Non stanchiamoci

di E. A. Bremicker

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 12-2020

Nel Nuovo Testamento, molti passi ci esortano a “non stancarci”. Ci si può stancare, cioè scoraggiarsi, rilassarsi, non fare più di buon animo le cose che un tempo erano fatte con zelo.

Dio ci invita ad avanzare nel nostro cammino con l’energia della fede. Tuttavia, ci può capitare di essere come Elia sotto la ginestra che diceva: “Basta! Prendi la mia vita, o SIGNORE, poiché io non valgo più dei miei padri!” (1 Re 19:4) L’avvenire sembra oscuro, il coraggio ci lascia, le forze diminuiscono. Ci stanchiamo, e ci lasciamo andare.

Un simile stato può essere passeggero, causato dalle circostanze, ma può anche diventare duraturo. Più di un credente ha incominciato bene; poi l’energia spirituale si è indebolita e si è instaurato uno stato di spossatezza. Se è il nostro caso, che Dio ci risvegli e rianimi il nostro coraggio!

Esaminiamo insieme i passi del Nuovo Testamento che ci esortano a non stancarci.

 

  1. Non stancarsi nella preghiera

Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi” (Luca 18:1).

Il Signore Gesù ha insistito più volte sull’importanza della preghiera. Qui lo fa per mezzo di una parabola, per incoraggiare i Suoi discepoli a pregare sempre senza stancarsi. “Sempre” non vuol dire che non dovremmo far altro che pregare; non sarebbe possibile. Significa che dobbiamo vivere continuamente in un atteggiamento di dipendenza da Dio, andare a Lui con tutti i problemi che possiamo incontrare. La parabola che il Signore racconta, quella della donna che importunava continuamente un giudice iniquo, mostra chiaramente la sua intenzione: esortare a perseverare nella preghiera e a non scoraggiarsi se la risposta divina non arriva subito.

Troviamo insegnamenti simili in altri passi del Nuovo Testamento. Come Uomo perfettamente dipendente, il Signore Gesù ha passato tutta una notte a pregare Dio (Luca 6:12). I discepoli “perseveravano concordi nella preghiera” (Atti 1:14; cfr 6:4). I credenti di Roma sono esortati a perseverare nella preghiera (Romani 12:13) e Paolo scrive a quelli di Colosse: “Perseverate nella preghiera, vegliando in essa con rendimento di grazie” (Colossesi 4:2).

Per mezzo della preghiera abbiamo la possibilità di parlare col nostro Dio nel cielo, sia personalmente, sia in famiglia o nell’assemblea. È grande il pericolo di rilassarsi, di stancarsi nell’uno o nell’altro di questi contesti, o anche in tutti. Forse abbiamo a poco a poco abbandonato la buona abitudine di incominciare e di terminare la nostra giornata con la preghiera; forse, partecipare alle riunioni di preghiera dell’assemblea locale è diventato per noi un dovere faticoso, e magari non la frequentiamo più. Può anche darsi che, riguardo ad un determinato soggetto per il quale noi abbiamo pregato, ci siamo stancati perché nulla è cambiato…

In tutti i casi facciamo nostro l’incoraggiamento a non stancarci nella preghiera che ci dà il Signore, e ripartiamo con energia. “La preghiera del giusto ha una grande efficacia” (Giacomo 5:16).

 

  1. Non stancarsi nel servizio

Perciò, avendo noi tale ministero in virtù della misericordia che ci è stata fatta, non ci perdiamo d’animo” (2 Corinzi 4:1).

L’apostolo Paolo aveva ricevuto dal Signore un servizio preciso e dal carattere unico. Era servitore del Vangelo e servitore della Chiesa (cfr. Colossesi 1:23, 25). In 2 Corinzi 3 si presenta come ministro del nuovo patto (v. 6), e definisce il suo ministero come il ministero “dello Spirito” e “della giustizia” (v. 8 e 9). Il primo versetto del capitolo 4 sopracitato si riferisce a questo e mostra un aspetto particolare del suo servizio. Avendolo ricevuto per la misericordia di Dio, Paolo non voleva né rilassarsi né stancarsi, ed effettivamente non l’ha fatto.

Nessuno di noi vuole paragonarsi a Paolo. Eppure, desideriamo senza dubbio tutti servire Dio per lo Spirito e tenerci a Sua disposizione là dove ci vuole impiegare. Ciascuno di noi ha ricevuto un dono di grazia, un compito (1 Pietro 4:10; Efesini 4:7). Al dono si lega la responsabilità di compiere fedelmente il servizio affidato, senza stancarsi.

Può capitare, purtroppo, che un credente abbandoni completamente il suo servizio per il Signore. Ne abbiamo un esempio nella persona di Giovanni, detto Marco. Era andato con Paolo e Barnaba per assisterli nella loro missione (Atti 13:5), ma ben presto li aveva lasciati ed era tornato a Gerusalemme. Anche se non conosciamo esattamente i motivi del suo abbandono, possiamo dire che quel servitore si era stancato.

Può anche accadere che un servizio ci venga affidato e che noi non vogliamo più compierlo; cerchiamo forse qualcosa di più facile, che ci lasci più tempo libero. Ricordiamoci dell’esortazione data ad Archippo: “Bada al servizio che hai ricevuto nel Signore, per compierlo bene” (Colossesi 4:17). Anche Timoteo è stato incoraggiato a perseverare nel servizio ricevuto: “Adempi fedelmente il tuo servizio” (2 Timoteo 4:5).

 

  1. Non stancarsi nelle circostanze difficili

Perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria” (2 Corinzi 4:16, 17).

Paolo si trovava in circostanze molto difficili, come lo scrive nei versetti precedenti: tribolazione, situazioni senza uscita, persecuzione. Nel v. 10 dice: “Portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù”. Il corpo umano è caratterizzato dalla debolezza, è definito “il corpo della nostra umiliazione” (Filippesi 3:21). Il corpo del credente deperisce come quello dell’incredulo. È come un “vaso di terra” (2 Corinzi 4:7), un essere debole che, durante la vita, attraversa le più svariate e anche difficili circostanze.

Se non avessimo che questo davanti agli occhi, potremmo facilmente scoraggiarci e stancarci. Molti credenti fanno l’esperienza che il loro essere esteriore deperisce a vista d’occhio. Anche se oggi noi subiamo poco la persecuzione e la tribolazione, sperimentiamo tutti che il cammino del cristiano conduce alla gloria attraverso la sofferenza. Più di un credente ha consumato le sue forze nel servizio per il Signore. Molti di noi attraversano la malattia e provano ogni giorno che l’uomo esteriore deperisce. Comunque sia, non dobbiamo stancarci.

Paolo mette in contrasto l’uomo interiore e quello esteriore. L’anima del credente è rinnovata di giorno in giorno per mezzo della comunione con il Signore glorificato. Inoltre, Paolo ci assicura che l’afflizione, al confronto con la gloria che ci attende, è leggera e momentanea. Questo ci incoraggia a non stancarci, anche nelle difficoltà.

Verso cosa sono orientati i nostri sguardi? Se sono diretti sulle circostanze ci scoraggeremo facilmente; se invece sono diretti sul Signore nel cielo noi non ci stancheremo.

 

  1. Non stancarsi per le afflizioni altrui

Vi chiedo quindi di non scoraggiarvi a motivo delle tribolazioni che io soffro per voi, poiché esse sono la vostra gloria” (Efesini 3:13).

Ci si può stancare – o scoraggiarsi – anche a causa di circostanze difficili di altre persone che ci sono care. Paolo era prigioniero a Roma. Da quella prigione scrive agli Efesini: “Per questo motivo io, Paolo, il prigioniero di Cristo Gesù per voi stranieri…” (v. 1). Egli non era imprigionato a causa di una sua colpa ma perché aveva portato il Vangelo alle nazioni non giudaiche. Avrebbe potuto accadere che gli Efesini, i quali erano per lo più provenienti da quelle nazioni, si scoraggiassero a causa delle difficili circostanze in cui Paolo veniva a trovarsi e che l’energia della loro fede venisse meno. L’apostolo previene anche questo pericolo.

La nostra situazione oggi è molto diversa da quella che abbiamo ora visto, ma possiamo comunque trarne un insegnamento. Paolo era uno strumento notevole nella mano del Signore e il suo servizio attivo era stato fermato. Una cosa simile può accadere anche oggi, sia in ambito locale che in un ambito più ampio: ci sono alcuni fratelli e sorelle che occupano un posto particolare tra il popolo di Dio e che hanno una vita esemplare. Quando persone simili cessano improvvisamente il loro servizio attivo – in caso di malattia, decesso o altre circostanze ‒ c’è il rischio che altri si stanchino e si scoraggino.

La nostra sola risorsa è nel “nostro Signore, Cristo Gesù; nel quale abbiamo la libertà di accostarci a Dio, con piena fiducia, mediante la fede in lui” (versetto 12). Quindi – come in 2 Corinzi 4 – dobbiamo guardare non alle circostanze o alle persone, ma al Signore Gesù. Questo ci preserverà dallo stancarci.

 

  1. Non stancarsi di fare il bene

Non ci scoraggiamo di fare il bene; perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo” (Galati 6:9).

I Galati erano stati ripresi severamente dall’apostolo Paolo. Alla fine della Lettera, egli mostra loro il legame fra semina e mietitura e ne fa un’applicazione spirituale. Colui che semina per la carne “mieterà corruzione dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna” (v. 8).

La mietitura segue sempre la semina, ma è più o meno spostata nel tempo. Può accaderci di seminare il bene e di non vedere alcun risultato. Questo potrebbe scoraggiarci, ma Paolo ci ricorda che la messe viene “a suo tempo”, al tempo fissato da Dio. Non sappiamo quando questo tempo verrà. Al più tardi, la messe verrà quando saremo manifestati davanti al tribunale di Cristo. Un giorno, Dio ricompenserà tutto ciò che è stato fatto in vista del bene: questo ci deve incoraggiare.

Troviamo in un’altra Lettera un’espressione simile: “Quanto a voi, fratelli, non vi stancate di fare il bene” (2 Tessalonicesi 3:13).

Qui Paolo aveva messo in guardia i credenti circa coloro che non volevano lavorare e si impicciavano di cose che non li riguardano. Paolo condanna questi comportamenti ed esorta i credenti a non stancarsi nel fare il bene. Quindi non basta evitare ciò che non dobbiamo fare: bisogna anche sapere quello che, invece, dobbiamo fare e che qui è chiamato “il bene”. Bisogna intendere l’esortazione a fare il bene in un senso molto generale: in questo passo non si tratta di elemosine o di opere caritatevoli, ma di fare ciò di cui, davanti a Dio, siamo convinti che debba essere fatto.

In Giacomo 4:17 è detto: “Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato”. È una dichiarazione che va molto lontano e che ci deve far riflettere.

Fare il bene è, da parte nostra, la risposta a ciò che Dio ha fatto per noi. Nessun uomo può fare il bene per acquistarsi un posto nel cielo, ma coloro ai quali il Signore ha aperto il cielo per mezzo della Sua opera alla croce non dovrebbero stancarsi di fare il bene; e ogni giorno ci sono abbondanti occasioni di farlo!

Dunque, non stanchiamoci.