La potenza liberatrice del perdono reciproco

Tratto da una meditazione di un fratello

Il perdono può essere considerato sotto due aspetti: il perdono di Dio nei nostri confronti e il nostro perdono nei confronti dei nostri fratelli. Tenendo conto di come io sono stato perdonato, quanto sono disposto a perdonare gli altri? Il Signore Gesù nella sua Parola dà molta importanza alle relazioni interpersonali. La più importante è senza dubbio la relazione che abbiamo con Dio dal momento che siamo perdonati; ma poi vengono le relazioni che abbiamo con gli altri, sia  fratelli e sorelle, sia estranei.

Ma cosa significa esattamente “perdonare”? E cosa si deve perdonare? E in che modo?

Nelle pagine della Bibbia troviamo molte persone che hanno avuto delle dispute; ma alla fine di ogni lite c’è bisogno di perdonare.

Cari fratelli e sorelle, forse una delle cause della nostra debolezza è proprio la mancanza della volontà di perdonare.

 

Che cosa significa perdono?
Questa domanda fu posta a un ragazzo non vedente il quale rispose: “Il perdono è il profumo che emana un fiore quando è calpestato”. E’ proprio così. Pensiamo alle parole del Signore messo in croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23:34). Noi ragioniamo invece così: Essere calpestato? Mai!

“Perdonare” è una forma composta del verbo donare, è abbandonare una parte di me stesso, rinunciare ad un diritto legittimo per “donarlo” a chi ha peccato contro di me.

Nel perdono rinunciamo ad esigere dagli altri un comportamento perfetto, una perfetta giustizia, una perfetta retribuzione. Lo scopo finale è un autentico pentimento nel nostro cuore e in quello del nostro fratello.

Perdonare è agire come Dio. Paolo dice nell’Epistola agli Efesini: “Siate dunque imitatori di Dio, come figliuoli suoi diletti”. Se siamo amati da Dio e dobbiamo imitarlo, come possiamo non voler perdonare?
“Siate gli uni verso gli altri benigni, misericordiosi, perdonandovi a vicenda, come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (Efesini 4:32).
“Sopportandovi gli uni gli altri e perdonandovi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi” (Colossesi 3:13).

Quanto bisogna perdonare?
Nei versetti precedenti possiamo vedere anche la misura del perdono: “Come il Signore vi ha perdonati”. Allora dovremo chiederci: Quanto mi è stato perdonato? E quanto io, a mia volta, sono disposto a perdonare?
Ogni giorno dovremmo essere commossi al pensiero che Dio Padre ci ha eletti prima della fondazione del mondo pur conoscendo tutto il male che c’era nel nostro cuore; e che, sapendo quanto abbiamo bisogno di essere perdonati ogni giorno, continua ad amarci di un amore immutabile. Questo ci fa comprendere quale dovrebbe essere la misura del nostro perdono verso qualcuno che ci ha offeso, o non ci ha dato quanto ci spettava, o non ci ha accordato il dovuto riconoscimento.
“Quale Dio è come te, che perdoni l’iniquità e passi sopra alla trasgressione del residuo della tua eredità? Egli non serba l’ira sua in perpetuo, perché si compiace di usar misericordia” (Michea 7:18). “Ma presso di te v’è perdono, affinché tu sia temuto” (Salmo 130:4). Il perdono non costa poco, eppure pagare il suo caro prezzo dovrebbe essere uno dei desideri più profondi dei figli di Dio.
Quanto costò a Dio perdonare a ognuno di noi? Gli costò la cosa più cara e più bella che aveva, il suo unigenito Figlio.
Qualcuno ha detto che il perdono è qualcosa che riceviamo con riconoscenza più che qualcosa che doniamo sinceramente. Questo conferma come sia difficile perdonare.
Quanti risentimenti fra i credenti! Fratelli e sorelle in Cristo feriti, offesi, calpestati! Quante lacrime, quanti cuori avviliti! Dobbiamo essere concreti e affrontare queste realtà, poiché esistono veramente e ci fanno vergogna.
Il significato greco della parola perdono è rimuovere, mandar via, lasciar libero. Così il perdono viene a rappresentare una potenza liberatrice; infatti, perdonare rende liberi; scompaiono molti affanni, scompare l’amarezza; anche chi è perdonato è liberato da un peso, e lo Spirito di Dio torna ad essere libero in noi.

Il perdono tiene uniti.
E’ possibile che i credenti siano in disaccordo gli uni con gli altri? Purtroppo sì, perché ciascuno di noi ha le proprie intransigenze, la propria personalità; alcuni hanno un carattere facile, altri lo hanno difficile, complesso; può essere diverso il tipo di educazione ricevuto, e anche il livello di cultura. Eppure, nonostante ciò, dobbiamo vivere insieme perché Dio, e questo è meraviglioso, ci ha posti come membra nel corpo di Cristo; membra di Cristo e membra gli uni degli altri. Ma ci ha anche dato la grazia e l’amore per poterci sopportare e perdonare. Una simile cosa non la si vede nel mondo, ma solo nella Chiesa dell’Iddio vivente. “Guardate quanto si amano!”, dovrebbero poter dire gli increduli. E’ proprio così dei credenti e delle chiese che conosciamo?

Il perdono pone fine ai disaccordi.
Chiediamoci se siamo sinceramente disposti a mettere in pratica l’insegnamento dell’apostolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo  che vive in me” (Galati 2:20), e a non fermarci davanti a nessun ostacolo che potrebbe impedirci di perdonare. Se perdonare costa caro, noi possiamo farlo perché sappiamo quanto è costato al Signore perdonare noi. Ma abbiamo davvero il desiderio di crocifiggere il nostro orgoglio, i nostri diritti, e il nostro egoismo che esige sempre dagli altri ma è così avaro nel dare? In Cristo abbiamo delle immense ricchezze e quindi possiamo dare molto agli altri; anche una parola buona di cui hanno tanto bisogno, una parola che desiderano sentire dalla nostra bocca: “Fratello, sorella, mi dispiace averti ferito con il mio atteggiamento, con le mie parole. Scusami”.

Molte sono le cause dei conflitti
Nella Scrittura ci sono purtroppo molti esempi di conflitti e di liti, a cominciare da Caino e Abele. Il motivo della rabbia di Caino contro suo fratello era l’invidia. Per Abramo e Lot, invece, i problemi sorsero per motivi di materialismo; fra i loro rispettivi servitori c’erano dispute continue a causa dei greggi e degli armenti troppo numerosi in un territorio diventato ormai insufficiente. Isacco e Rebecca ebbero dei dissidi dovuti al favoritismo, perché ognuno prediligeva un figlio a scapito dell’altro. Esau e Giacobbe vennero in conflitto per egoismo. Ma pensiamo ai discepoli; perché litigavano? Per orgoglio, perché volevano essere uno più grande dell’altro. L’invidia e la gelosia furono la causa della rivalità di Saul contro Davide.

Lo stesso è per noi. Se non li giudichiamo subito, i piccoli risentimenti, le piccole invidie, le piccole gelosie diventeranno molto grandi. Se avvolgiamo una persona con un sottile filo di cotone, questa si libererà facilmente; ma se l’avvolgiamo migliaia e migliaia di volte non si potrà più liberare! Così, se non si giudicano subito i cattivi sentimenti, essi diventeranno così forti che ne saremo imprigionati. Ecco perché certi casi che non si sono mai voluti risolvere continuano ad essere motivo di amarezza nelle chiese, impedendo la libertà d’azione dello Spirito Santo.

Siamo anche esortati a togliere via “ogni amarezza, e cruccio e parola offensiva” (Efesini 4:31). In famiglia può capitare, quando si è stanchi e stressati, che una parola aspra esca dalla nostra bocca e ferisca qualcuno. Ma se lo Spirito Santo abita veramente in noi e se siamo uomini e donne spirituali, dovremmo subito rendercene conto e riconoscere che abbiamo agito in modo sbagliato. Perché allora non ammetterlo? Perché non dirlo alla moglie o al marito o al figlio e chiedere scusa?

Nelle chiese della Galazia i credenti si “mordevano” e si “divoravano” gli uni gli altri. Che tristezza!

Anche la maldicenza, che purtroppo c’è anche fra i credenti, può essere causa di rancori. Ricordiamoci sempre le parole di Abramo a Lot: “Non ci sia contesa fra me e te… poiché siamo fratelli” (Genesi 13:8). Non ci dev’essere contesa fra noi perché siamo fratelli e sorelle, figli di un solo Padre, e perché le contese rattristano lo Spirito Santo e ostacolano la benedizione. “L’uomo iracondo fa nascere contese, ma chi è lento all’ira acqueta le liti” (Proverbi 15:18). “L’uomo perverso semina contese, e il maldicente disunisce gli amici migliori” (Proverbi 16:28).

Spesso accade che un fratello o una sorella rivelino ad un altro ciò che sanno di un credente, raccomandandosi che la cosa rimanga fra loro e non venga divulgata; ma nel giro di una settimana tutta la chiesa ne è a conoscenza. E così nascono contese e la chiesa si trova divisa.

Per perdonare bisogna voler perdonare.
Quando il Signore diceva: “Non pensate che io sia venuto a metter pace sulla terra… Perché son venuto a dividere il figlio da suo padre, e la figlia da sua madre, e la nuora dalla suocera; e i nemici dell’uomo saranno quelli stessi di casa sua” (Matteo 10:34), non lo diceva riguardo ai credenti, ma agli increduli. Eppure, cosa troviamo a volte fra i credenti? Il figlio contro il padre, il marito contro la moglie, la nuora contro la suocera… Vi sono famiglie di cari credenti, di persone che alla domenica rompono il pane insieme alla tavola del Signore, e che non si sopportano. Per quale motivo? Se chiediamo a loro, si tratta quasi sempre di offese.

Giacomo dice che “manchiamo tutti in molte cose” (Giacomo 3:2), ed è vero; ma non sempre siamo consapevoli di mancare, di offendere. Però, non appena ce ne rendiamo conto, è nostro dovere chiedere subito scusa al fratello o alla moglie o ai figli per aver agito in modo sbagliato. Questo non ci svaluterà affatto, anzi sarà un segno di nobiltà d’animo, di saggezza, di umiltà, di amore per gli altri.

Quando fra fratelli e sorelle non c’è la volontà di perdonarsi, molti giovani sono scandalizzati e si allontanano dalla chiesa. Si fa poi presto a dire che se ne sono andati perché non volevano portare l’obbrobrio di Cristo! Facciamo attenzione a non fare valutazioni affrettate e pensiamo piuttosto a noi stessi. Se abbiamo offeso qualcuno ricordiamoci delle parole del Signore riguardo a chi scandalizza un piccolo nella fede: “Meglio per lui sarebbe che una macina da mulino gli fosse messa al collo e fosse gettato nel mare” (Luca 17:2).

“Non siate d’intoppo né ai Giudei, né ai Greci, né alla chiesa di Dio” (1 Corinzi 10:32). Possiamo dire con sincerità che questo è il nostro desiderio? Vogliamo davvero non essere di intoppo a nessuno?

Per evitare di offendere qualcuno dobbiamo vivere in un rapporto continuo di intimità col Signore e chiedergli sempre di aiutarci a controllare le nostre parole. Proverbi 18:19 dice che “un fratello offeso è più inespugnabile di una città fortificata”. Per questo nella lettera agli Efesini e ai Colossesi l’apostolo esorta a sopportarsi e a perdonarsi (Efesini 4:2; Colossesi 3:13). Paolo, che era molto realista, non pensava affatto che i nati di nuovo fossero diventati degli angeli e non avessero più dispute fra loro. Anzi, prevedeva che potessero esserci delle lamentele, delle amarezze, e così dava utili consigli.

Cosa fare quando si è offeso qualcuno?
Abbiamo già detto in quanti modi possiamo offendere il nostro prossimo. A volte basta un modo brusco di parlare, una mancanza di tatto nel dire le cose, un atteggiamento sgarbato, una mancanza di cordialità. Forse chi fa così non se ne accorge nemmeno, ma gli altri lo notano e ne restano feriti.

Se io ho offeso qualcuno, secondo Matteo 18:15 chi ha ricevuto il torto dovrebbe venire da me e dirmi che il mio comportamento l’ha ferito. Ma se ho un carattere che non accetta di buon grado la correzione, o sono conosciuto come uno che pensa di non commettere errori e di aver sempre ragione, sarà molto difficile che questo avvenga. Non ci sarà invece alcun problema se sono umile e vicino al Signore, pronto a ringraziare colui che mi mostra la mia mancanza perché io possa giudicarla davanti a Dio e riguadagnare l’amore e la stima del fratello offeso. Che tipi di persone siamo? Siamo di quelli che addolorano gli altri senza rendersene conto? Esaminiamo il nostro cuore e preghiamo ogni giorno il Signore perché ci renda più consapevoli dei nostri atti.

Immaginiamo ora un fratello o una sorella che si recano in assemblea, la domenica, per ricordare la morte del Signore e rompere il pane che esprime  l’unità del corpo di Cristo; ma qualche giorno prima, o anche prima di uscire di casa, hanno avuto una lite con un fratello o con un famigliare e la questione non è stata risolta. Pensiamo che il Signore ignori queste cose? Come potrà benedire quando ci si rifiuta di risolvere simili situazioni? Che unità esprimiamo? Dei credenti così non potranno mai essere di benedizione a qualcuno.

Ma allora, cosa deve fare chi si trova in una situazione del genere? Il Signore Gesù lo dice: “Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e qui ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti col tuo fratello; poi vieni ad offrire la tua offerta” (Matteo 5:23).

Riconciliarsi può voler dire scrivere una lettera, o fare una telefonata, o andare di persona. Ma bisogna farlo, per ritrovare quella vera unità di cui tanto parliamo ma che spesso realizziamo così poco.

Naturalmente, per essere perdonati, la prima condizione è che il peccato commesso sia confessato al Signore, e non in modo generico: “Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati”; fedele e giusto nei confronti del Signore che è morto per noi. E poi dobbiamo dirlo al fratello o alla sorella, riconoscere di aver sbagliato e manifestare di essere sinceramente dispiaciuti.

Cosa fare quando si è stati offesi?
Se siamo stati offesi, prima di tutto non dobbiamo cessare di amare, poiché per riuscire a perdonare qualcuno dobbiamo avere la volontà di perdonarlo e la volontà di amarlo.
Il perdono inizia sulle ginocchia, in preghiera, davanti al Signore. E’ a Lui che dobbiamo dire che vogliamo perdonare il fratello o la sorella, e che li amiamo perché Lui li ama; e chiedergli di aiutarci ad andare da loro. Il perdono non può iniziare finché non si ristabilisce nel nostro cuore il legame di affetto nei confronti della persona che ci ha offeso. E’ possibile perdonare solo quando comprendiamo che agli occhi del Signore quella persona è preziosa tanto quanto lo siamo noi, che per Lui abbiamo tutti lo stesso valore, che Egli ci ama tutti nella stessa misura.
Il Signore dice: “Va’ e riprendilo” (Matteo 18:15). La parola “riprendilo” può sembrare un po’ dura, ma significa che dobbiamo far capire al colpevole il suo errore, con amore e umiltà. Dobbiamo vincere quel fratello o quella sorella, guadagnarli.
Dobbiamo poi liberarci del doloroso passato. Le parole che ci hanno afflitto, il comportamento che ci ha fatto del male, non possono essere annullati se continuiamo a interporre l’accaduto fra noi e la persona che ci ha offeso. Il perdono è soltanto una questione di volontà; non è una questione di potere o non potere perdonare, perché nel momento in cui diciamo che non possiamo farlo limitiamo la potenza di Dio. Nel momento in cui diciamo che non possiamo amare neghiamo che l’amore di Dio è stato sparso nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo, e facciamo Dio bugiardo.
Abbiamo detto che il perdono è una potenza liberatrice. Non possiamo rimanere schiavi dell’odio, del risentimento, dell’invidia; siamo servi di Gesù Cristo e perciò possiamo agire com’Egli ha agito, liberi di esercitare il perdono verso il fratello o la sorella che hanno peccato contro di noi.
Poi si devono ricostruire quei rapporti che si sono deteriorati. In Luca 17:3 vediamo che il perdono può essere immediato: “Se tuo fratello pecca, riprendilo; e se si pente, perdonagli”. La questione è risolta. Ma il Signore continua: “E se ha peccato contro a te sette volte al giorno, e sette volte torna a te e ti dice: Mi pento…”. Sette volte! Eppure non è detto che il fratello che si comporta così non può essere sincero, e che dopo la seconda o terza volta si può cominciare a dubitare della realtà del suo pentimento. Noi non siamo in grado di scrutare nel profondo del cuore. Pensiamo piuttosto a quante volte al giorno dobbiamo dire: “Signore perdonami”! A meno che siamo di quelli che dal mattino alla sera non fanno mai nulla di sbagliato, non dicono mai niente di male, non hanno mai un pensiero cattivo… Ma dove si trovano questi santi?

Quante volte è stato perdonato un credente di una certa età? Cento, mille, diecimila? Il perdono del Signore è senza limiti affinché “sia temuto” (Salmo 130:4). Nessuno di noi si pente facilmente, ma possiamo stare certi che ogni volta che ci pentiamo il Signore è pronto a perdonarci; e allora, perché non dovremmo noi perdonare il nostro fratello o la nostra sorella sette volte, conoscendo il misero stato del nostro cuore?

Ignorarsi, evitarsi, ricambiare l’offesa.
E’ sorprendente che molti di noi risolvano le difficoltà e le divergenze non parlandone. Oppure , per evitare i contrasti si dice che non esistono o si nascondono sotto un manto di cortesia, assumendo a volte l’atteggiamento umile di chi perdona… ma che non dimentica! E’ forse questo il modo con cui Dio perdona? Egli dice: “Io non mi ricorderò più dei tuoi peccati” (Isaia 43:25). “Egli getterà nel fondo del mare tutti i nostri peccati” (Michea 7:19). “Quanto è lontano il levante dal ponente, tanto ha egli allontanato da noi le nostre trasgressioni” (Salmo 103:12).

Fratelli e sorelle, l’apostolo Paolo scriveva i suoi fratelli di Corinto dicendo: “Allargate il cuore anche voi!” (2 Corinzi 6:13), consentite al vostro cuore di spalancarsi per amare di più e perdonare agli altri come Dio vi ha perdonati.

Se continuiamo ad evitare e ad ignorare il fratello, significa che siamo ciechi di fronte all’ingiustizia compiuta, sordi ai sentimenti degli altri e insensibili verso le ferite che abbiamo provocato. No, non possiamo permetterci di trascurare il problema o di evitarlo non parlandone; dobbiamo affrontarlo.

A volte, di fronte a un torto ricevuto, siamo capaci di non reagire, di controllarci, ma al momento opportuno ricambiamo l’offesa. Anche questo non è un modo spirituale di comportarsi. Immaginiamo cosa sarebbe accaduto se Dio avesse agito così con noi!

Se la via d’uscita non è “occhio per occhio e dente per dente”, se non è possibile ripagare con la stessa moneta, se è vero che il passato non si può cancellare, cosa si deve fare? Dobbiamo serbare rancore, e aspettare il momento della vendetta? Avere nel cuore questa voglia di vendicarsi, questa mancanza di disponibilità a perdonare, renderà la nostra vita un inferno, ci farà perdere la gioia nel Signore e la pace; la nostra famiglia ne soffrirà, noi stessi soffriremo e ne risentirà anche la nostra salute.

No, la via d’uscita non è questa. La via d’uscita è il perdono! Qualcuno ha detto che compiere un’ingiustizia ci pone più in basso del nostro nemico, vendicarsi ci pone sullo stesso livello, perdonare ci rende superiori.

Il perdono a fatti, non solo a parole.
Mille parole non hanno lo stesso effetto di un gesto di amore e di umiltà. E’ il calore del  nostro amore che deve poter riscaldare la freddezza del cuore del nostro fratello e far sciogliere la sua resistenza! Siamo sempre disposti a “cedere il mantello” o a “porgere l’altra guancia”?

E quando poi è avvenuta la riconciliazione dobbiamo rallegrarci, e non fare come Labano che disse a Giacobbe: “L’Eterno tenga l’occhio su me e su te quando non ci potremo vedere l’un l’altro” (Genesi 31:49). Questo clima di sospetto dimostra che in fondo al nostro cuore non ci fidiamo più del fratello o della sorella a motivo di quello che ci hanno fatto. Ma se il Signore avesse pensato così di noi, dove saremmo ora?

Vediamo ancora cosa si deve fare se l’altro non vuole dialogare, se rifiuta di riceverci o di ascoltarci. Il procedimento è insegnato in Matteo 18. Se un fratello ha peccato contro di me, e sono andato da lui ma non mi ha voluto ascoltare, andrò con un altro fratello; se anche così non c’è risposta, informerò la chiesa che dovrebbe essere ascoltata. E se nemmeno la chiesa ottiene un risultato, dovremmo forse decidere di stare a casa e non frequentare più il radunamento? Non siamo autorizzati dalla Scrittura ad abbandonare l’assemblea a motivo di una lite o perché qualcuno si mostra insensibile all’offesa che abbiamo subito. Il nostro posto è là, comunque. Saremo certamente addolorati, ma là dobbiamo essere.

Paolo dice: “Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini” (Romani 12:17), e ancora: “Cerchiamo le cose che contribuiscono alla pace e alla mutua edificazione” (Romani 14:19).

Fratelli e sorelle, che cos’è il perdono? E’ il profumo soave che emana un fiore quando è calpestato. Che bello sarebbe se fossimo tutti capaci di dire: Signore, se è questo ciò che vuoi, se devo accettare di essere calpestato per amore per te e per i miei fratelli, affinché vi possa essere pace e comunione, lo voglio anch’io.

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