di A. M. Behnam
Nell’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni, per tre volte il Signore ordinò a Pietro di nutrire il suo gregge, i suoi agnelli, le sue pecore. E ogni volta lo fa dopo aver chiesto a Pietro se lo amava, quasi come a dirgli che quello è il modo per dimostrare un amore reale Lui.
Allo stesso modo Pietro, quando divenne anziano, scrisse agli anziani, esortandoli a fare la stessa cosa: “Pascete il gregge di Dio che è tra di voi” (1 Pietro 5:2). Egli ricorda loro che il Signore Gesù è il Supremo Pastore e che, quando apparirà, ricompenserà coloro che si sono curati del gregge.
Il Salmo 23 parla del Signore come del Pastore che provvede a tutti i bisogni del gregge. “Il Signore è il mio pastore – dice il salmista – nulla mi manca”. Nell’elenco di tutte le buone cose che questo Pastore fa, Davide mette questa per prima: “Egli mi fa riposare in verdeggianti pascoli”. I pascoli verdeggianti indicano un nutrimento buono e sostanzioso, essenziale per la salute della pecora. Un servitore del Signore ha raccontato che uno dei migliori consigli ricevuti fu quello di un anziano servitore del Signore che gli aveva detto di assicurarsi di dare un buon nutrimento ai figli di Dio, di alimentarli con Parola di Dio. Il Signore descrive come servo fedele e prudente quello che “il padrone ha costituito sui domestici per dare loro il vitto a suo tempo”. Egli pronuncia una benedizione speciale su un tale servitore: “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà così occupato! Io vi dico in verità che lo costituirà su tutti i suoi beni” (Matteo 24:45-47).
Responsabilità verso Dio
Nutrire i credenti di Dio non significa semplicemente riempire di conoscenza il loro cervello, ma vuol dire presentare la Parola di Dio in un modo che parli ai loro cuori, alle loro anime. Così, mentre cresceranno in conoscenza, non saranno “gonfiati”, ma piuttosto “fortificati in ogni cosa dalla sua gloriosa potenza”. Questo è veramente un grande privilegio, ma come tutti i privilegi comporta delle responsabilità.
Colui che nutre il gregge deve sempre ricordare che si tratta del “gregge di Dio”, e che le sue pecore gli sono così care che il suo amato Figlio ha dato la vita per loro. Il supremo Pastore affiderà soltanto ai “servi fedeli e prudenti” il compito di nutrire le sue pecore, di dare ai suoi domestici “il vitto a suo tempo” (Matteo 24:45-47). Essi saranno responsabili di nutrirli con il cibo indicato dal Pastore delle anime loro. Non si possono dare degli scarti! Il cibo è la Parola di Dio che dev’essere presentata secondo il pensiero di Dio e con la potenza del suo Spirito. Non c’è da stupirsi che l’apostolo Paolo provasse “timore” e “gran tremore” nella consapevolezza della serietà del suo compito. “Chi è sufficiente a queste cose?”, si chiede Paolo (2 Corinzi 2:16), ma è rassicurato che la nostra sufficienza è in Dio e non in noi.
Responsabilità verso se stessi.
L’apostolo Paolo dà a Timoteo dei consigli molto utili quando, nella sua prima lettera, lo esorta ad essere d’esempio ai credenti nel parlare e nel comportamento, di applicarsi alla lettura, in quanto il pastore dev’essere familiare con il cibo con cui nutre le pecore; di non trascurare il dono che era in lui; di occuparsi di quelle cose e di dedicarsi interamente ad esse, perché solo così potrà progredire; di badare a se stesso e all’insegnamento, cioè di vigilare sulla propria condotta e sull’insegnamento che impartisce; di non scoraggiarsi, ma di perseverare. Il risultato sarà la salvezza per sé e per coloro fra i quali lavorerà – salvezza intesa non come vita eterna, ma come liberazione dai numerosi tranelli del diavolo (4:12-16).
Nella sua seconda lettera (2:15, 16), lo esorta a impegnarsi a presentarsi “approvato davanti a Dio” nel modo in cui dispensa la parola della verità (sarà così un operaio che non dovrà vergognarsi, ma che avrà l’approvazione di Dio), e ad evitare le chiacchiere profane perché sono molto pericolose. Il servitore fedele non trae da queste chiacchiere il messaggio che dovrà comunicare, poiché per il suo ministero c’è una sola sorgente a cui attingere, pura, ricca e benedetta. Il Servitore perfetto e benedetto da Dio disse: “Il Signore, Dio, mi ha dato una lingua pronta, perché io sappia aiutare con la parola chi è stanco”; e aggiunse anche: “Egli risveglia il mio orecchio, perché io ascolti, come ascoltano i discepoli” (Isaia 50:4). Se vogliamo una lingua “pronta” (letteralmente: lingua di discepoli), dobbiamo anche ascoltare come ascoltano i discepoli.
Responsabilità verso il gregge
Il fatto che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Efesini 6:25) deve aiutarci a valutare la serietà del privilegio di “nutrire” i nostri fratelli e sorelle in Cristo. Quando invitiamo a cena una persona, ci impegniamo a preparare un pasto accurato, e più la persona è importante più ci diamo da fare. Non dovremmo avere le stesse attenzioni quando si tratta di somministrare il cibo spirituale ai figli di Dio? Non dovremmo essere esercitati a pregare con fervore per chiedere a Lui l’aiuto e il soccorso dello Spirito? Non dovremmo chiedergli di saperci esprimere in modo chiaro e comprensibile, alla portata di tutti? L’apostolo Paolo chiedeva ai santi di Efeso di pregare per lui, affinché gli fosse dato di parlare “apertamente, per far conoscere con franchezza il mistero del vangelo… perché lo annunzi francamente, come conviene che ne parli” (Efesini 6:19:20).
Cibi fatti in casa e cibi confezionati
Quando una madre prepara i pasti per la propria famiglia usa, per quanto è possibile, ingredienti sani, tenendo conto della salute dei suoi e delle particolari esigenze di ognuno. Così, nella preparazione del cibo spirituale per i figli di Dio, il servitore saggio e fedele tiene anch’egli conto dei bisogni individuali. Un messaggio adatto in una certa occasione potrebbe essere inutile in un altro momento. Un vero bisogno non è soddisfatto semplicemente da una buona predicazione attinta dagli scritti dei migliori predicatori; ci vuole la guida dello Spirito Santo attraverso la meditazione personale e la preghiera. Un tale ministero appagherà i bisogni dei giovani come degli anziani, dei deboli e dei forti, degli addolorati e dei contenti. Servire “cibi preconfezionati” non riuscirà ad ottenere validi e durevoli risultati.
Avanzi
A nessuno piace mangiare sempre lo stesso cibo. Abbiamo, è vero, bisogno di ricordare spesso alcune fondamentali verità, ma limitare il ministero sempre ad uno stesso argomento è come servire degli avanzi. Alla fine si smorza l’appetito e ci sarà della malnutrizione, poiché se mangiamo ogni giorno lo stesso cibo ci priviamo delle sostanze nutritive presenti in altri alimenti. “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Timoteo 3:16). Perciò il ministero non dovrebbe essere limitato ad un unico campo di verità scritturali, perché in questo modo il credente non diventerebbe completo e preparato per ogni opera buona. L’apostolo Paolo ha detto: “Non mi sono tirato indietro dall’annunziarvi tutto il consiglio di Dio” (Atti 20:27). Ciò richiede molta diligenza e autodisciplina, ma è rimunerativo. E’ in relazione a questo che il Signore disse: “Ogni scriba che diventa un discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie” (Matteo 13:52).
Condito con sale
Un pasto può essere molto nutriente ma non gustoso. Manca qualcosa, forse bisogna aggiungere del sale. Così pure la semplice recitazione di una verità, per quanto corretta e preziosa, potrebbe non raggiungere lo scopo desiderato. Dobbiamo pregare che le nostre parole “conferiscano grazia a chi le ascolta” (Efesini 4:29), che il nostro “parlare sia sempre con grazia condito con sale” (Colossesi 4:6). Inoltre, il cibo dev’essere servito alla giusta temperatura: il brodo è migliore caldo e il melone è più buono fresco. E ancora, un cibo che è ben tollerato da una persona potrebbe provocare disturbi in un’altra. Quindi c’è bisogno della saggezza che viene dall’alto e della guida di del Signore.
Ispezione igienica
Nel mondo civilizzato non si può lavorare in un ristorante senza sottoporsi preventivamente a visita medica. Io potrei essere un buon cuoco, ma se ho una malattia che si trasmette rischio di infettare quelli che mangiano il cibo da me preparato. Il servitore del Signore deve chiedergli di saper esaminare se stesso, affinché non trasmetta alcun male ai suoi uditori. E’ senz’altro per questo che Paolo esortava Timoteo a badare a se stesso e all’insegnamento. Oltre a ciò, ai cuochi e ai camerieri viene insegnato a lavarsi spesso le mani; l’applicazione è ovvia, ma talvolta dimenticata!