo alle domande dei farisei, esprime il sentimento di sobrietà come quello imparato da Mosè. Dopo che questi uomini increduli se ne sono andati, il giorno seguente, egli vede Gesù venire verso di lui e gli rende questa duplice testimonianza: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” e ancora: “… è quello che battezza con lo Spirito Santo” (v. 29, 33). L’Agnello di Dio era Colui che la fede degli Israeliti pii aspettava fino dai tempi di Abramo.
La legge poteva soltanto vietare il peccato e punire se era commesso; non poteva togliere il peccato. Essa stabiliva con Dio una relazione precaria, fondata sulla presunta capacità dell’uomo di obbedire ai comandamenti divini, comandamenti che venivano costantemente trasgrediti manifestando così il peccato insito nell’uomo.
La legge prevedeva una risposta ai peccati commessi involontariamente e prescriveva dei sacrifici che dovevano essere ripetuti continuamente, perché la questione del peccato aspettava sempre una risposta definitiva. Non erano altro che atti che “rinnovavano ogni anno il ricordo dei peccati” (Ebrei 10:3). Essi avevano tuttavia un aspetto incoraggiante: mostravano che Dio voleva che la barriera del peccato fosse tolta fra Lui e l’uomo. Il sangue di tori e di capri non poteva togliere i peccati (v. 4), ma la fede nutriva la speranza che Dio stesso si sarebbe provveduto “l’agnello per l’olocausto” (Genesi 22:8).
Quanto doveva essere grande questo Agnello di Dio! Mosè (Esodo 32:32), Davide (2 Cronache 21:17), avevano chiesto di prendere su sé stessi il giudizio, ma un tale sacrificio, ammesso che fosse stato possibile, non avrebbe potuto rispondere alle esigenze divine perché anch’essi avevano bisogno di un Salvatore.
Giovanni, il battista, vede in Gesù l’Agnello di Dio, Colui che stabilisce una nuova base per le relazioni di Dio con l’uomo e regola per sempre la questione del peccato per la piena soddisfazione di Dio. Mai più nessun sacrificio sarà richiesto: “Egli, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio”; “con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati” (Ebrei 10:12, 14).
Giovanni rende anche testimonianza che Gesù è Colui che battezza con lo Spirito Santo. Lo Spirito ci permette di godere della relazione con Dio che il sacrificio di Cristo ha fondato, e manifestare in questo mondo la vita che Egli ci ha donato.
Dimorare con Lui
L’Evangelo ci mostra Dio che, in Cristo, entra in relazione con gli uomini, attirandoli a Sé, rispondendo ai bisogni delle loro anime. Le prime persone che Gesù incontra sono Andrea e il suo compagno – presumibilmente Giovanni che non si nomina mai nel suo Evangelo – che lo seguono e “stettero con Lui quel giorno” (v. 39). Il Figlio di Dio era venuto in casa Sua e il popolo di Israele, “i Suoi”, non l’avevano ricevuto; ora sono coloro che ascoltano la Sua Parola che vanno a dimorare presso di Lui e a godere della comunione con Lui.
Secondo la misura della rivelazione dell’Antico Testamento, Mosè aveva già trovato la sua dimora in Colui al quale la sua fede si era attaccata: “Signore, tu sei stato per noi un rifugio d’età in età” (Salmo 90:1).
Beata sorte! Essere con Lui significa, già sulla terra, realizzare qualcosa di quella che sarà la gloria del cielo (Giovanni14:3; 1 Tessalonicesi 4:17).