Un nuovo comandamento

di Ferruccio Cucchi

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 01-2009

Il Signore Gesù disse: “Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri”. (Giovanni 13:34-35).

“Carissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento vecchio che avevate fin da principio: il comandamento vecchio è la parola che avete udita. E tuttavia è un comandamento nuovo che io vi scrivo…” (1 Giovanni 2:7).

La frase del Signore rivolta ai discepoli è stata pronunciata poche ore prima di lasciarli per andare alla croce. Insieme ai preziosi insegnamenti e rivelazioni pronunciati in quella fatidica notte (Giovanni capitoli da 13 a 16), questo “nuovo comandamento” assume una particolare solennità. Senza dubbio, quando l’apostolo Giovanni, circa sessant’anni dopo, scriverà la sua prima Lettera, aveva ben presente quella scena, e tutto il suo scritto riflette le parole e il pensiero del Signore.

Com’è attuale tutto ciò anche per noi! Ma leggendo i due versetti citati, potremmo essere colti da un dubbio: il comandamento di amarci gli uni gli altri è vecchio o nuovo? Possiamo anticipare le conclusioni senza timore di sbagliare: è vecchio ma è anche nuovo.

Il comandamento vecchio

Quando il Signore Gesù ha riassunto mirabilmente la Legge mosaica, dopo aver premesso che il primo grande comandamento era amare Dio, ha aggiunto: “Il secondo, simile a questo, è: Ama il tuo prossimo come te stesso” (Matteo 22:39).

“Amerai il prossimo tuo come te stesso” era già stato scritto nella Legge (Levitico 19:18). Non era una novità. Questo principio era la conclusione di una serie di ingiunzioni: non rubare, non ingannare, non giurare il falso, non opprimere, non appropriarsi indebitamente, non trattenersi il salario dovuto, non prevaricare i deboli, non fare favoritismi, non diffamare, non odiare neppure nel proprio cuore, non eccedere nei rimproveri, non vendicarsi (v. 11-18).

La Legge si era spinta anche un po’ più in là. Riguardo agli stranieri, imponeva questo: “Quando qualche straniero abiterà con voi nel vostro paese, non gli farete torto… tu lo amerai come te stesso” (v. 33-34).

Ecco “la parola che avete udita” (1 Giovanni 2:7). Troviamo qui precisate tutte le cose da non fare a danno del prossimo, ed è la stessa impostazione della Legge. Infatti, dei cosiddetti “dieci comandamenti” (Esodo 20:1-17), nove di essi iniziano con un “non…” (anche la santificazione del “giorno del riposo” consisteva principalmente nel non fare alcun lavoro ecc.), e solo uno (“onora tuo padre e tua madre”.) implicava anche delle attività da svolgere. In proposito, l’apostolo Paolo farà notare: “Questo è il primo comandamento con promessa” (Efesini 5:2). La violazione degli altri comandamenti invece avrebbe comportato punizioni e gravi conseguenze.

Per la Legge, dunque, l’amore per il prossimo consisteva essenzialmente nel non recargli del danno, non fargli torto.

Il nuovo comandamento

Quando il Signore Gesù ha parlato della Legge di Dio, dopo aver affermato che non era venuto per abolirla ma per portarla a compimento (o compierla), aveva aggiunto: “Voi avete udito che fu detto: ‘Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico’. Ma io vi dico: amate i vostri nemici” (Matteo 5:43).

Ecco un primo elemento di novità. La Legge non si era spinta a tanto: lo straniero doveva essere amato (non fargli torto, non sfruttarlo), ma il nemico doveva essere combattuto. Il Signore Gesù estende il campo dell’amore fino a raggiungere quelli che ci fanno del male e ci odiano.

L’amore insegnato da Cristo non ha come stimolo il timore della punizione. Giacomo, dopo aver confermato l’insegnamento del Signore e definito l’amore per il prossimo l’adempimento della “legge reale” (Giacomo 2:8), scrive: “Parlate ed agite come persone che devono essere giudicate secondo la legge di libertà” (v. 12). L’opera di Cristo alla croce ci ha resi liberi dalla costrizione al male e ci dà di godere della vera libertà: fare la volontà di Dio, che ha promesso la Sua benedizione; la benedizione non solo di chi riceve il bene, ma anche di chi lo pratica.

L’amore insegnato da Cristo è attivo: si tratta non soltanto di non fare del male o del torto al nostro prossimo, ma di adoperarsi in suo favore. “Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice: ‘Andate in pace, scaldatevi e saziatevi’, ma non date loro le cose necessarie al corpo, e che cosa serve?” (Giacomo 2:15). E a proposito delle parole, l’apostolo Paolo, dopo aver scritto: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca”, si affretta ad aggiungere: “Ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (Efesini 4:29).

Facciamo attenzione però: quando facciamo qualcosa in favore di qualcuno, non dovremmo avere una motivazione diversa dall’amore. “Per mezzo dell’amore servite gli uni agli altri” (Galati 5:13). Paolo scrive che potrebbe distribuire tutti i suoi “beni per nutrire i poveri”, addirittura dare il suo “corpo a essere arso”[1], e non avere amore; e conclude: se fosse così, “non mi gioverebbe niente” (1 Corinzi 13:3). Potremmo essere spinti ad agire per altri motivi: ricerca della stima degli altri, o per avere il contraccambio, per lo meno della riconoscenza. O forse anche per senso del dovere; potremmo farlo controvoglia, perché dobbiamo farlo, cioè con uno spirito legalista, ma non seguendo la “legge di libertà”. Paolo scriveva: “L’amore sia senza ipocrisia” (Romani 12:9); e Pietro raccomandava “un sincero amore fraterno”, “amatevi intensamente a vicenda di puro cuore” (1 Pietro 1:22).

Un altro aspetto della “novità” del comandamento del Signore di amarci a vicenda è la testimonianza che questo amore dà attorno a noi, perché “da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:35). Il mondo osserva quelli che dicono di essere di Cristo, e qualche volta non ne trae una buona impressione; aspre discussioni, dispute, i cui echi potrebbero arrivare anche all’esterno, non giovano alla testimonianza.

L’amore per gli altri non è insito in noi, né viene da noi. Una preghiera dovrebbe uscire dal cuore di ciascuno di noi: “Signore, insegnami ad amare il mio prossimo!”

[1] È interessante notare che alcuni manoscritti (testo Nestle-Aland) riportano: se dessi il mio corpo per trarne gloria.